L'arca olearia 17/03/2017

Il superintensivo spagnolo conviene davvero agli olivicoltori italiani?

Il superintensivo spagnolo conviene davvero agli olivicoltori italiani?

Nel primo anno di reale produzione degli oliveti superintensivi in Puglia, il mercato ha deciso differenti valori tra le olive di Arbequina e quelle di Peranzana e Coratina. Dopo questa prima esperienza occorre una riflessione sui business plan. Quando si passa dalla teoria alla pratica i conti non tornano più


Quest'anno è stata la vera prova del nove per gli oliveti superintesivi spagnoli in Italia.
I dati di produzione sono discordanti, c'è chi dice di aver prodotto 100 quintali ad ettaro, chi 60 quintali ad ettaro, chi nulla. Anche l'olivicoltura superintensiva risente, quindi, dei cambiamenti climatici e delle bizzarrie del meteo con una produttività meno costante di quanto era in attesa (ed era stato promesso).Un andamento a macchia di leopardo molto simile a quello manifestatosi per il resto dell'olivicoltura nazionale.
Al contempo, però, con le prime produzioni significative di olio da oliveti superintensivi, sono emerse anche le differenze di prezzo tra le olive di varietà italiane e quelle della triade Arbequina-Arbosana-Koronieki.
In Puglia, in base a indagini personali, le olive di Peranzana o Coratina sono state quotate dagli 80 ai 120 euro a quintale, a seconda della qualità e della sanità delle drupe. Nello stesso periodo le olive di Arbequina venivano quotate 60-80 euro/quintale. Allo stesso modo l'olio da varietà italiane oggi quota 6,2 euro/kg circa, mentre quello di Arbequina circa 5 euro/kg.
A partire da questi dati di mercato, in un'annata di scarica e quindi quando c'era comunque bisogno di olio italiano, possiamo cercare di comprendere, sulla base della PLV (produzione lorda vendibile) se davvero gli oliveti superintensivi spagnoli sono più convenienti, secondo la logica del “di più è meglio”.

Prediamo a modello due oliveti, un superintensivo spagnolo e un intensivo italiano. Entrambi irrigui ed entrambi meccanizzabili. Da bibliografia e recenti ricerche, la produttività di un superintensivo è stimabile in 100-120 quintali/ettaro mentre quella di un intensivo italiano in 70-90 quintali/ettaro.
Prendiamo, per ogni range di valori, sia sulla produttività sia sul prezzo delle olive, il dato medio.

Per un superintensivo spagnolo con una produzione di 110 quintali ad ettaro e una remunerazione delle olive di 70 euro/quintale, la PLV corrisponde a 7700 euro.
Per un intensivo italiano con una produzione di 80 quintali ad ettaro e una remunerazione delle olive di 100 euro/quintale, la PLV corrisponde a 8000 euro.
Al di là dei dati assoluti emerge chiaramente che il valore aggiunto delle olive da varietà italiane, pur in presenza di una produttività inferiore, ha equiparato la PLV dei due oliveti.

Vediamo cosa accade se ci riferiamo all'olio.
Per l'oliveto superintensivo, con una produzione di 110 quintali ad ettaro e una resa media del 12%, avremo 13,2 quintali di olio che a 5 euro/kg corrispondono a 6600 euro.
Per l'oliveto intensivo italiano, con una produzione di 80 quintali ad ettaro e una resa media del 14% (quella pugliese quest'anno), avremo 11,2 quintali di olio che a 6,2 euro/kg corrispondono a 6944 euro.

Sulla base di questi dati possiamo trarre alcune considerazioni.
Il libero mercato ha stabilito, al contrario di quanto teorizzato negli anni precedenti, che vi è una differenza di prezzo del 30% tra olive/olio di varietà italiane e quelle di Arbequina-Arbosana-Koroneiki. Ovvero l'olio da superintensivo in Italia ha quotazioni a metà strada tra quello comunitario e quello tipicamente italiano.
In questa situazione è certamente un affare importare olio di Arbequina da Spagna o Tunisia, spacciandolo illegamente poi per italiano, con un utile (illecito, lo ripetiamo) di circa 1 euro/kg.
In un'annata di buona produzione per l'oliveto italiano tipico e tradizionale è lecito attendersi che le quotazioni delle olive/olio di Arbequina-Arbosana-Koroneiki si allineino ancor di più con quelle degli omologhi impianti internazionali.
Stante la variabilità della produttività, anche degli oliveti superintensivi, sperimentata quest'anno, andrebbero riparametrati anche i dati relativi ai costi di gestione (comprensivi quindi gli ammortamenti). Avremmo delle sorprese e scopriremmo, probabilmente, che l'equazione maggiore produttività = maggiore reddito, non è sempre veritiera in presenza del fattore valore aggiunto.
L'olivicoltura superintensiva spagnola, in contesti internazionali privi di storia e storie, di valorizzazione riconosciuta dal mercato delle proprie produzioni, rappresenta un modello valido e spendibile, se ottimamente gestito. In realtà, come quella italiana, laddove l'identità ha creato un significativo valore aggiunto, le differenze si assottigliano fino ad annullarsi. Se va bene.

