L'arca olearia
L'inchiesta dell'Antitrust sul falso olio extra vergine d'oliva e il gioco delle tre carte con i lotti
L'Antitrust chiude a tempi di record la procedura istruttoria a carico di uno dei marchi coinvolti nello scandalo Guariniello. Il provvedimento, con annessa sanzione, è atteso entro l'estate. Non mancano però anomalie e stranezze degne dei migliori thriller
29 aprile 2016 | Alberto Grimelli
Il 4 maggio 2016 si concluderà l'iter istruttorio dell'Antitrust a carico di una delle aziende coinvolte nello scandalo del falso olio extra vergine d'oliva che ha visto coinvolti sette importanti marchi oleari.
Si tratta del caso scaturito dall'inchiesta giornalistica del mensile Il Test – Salvagente, pubblicata a fine maggio 2015, che ha fatto aprire un procedimento penale da parte della procura di Torino, affidato in un primo tempo al pubblico ministero Raffalele Guariniello, con gli avvisi di garanzia diramati a metà novembre 2015.
A seguito del clamore mediatico suscitato dalla notizia e su segnalazione di diverse associazioni di consumatori l'Antitrust decise di aprire un procedimento a carico di tutte le aziende coinvolte.
L'accusa mossa è la violazione degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, ovvero la pratica commerciale scorretta, per aver venduto come extra vergine d'oliva un olio che in realtà era solo vergine d'oliva.
Generalmente i procedimenti davanti all'Antitrust hanno una lunga durata, spesso sono archiviati. In questo caso, invece, in sei mesi l'istruttoria a carico di uno dei marchi è terminata e, nel volgere di qualche settimana si chiuderanno gli iter anche per gli altri brand.
Usualmente i provvedimenti dell'Antitrust vengono emanati nei 90 giorni successivi alla data di chiusura dell'istruttoria e quindi è probabile che il provvedimento a carico di questa azienda venga reso noto prima delle vacanze estive.
Secondo indiscrezioni non confermate vi sono buone possibilità che l'Antitrust sanzioni l'azienda in questione con una multa da qualche migliaio di euro.
Non è certo l'importo della sanzione a spaventare le aziende coinvolte nello scandalo quanto un nuovo ritorno mediatico negativo a seguito di un provvedimento che, per quanto contestabile di fronte al Tar, rappresenterebbe comunque una condanna.
La Deoleo, proprietaria dei marchi Bertolli e Carapelli, ha certamente speso molto di più in pubblicità, per recuperare credibilità e buon nome a seguito dello scandalo, di quanto possa essergli eventualmente comminato dall'Antitrust, ad esempio.
Non è certo una novità che le multe costituiscano un'apposita voce nel bilancio di qualsiasi azienda, una voce di costo come un'altra, già pianificata e messa in conto.
Ciò che non è stato messo sufficientemente in conto è che l'attenzione sulle frodi e contraffazioni nel mondo oleario è ancora molto elevata, così pure la sensibilità del consumatore, e anche a questi fattori si devono, presumibilmente, i tempi estremamente celeri con cui l'Antitrust ha chiuso o sta chiudendo le istruttorie su questi casi.
Molto interessante è l'analisi della strategia difensiva, così come emerge dalla comunicazione di fine istruttoria, adottata dall'azienda coinvolta.
Sembra essere un vero e proprio gioco delle tre carte con i lotti degli oli commercializzati, volto a dimostrare, presumibilmente, la buona fede dell'impresa e la sua attenzione alla qualità.
Innanzitutto l'azienda ha contestato i risultati dell'analisi dell'Agenzia delle Dogane da cui emergeva che l'olio commercializzato era vergine e non extra vergine, esibendo analisi di un laboratorio privato accreditato sullo stesso lotto incriminato. L'azienda ha anche chiesto che l'Antitrust acquisisse i risultati dei test effettuati dai Nas, su incarico della procura di Torino, dal quale emerge che l'olio campionato era extra vergine d'oliva.
I lotti esaminati dai Nas (L3223C50) e quello esaminato dall'Agenzia delle Dogane (L2974C46) sono diversi e pertanto qualsiasi comparazione risulta impossibile. Però l'azienda cita, a propria discolpa, anche un campionamento, da cui risulta che l'olio è extra vergine d'oliva, eseguito dall'ICQRF in data 10 dicembre 2015, quindi l'annata olearia seguente a quella “incriminata”.
Insomma la tesi difensiva appare chiara: i risultati della prova dell'Agenzia delle Dogane sono contestabili e gli ulteriori accertamenti eseguiti dalle autorità dimostrano che l'azienda opera correttamente.
E' altresì evidente che, nella piena legittimità, l'azienda utilizzi anche gli organi dello Stato uno contro l'altro, per dimostrare difformità di giudizio e di analisi, così evidenziando l'incapacità di rilevare, oltre ogni ragionevole dubbio, il comportamento illecito.
Quando sovrapposizioni e duplicazioni di controlli, scarso coordinamento tra gli organi dello Stato, attività di verifica ordinarie che si affiancano a quelle giudiziarie straordinarie possono fornire alibi e giustificazioni, la colpa può facilmente tramutarsi in dolo.
Un controllo mal eseguito, senza dover pensare che venga pilotato, può fornire motivi e appigli per tesi difensive magari ardite ma, se ben poste, persino giudicabili ragionevoli da un non addetto ai lavori. Senza contare che, sulla base del decreto Campo libero, una conformità rilevata in sede di verifica ordinaria può far decadere altre verifiche successive, con interferenze magari per indagini in corso.
Nel caso specifico il controllo ordinario da parte dell'ICQRF del 10 dicembre 2015, con la conformità rilevata, può mettere in difficoltà gli inquirenti rispetto al proseguo di altre indagini, con buona pace della trasparenza del settore.
Talvolta sembra che gli organi di controllo, anziché collaborare, “giochino” a ostacolarsi.
E' anche grazie a questi comportamenti che il comparto resta opaco e continua a venir macchiato da scandali.
L'Italia olivicolo-olearia non può più permettersi che la colpa si tramuti in dolo.
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