L'arca olearia

Troppa pioggia sugli olivi, l'occhio di pavone è già in agguato

Per lo sviluppo del fungo sono necessarie condizioni ambientali in grado di favorire la germinazione delle zoospore, in particolare elevate percentuali di umidità relativa e temperature comprese tra 16 e 24°C. Ci possono volere diversi mesi perchè la malattia si manifesti. Ecco perchè è così importante ricorrere alla prevenzione, in inverno e primavera

25 novembre 2016 | Massimo Ricciolini

In questi ultimi anni abbiamo potuto assistere ad effetti diretti e indiretti delle anomalie climati che sempre più spesso condizionano l'agricoltura e, nel nostro caso l'olivicoltura. Infatti gli inverni miti, le primavere piovose e miti e le temperature elevate concentrate nel mese di giugno, che hanno caratterizzatoil clima di questi ultimi anni hanno sfavorito l’allegagione, causato la cascola delle olivine e favorito lo sviluppo di alcune avversità dell’olivo, in particolare della mosca delle olive fra gli insetti e dell’occhio di pavone e della lebbra fra le malattie crittogamiche.

Cominciamo ad esaminare proprio l'occhio di pavone.

L’occhio di pavone, il cui agente causale è il fungo deuteromicete Spilocaea oleaginea (Castagne) Hughes, è la principale malattia crittogamica dell’olivo. Lo sviluppo di questa avversità è strettamente legato all’andamento meteorologico e, poiché il periodo di incubazione della malattia è molto lungo, l’efficacia della strategia di difesa adottata si può riscontrare solo dopo alcuni mesi. Questo ha portato alla codificazione di mezzi di lotta che giustificano due interventi, in fase primaverile e autunnale, soprattutto nei casi di oliveti posti in siti favorevoli allo sviluppo della malattia. La malattia ha ampia diffusione in tutti gli ambienti olivicoli del Mediterraneo oltre che in alcune regioni del continente americano, ma essendo la sua presenza pressoché correlata alla coltivazione dell’olivo, si può meglio dire che la malattia si riscontra in tutte le zone in cui è diffusa questa coltura.

L'insediamento e lo sviluppo del fungo patogeno

Il fungo rimane latente anche per lunghi periodi nello strato più esterno dell’epidermide delle foglie, determinando la formazione di colonie subito sotto la cuticola. Nel momento in cui si insedia sui tessuti vegetali, perfora lo strato cuticolare e di solito rimane confinato in tale strato ricoprente la parete esterna delle cellule epidermiche. A questo punto il micete si sviluppa con le proprie ife parallelamente alla superficie della foglia con colonie mono-stratificate appiattite. Tale sviluppo immerso a livello dello strato cuticolare e a ridosso delle cellule dell’epidermide viene interpretato come un adattamento di tipo nutrizionale e ambientale del fungo. Infatti, in seguito alla perforazione della cuticola e all’avanzamento del fungo a livello fogliare, le cellule dell’epidermide emettono una serie di sostanze che aumentano la resistenza all’avanzamento del micelio di S. oleaginea e quindi quest’ultimo rimarrebbe confinato nello strato iniziale. D’altro canto sembrerebbe che il pH sub alcalino presente in tale strato risulti favorevole alle attività nutrizionali del fungo stesso. Altro aspetto da non sottovalutare è che in tale nicchia il fungo rimane protetto dalle perdite di umidità, oltre che dall’eccessiva radiazione durante i periodi più caldi. A livello delle superfici interessate dalle lesioni si differenziano le fruttificazioni del fungo costituite da conidiofori giallo-bruni, fialiformi o ampolliformi e unicellulari. I conidi sono tendenzialmente ovali e/o piriformi, anch’essi unicellulari da giovani e bicellulari, a maturità. Le colonie del fungo, come detto precedentemente, risultano appiattite e di forma tendenzialmente regolare. Con il decadimento delle foglie anche la resistenza di queste ultime all’avanzamento delle colonie del fungo diminuisce, pertanto esse tendono ad approfondirsi all’interno dei tessuti fogliari determinando delle necrosi. I conidi trasportati dal vento e dalla pioggia vanno a depositarsi sugli organi sani della pianta assicurando la propagazione della malattia. In condizioni favorevoli di umidità e temperatura i conidi liberano le zoospore che germinano e sviluppano un micelio nello spessore della cuticola senza colpire i tessuti. Questo micelio si nutre per osmosi a partire dalle sostanze cellulari del tessuto epidermico. Il micelio poi emette verso l’esterno delle conidiospore che contengono dei nuovi conidi che chiudono il ciclo. Il fungo, durante i periodi avversi caratterizzati da alta siccità e da alte temperature o da freddo intenso, rimane pressoché quiescente. Ricordiamo che la sua diffusione avviene attraverso i conidi che vengono veicolati e trasportati dal vento, ma in misura maggiore dalle acque di precipitazione. Infatti l’insediamento di nuove infezioni avviene preferibilmente dopo un periodo di pioggia (o di umidità molto elevata) della durata di almeno 2-3 giorni. Sembrerebbe che gli organi di diffusione (conidi) acquistino un maggiore potere germinativo nel momento in cui sono sottoposti per qualche ora a un abbassamento termico (con temperature di poco superiori agli 0 °C). Inoltre è ipotizzabile che la diffusione del fungo possa essere favorita dall’insetto psocottero Ectopsocus briggsi. Per lo sviluppo del fungo sono necessarie condizioni ambientali in grado di favorire la germinazione delle zoospore, in particolare elevate percentuali di umidità relativa e temperature comprese tra 16 e 24°C (l’optimum è compreso tra 18 e 20°C). Queste condizioni di solito si verificano in primavera e in autunno. La durata dell’incubazione della malattia, periodo compreso tra l’infezione determinata dal contatto delle zoospore con i tessuti vegetali e la comparsa dei sintomi tipici e cioè le macchie fogliari, Le esigenze termiche per lo sviluppo del micete, nei suoi vari aspetti evolutivi, hanno un ampia variabilità che va da 2-3 sino a 28°C. Le macchie possono interessare tutta la lamina fogliare è estremamente variabile: da 2-3 settimane a diversi mesi (da 3-5 fino a 8-10). È da considerare che i due periodi favorevoli allo sviluppo del fungo hanno significati diversi in relazione alla diversità degli ambienti. Infatti, in climi caratterizzati da inverni poco rigidi, come quelli degli ultimi anni, la malattia può avere uno sviluppo dall’autunno fino alla primavera successiva, presentando un solo lungo periodo di stasi estivo. In climi con inverni molto freddi, invece, vi sono due periodi di stasi (uno invernale e uno estivo) con un maggiore prolungamento del periodo di stasi invernale rispetto a quello estivo. Esistono differenze a livello varietale nelle risposte al patogeno. Per quanto riguarda la Toscana, le cultivar maggiormente suscettibili risultano Pendolino, Moraiolo, Frantoio; tra le più resistenti si annovera la cultivar Leccino.