Infine, in maniera empirica, com'era da aspettarsi, gli olivicoltori pugliesi hanno ritenuto più conveniente vendere le olive che non l'olio. La vendita della materia prima garantiva, comunque la si guardi, una PLV maggiore per circa 1000 euro ad ettaro. Le olive sono state vendute in netta prevalenza ai frantoi del centro nord Italia.
Le olive di Arbequinba-Arbosana-Koroneiki sono invece state rifiutate, in larghissima parte, dai frantoi del centro nord, rimanendo così in Puglia.
Considerando che il core business dei frantoi è proprio la molitura delle olive e poi la vendita dell'olio, la creazione di un segmento di mercato, quello delle olive di Arbequina-Arbosana-Koroneiki, rifiutate dai frantoi del nord, rappresenta un'opportunità per perpetuare un business antico: la produzione di olio a basso prezzo per il commercio e l'industria olearia. Un olio che però altri paesi sanno produrre a prezzi decisamente più vantaggiosi di quelli italiani.

di Alberto Grimelli

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Commenti 11

Sergio Enrietta
Sergio Enrietta
22 marzo 2017 ore 16:20

In effetti di promesse non mantenute la nostra olivicoltura è piena, non solo purtroppo sul versante della "innovazione".
La triste verità mi pare purtroppo quella descritta in altro articolo, (tappi antirabbocco) in cui si puntava il dito sul consumatore medio, che purtroppo, non conosce e non apprezza l'olio di elevata qualità.
A forza di pescare nella giara spostando il coperchio di legno, si è diffuso il gusto cosiddetto dolce e delicato, e sopratutto non "acido".
Stante questo il mercato prevalente, non riesco bene a trovare difetti in chi produttore, cerca strade apparentemente più facili per produrre un olio comunque valido anche partendo da varietà "banali", a patto che le quantità prodotte riescano a essere vendute a prezzi remunerativi.
Ora non si potrà negare che chi mette mano alla propria cassa e impianta del nuovo, avrà molti più interessi a curare la propria produzione anche sull'aspetto qualitativo, di chi ha ereditato l'oliveto e quando ha tempo se ne occupa.
E' basandomi su questo semplice concetto che mi permetto di non condannare a priori una tecnica che in frutticoltura già ha dato risultati incontestabilmente positivi sul piano economico.
Ovviamente non si può dire lo stesso del piano paesaggistico, ma quello va anche meritato da tutti, consumatori in primis.
Ma forse mi sbaglio, forse.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
22 marzo 2017 ore 12:31

Sig. Enrietta, non sono un detrattore "a priori" del superintensivo e degli oliveti ad alta densità. Sono molto preoccupato che questo modello venga considerata l'unica soluzione di riscatto dell'olivicoltura italiana. Altri "miracoli" vennero promessi, anni fa, con il monocono e il sesto dinamico. Ancor prima con la palmetta. Non fu un successo e questi fallimenti costarono molto al settore. Uno spreco di tempo, energie e investimenti che, allo stato attuale, non ci possiamo permettere. In una fase congiunturale di crisi occorre aguzzare ancor di più lo spirito critico, evitando di credere a "miracoli", e cercando di essere molto lucidi e razionali. Leggiamo, informiamoci, ascoltiamo. Rileggiamo le promesse fatte e vediamo se sono state mantenute. Il mondo viaggia veloce, proprio per questo recuperare errori o passi falsi può essere molto faticoso e costoso.

Sergio Enrietta
Sergio Enrietta
22 marzo 2017 ore 10:19

Secondo me quest'anno per come è andata la campagna olivicola era il classico anno per cui le varietà Coratina e Peranzana, avevano tutte le possibilità per avere uno splendido mercato.
Mi spiego meglio, la qualità dell'olio in generale al centro nord è stata appena sufficiente rispetto alla media.
Quando la mosca la fa da padrona, purtroppo i polifenoli ecc ne risentono e l'olio risulta anormalmente "dolce".
Da qui la necessità a qualunque prezzo di "correggere" con l'aggiunta di Coratina o Peranzana, si sarebbero pagate anche di più se fossero state scarse.
Sono quasi certo che non si può dire lo stesso di Oliarola, ecc, questo per dire che quest'anno secondo me non fa testo, in quanto i risultati di prezzo derivano da cause occasionali, anche se ripetibili.
Non sono un adepto del super intensivo, però constato che il signor Grimelli ne è invece un fervente oppositore, che a volte coglie l'occasione buona per avvalorare in anticipo la tesi negativa circa la nuova tecnica, che invece, forse, potrebbe essere una delle strade per portare un prodotto "nazionale" di buona qualità sulle tavole degli Italiani, facendo magari anche finalmente, guadagnare qualcosa al produttore.
Altro discorso è ovviamente la moltitudine di gusti e possibilità offerte dalle molteplici condizioni climatiche e varietali che si rendono possibili dalle nostre varietà storiche, sempre ammesso che certi errori di lavorazione e conservazione, tipici del passato siano evitati.
Forza ne è di constatare, che per ora, questo splendido futuro, non è altro che una paletta variegata di gusti superiori, spesso decantati, ma non sempre confermati, per palati ancora troppo rari nel nostro paese.
Sono due strade diverse, una diritta e senza fascino, che però ha penso le sue ottime ragioni.
L'altra paesaggistica e panoramica, che benché partita prima, arriva dopo, però sono certo arriverà, con magari anche maggiore successo.
Buon lavoro e buona annata olivicola a tutti.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
22 marzo 2017 ore 08:57

Genbtile Sig. Minguzzi,
il confronto è stato fatto proprio variando una sola variabile: il prezzo delle olive/olio, dimostrando che questo ha un impatto notevole sui conti economici (colonna attivi) delle aziende.
Rispondendo alle sue domande:
1) "Chi lo ha stabilito che l'olio delle 3 varietà spagnole AAK debba costare meno di quello delle varietà italiane?"
E' stato il libero mercato, tante volte invocato. Le quotazioni fornite nell'articolo sono frutto di rilevazioni personali del mercato all'ingrosso delle olive/olio durante la campagna e fino a metà febbraio circa.
2) "E che il superintensivo non si possa fare con le varietà italiane che hanno prezzo di vendita superiore?
Oppure, ammesso che oggi sia così (ma da dimostrare per gli aspetti agronomici e quelli commerciali) come possiamo pensare che la situazione non possa cambiare in futuro (sempre per gli aspetti agronomici e commerciali)?"
Premesso che nella sua domanda è implicito che l'attestazione che le olive di varietà italiane hanno un prezzo superiore, al momento vi sono studi, sperimentazioni e qualche campo di privati di superintensivo con varietà italiane. Siamo ben lungi, però, dal proporre un modello tipo quello del superintensivo spagnolo che ben si adatta a molte realtà climatiche diverse. Quindi un modello di superintensivo italiano ancora non c'è.
Ci sarà? Non faccio il futurologo. E' probabile che la ricerca scientifica proporrà modelli ad alta densità adatti anche all'olivicoltura italiana e con varietà nazionali. E' possibile che possano cambiare le condizioni agronomiche e commerciali. L'articolo è una fotografia dell'oggi che meritava di essere scattata, visto che smentiva le previsioni.Quello che accadrà nel futuro lo vedremo e certamente lo potrà leggere nei numeri a venire di Teatro Naturale.
Sig. Minguzzi, le motivazioni d'acquisto di ciascuno di noi sono diverse e non afferiscono solo alle qualità intrinseche (es sapore). Altrimenti non esisterebbe la pubblicità, gli slogan e il packaging, solo per fare qualche esempio, che sono parametri che influenzano la propensione all'acquisto e al consumo. Oltre alle qualità intrinseche del prodotto vi sono quelle percepite, spesso immateriali. Il consumatore non sceglie alla cieca ma utilizzando tutti i suoi sensi, la memoria e l'esperienza.
Naturalmente accetto la provocazione. E' evidente che un articolo giornalistico non può essere esaustivo, ma serve a stimolare qualche riflessione e magari fare qualche approfondimento.
Venendo alla sua ultima provocazione: "è più buona la cioccolata". Non so, studio e verifico. Solo dopo fornirò la mia risposta. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio....