L’insediamento del fungo avviene prevalentemente sulle foglie e, a livello della pagina superiore delle stesse, l’infezione determina la comparsa di macule rotondeggianti grigio-brunastre, isolate oppure confluenti e con un diametro che può raggiungere i 10-12 mm. Le maculature di cui sopra, in modo particolare durante i mesi più caldi, si circondano di un alone giallo intenso e sembrano riconducibili agli “occhi” esistenti nella parte terminale di una penna di pavone (da qui, appunto, il nome dato alla malattia). A poco a poco le macchie diventano nerastre a seguito della comparsa delle spore. Dopo la dispersione delle spore le macchie diventano tendenzialmente biancastre per una camera d’aria che si forma tra la cuticola della foglia ed i tessuti sottostanti. Tali macchie vengono denominate “macchie d’estate”. A livello della pagina inferiore delle foglie l’infezione risulta molto meno evidente, spesso rilevabile solo attraverso annerimenti o leggeri imbrunimenti di parti della nervatura mediana. Quando si verificano le condizioni affinché il fungo possa diffondersi e determinare nuove infezioni, sulle macule circolari presenti sulla pagina superiore delle foglie si può riscontrare uno strato vellutato che è costituito dal materiale di propagazione agamico (conidi) con cui il micete si diffonde. Un altro sintomo non molto comune è costituito dalle cosiddette “macchie bianche” sulla pagina superiore delle foglie. Tali macchie tendenzialmente circolari e di colore biancastro, sono determinate dal distacco dello strato cuticolare (a causa dell’intenso sviluppo del micelio del fungo) e dalla formazione di uno strato di aria in concomitanza di favorevoli condizioni ambientali e in particolare quando le temperature scendono al disotto dello zero. Esse si originano, a differenza delle tipiche macchie dell’occhio di pavone, senza che il fungo abbia sviluppato conidiofori e conidi. La suscettibilità delle foglie agli attacchi del micete è strettamente decrescente con l’avanzare dell’età delle foglie stesse. L’attacco sul picciolo si manifesta con un restringimento del diametro che determina l’ingiallimento della foglia e la sua caduta. A livello dei frutti i sintomi sono più rari e si manifestano quando le drupe sono prossime alla maturazione. Le infezioni del fungo determinano delle piccole tacche scure, depresse, di pochi millimetri di diametro (1,5-3 mm). A livello del peduncolo si possono osservare delle piccole macule allungate di colore brunastro dell’ordine di 2-4 mm di diametro. L’attacco del fungo sul peduncolo può determinare il blocco del passaggio di linfa con la successiva caduta dei frutti. L’attacco avviene all’inizio della formazione dei frutti o alle prime fasi della maturazione. Sui rametti i sintomi ricordano quelli delle foglie e di solito sono Stato avanzato dell’attacco del fungo sulle foglie con colorazione biancastra delle macule localizzati in modo particolare a livello dei germogli. Tali attacchi non hanno una grossa importanza dal punto vista fitopatologico, ma assumono, viceversa, un certo valore nel mantenimento del potenziale di inoculo del fungo sulla pianta. Il danno più grave è quello a carico delle foglie. Pesanti infezioni e sviluppi della malattia possono determinare notevoli defogliazioni con conseguente ripercussione negativa a livello della produttività degli impianti olivicoli. La prematura filloptosi può verificarsi anche prima della completa manifestazione della sintomatologia tipica: le macchie fogliari a “occhio di pavone”. Fattori che influiscono sulla defogliazione sono: l’età della foglia (cadono prima le foglie più vecchie), l’intensità dell’infezione, la localizzazione delle lesioni, gli agenti meteorologici (vento, pioggia) e la stagione (filloptosi più intense si verificano in primavera). La caduta delle foglie può compromettere non solo il raccolto dell’anno ma, in caso di gravi infestazioni, la vita stessa della pianta. Dal punto di vista strettamente produttivo, da una serie di studi sperimentali succedutisi nel corso dell’ultimo cinquantennio, si è potuto dimostrare come defogliazioni precoci, causate dalla malattia in oggetto, siano in grado di arrecare un danno fino all’80% della produzione di frutti rispetto a piante testimoni protette. L’attacco della malattia avviene con maggiore intensità nella parte bassa della chioma della pianta, negli impianti con un sesto ridotto e dove vi sono le condizioni di ristagni di umidità. Sulle olive da mensa gli attacchi alle drupe possono determinare danni con ripercussioni negative dal punto di vista economico.