angelo minguzzi
angelo minguzzi
21 marzo 2017 ore 21:45

Impostata così la questione, sembra che il quesito sia: "va più forte il treno o è più alto il campanile?"
Al corso di metodologia statistica in agricoltura mi hanno insegnato che i confronti si fanno, a parità di altre condizioni, cambiando una sola variabile alla volta.
Chi lo ha stabilito che l'olio delle 3 varietà spagnole AAK debba costare meno di quello delle varietà italiane?
E che il superintensivo non si possa fare con le varietà italiane che hanno prezzo di vendita superiore?
Oppure, ammesso che oggi sia così (ma da dimostrare per gli aspetti agronomici e quelli commerciali) come possiamo pensare che la situazione non possa cambiare in futuro (sempre per gli aspetti agronomici e commerciali)?
15 anni fa in Spagna mi diedero dell'olio di Arbequina - non da superintensivo - e lo trovai delizioso, meglio di molti oli comprati in Italia.
Ammetto di non capire niente di olio, ma l'insalata condita con la storia o il paesaggio non migliora il sapore, almeno nel mio piatto.
Quali sono gli elementi oggettivi che rendono peggiore, e quindi meno pregiato, l'olio di Arbequina? Cosa dicono i test di degustazione, ovviamente alla cieca?
Conclusione: forse la risposta al quesito di partenza è questa: " è più buona la cioccolata!"

Emanuele Aymerich
Emanuele Aymerich
19 marzo 2017 ore 17:08

Mai detto che noi facciamo da riferimento al mercato, ci mancherebbe, era appunto solo una testimonianza. Sarò più esplicito: quando dico assobire la novità mi riferisco sia alla naturale diffidenza verso delle varietà sconosciute (il campanilismo in Italia è una malattia diffusa: le cose di casa nostra sono sempre le migliori pure quando non è vero) diffidenza che verrà meno con il tempo, sia al fatto che alcuni falsi campanilisti ne avranno approfittato per prendere in contropiede i produttori contestandole come meno appetibili. Sicuramente i produttori in futuro saranno più preparati ad affrontare il mercato e non si faranno più prendere per il naso. Buona domenica anche a lei.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
19 marzo 2017 ore 09:54

Sig. Aymerich, sebbene non sia chiaramente specificato, l'articolo prende in considerazione esclusivamente il mercato all'ingrosso e non singole realtà imprenditoriali. La ringrazio per la sua testimonianza e sono d'accordo con lei che il primo anno di confronto non può essere conclusivo, anche se sono state smentite le previsioni iniziali. Non mi trovo d'accordo con lei sull'effetto novità. Generalmente, anche in campo alimentare, le novità sono un fattore positivo per il consumatore e per le aziende. Le imprese alimentari sfornano continui nuovi prodotti proprio perché il nuovo ha un prezzo generalmente superiore al vecchio e le novità sono, a meno di passi falsi, apprezzate dal mercato. Teatro Naturale terrà orecchie e occhi aperti, verificando i trend di mercato anche nel corso della prossima campagna olearia. Buona domenica

Thomas Simpson
Thomas Simpson
18 marzo 2017 ore 13:45

Scrivo solo per ringraziare l'autore per l'ottimo servizio, dettagliato ma comprensibile al non-esperto!

Emanuele Aymerich
Emanuele Aymerich
18 marzo 2017 ore 13:29

Noi lo confezioniamo e lo commercializziamo direttamente quindi non abbiamo nessuna differenza di prezzo. Abbiamo un intensivo autoctono e due super, uno di cultivar autoctone al quarto anno di raccolta e un altro sperimentale (di sole 2.000 piante) di quelle tre citate nell'articolo ma al primo anno di raccolta. Quest'ultimo, l'unico purtroppo che abbiamo potuto raccogliere quest'anno, ci ha dato un olio di qualità eccellente, non solo simile alle varieta autoctone ma addirittura migliore di quello che produciamo di solito. Credo quindi che i motivi delle differenze che lei cita siano strettamente commerciali e temporanei, la novità ha bisogno di essere assorbita.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
18 marzo 2017 ore 12:24

Sig. Aymerich, nell'articolo è chiaramente specificato che si tratta del primo anno in cui si può fare un confronto di mercato. Ho interpellato numerosi produttori e frantoiani pugliesi e del centro nord prima di scrivere l'articolo. Le differenze di prezzo medie sono quelle indicate. Naturalmente sono pronto a confrontarmi con lei, nel caso abbia dati diversi. Le motivazioni per cui vi sia questa differenza possono essere numerose. La differenza di prezzo resta e forse è bene considerarlo, o ipotizzarlo, nei business plan per non avere sgradite sorprese nei conti economici a consultivo. Cordiali saluti

Emanuele Aymerich
Emanuele Aymerich
18 marzo 2017 ore 11:16

quindi chi confeziona e commercializza, a parità di provenienza italiana e di qualità organolettiche, paga meno? E per quale motivo? Mi pare presto per giudicare.