Difendersi dall'occhio di pavone

La difesa si effettua con trattamenti preventivi con prodotti a base di rame da eseguire prima della germinazione delle zoospore in primavera e in autunno. La buona efficacia di questi prodotti è nota; tra i rameici, gli ossicloruri sono da preferirsi alla poltiglia bordolese per la possibilità di eseguire trattamenti in miscela con insetticidi. In sintesi, in condizioni normali, sono consigliabili due interventi, rispettivamente verso la fine dell’inverno-inizio primavera e dopo le prime piogge autunnali. Nel caso che il decorso stagionale sia secco, in uno dei due periodi può essere sufficiente un solo intervento anticrittogamico. È da considerare che, in annate caratterizzate da piovosità molto elevata, può risultare utile un terzo intervento cadenzato nei momenti in cui si teme il ripetersi di forti infezioni. In alternativa ai prodotti rameici, per il trattamento possono essere utilizzati Tebuconazolo, Mancozeb o Trifloxistrobin. Ovviamente in impianti olivicoli che non evidenziano elevate infezioni del fungo e quindi presentano una ridotta incidenza della malattia, può essere sufficiente un eventuale intervento solo a inizio primavera oppure a fine inverno. Spesso tale ridotta incidenza della malattia avviene in quanto si verificano condizioni ambientali sfavorevoli allo sviluppo del fungo (ridotta piovosità, frequente ventilazione, idonei sesti di impianto), oltre a pratiche agronomiche efficaci nel limitare l’azione del fungo quali concimazioni razionali e potature idonee a determinare un’adeguata areazione della chioma. Riguardo all’attività dei fungicidi rameici, è interessante ricordare come, nel caso dell’occhio di pavone, essi svolgano una duplice funzione di protezione delle foglie non ancora infette e un’azione defogliante a carico della vegetazione infetta. Infatti, in seguito a ricerche biologiche ed epidemiologiche sulla malattia effettuate negli anni cinquanta da ricercatori dell’Istituto di Patologia Forestale e Agraria dell’Università di Firenze, si è potuto riscontrare come, per la lotta contro la Spilocaea oleaginea, sia di importanza prioritaria un trattamento rameico nel periodo fine inverno-inizio primavera. Tale intervento, oltre che per il periodo indicato, si giustifica grazie all’azione fitotossica che il rame determina sulle foglie infette in quanto ne determina la caduta. Ciò fa sì che le nuove foglioline possano crescere su chiome liberate dalle fonti di inoculo costituite dalle foglie infette. L’azione del rame a livello delle foglie infette avviene in quanto riesce a penetrare nel mesofillo fogliare grazie al fatto che lo strato cuticolare risulta danneggiato/lesionato dal micelio del fungo e così esplicare la sua attività fitotossica. L’importanza di questa azione di “risanamento” e/o parzialmente eradicante è legata al fatto che dalle foglie cadute a terra il fungo difficilmente riesce a infettare di nuovo la pianta. Il trattamento all’inizio della primavera, anche se non protegge le foglie che verranno formate nelle settimane seguenti, riduce notevolmente la possibilità che esse vengano infettate, in quanto elimina buona parte dell’inoculo presente. Le indicazioni fornite precedentemente sull’utilizzo dei prodotti rameici al fine della difesa dell’occhio di pavone valgono anche per la difesa nella coltivazione biologica. E’ importante ricordare anche che i trattamenti rameici realizzati da settembre in poi come antideponenti nei confronti di Mosca delle olive hanno un importante effetto anche nelle prevenzione delle infezioni autunnali di occhio di pavone. I trattamenti contro S. oleaginea sono efficaci anche nei confronti della Cercosporiosi dell’olivo causata da Mycocentrospora cladosporioides.

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