L'arca olearia

L'olio d'oliva italiano rischia di scivolare sulla più classica delle bucce di banana

Questa campagna olearia sarà come lo scandalo del metanolo nel settore del vino. Si sprecano similitudini e analogie. A fare i furbi si rischia grosso, di perdere il doppio di quanto si può pensare di guadagnare oggi. Le opportunità ci sono ma dal baratro al paradiso il passo è breve. Due esempi per capire come l'annata rischia di prendere una brutta piega

14 novembre 2014 | Alberto Grimelli

E' ora di accantonare i pensieri nefasti che hanno accompagnato questa campagna olearia. Certamente è molto triste parlare al passato a metà novembre, periodo nel quale invece ferveva l'attività e i frantoi operavano giorno e notte.

E' stato un duro shock per tutti. In un contesto di smarrimento e sbandamento sono comprensibili, persino giustificabili, rabbia, frustrazione, sconforto, invidia.

Preso atto delle realtà, dopo aver masticato amaro, è ora di digerire in fretta e guardare già al prossimo anno. Perchè ci sarà un prossimo anno e un'altra campagna olearia. Può essere persino futile e banale ricordarlo ma è utile in questo momento, presi come siamo dal far quadrare i conti oggi, magari salvare l'azienda, con il rischio di scivolare sulla più classica delle bucce di banana.

Due esempi, diversi, diversissimi ma significativi di una campagna olearia che rischia di prendere una brutta piega, mettendo a repentaglio anche l'avvenire.

Oggi è certamente necessario essere flessibili. Di olio extra vergine d'oliva in alcune regioni ce n'è poco per non dire pochissimo. A volte le richieste di certificazione Dop si contano sulle dita di una mano, e non parlo di piccole denominazioni. Frangere olive venute da altre regioni e vendere il relativo olio, in totale trasparenza, non è una vergogna. Per chi non era attrezzato, certamente sarà necessario creare nuove etichette, una nuova linea di prodotto. Un passo necessario per non creare confusione nel consumatore, per essere trasparenti e onesti. Ritirare un'etichetta dal mercato e presentarne un'altra non deve rappresentare una vergogna ma un atto di sincerità rispetto all'eccezionalità dell'annata.
Diverso il caso di proporre un'etichetta ben conosciuta e radicata con un olio che non le appartiene.

Il “novello” dell'Olearia del Chianti è sempre stato un olio italiano, così si evince dalla lettura del sito internet dell'azienda. E' un marchio private label che ha una storia. Per necessità, ovvero scarsità di prodotto, quest'anno è diventato olio comunitario. E' chiaramente indicato in etichetta ma il consumatore disattento, secondo me, vedrà soprattutto brand e prezzo, convinto di portare a casa un olio italiano che invece sarà una miscela di extra vergini comunitari. Olio nuovo? Forse. L'azienda, da me telefonicamente interpellata, ha confermato trattarsi dell'olio della presente campagna olearia ma sull'etichetta non è indicato, stante invece la possibilità offerta dal regolamento comunitario 1335/2013.

Quest'anno sarà anche l'anno delle truffe nel settore oleario. E' probabile, vista la scarsità di extra vergine, ma soprattutto vista l'impennata dei prezzi. La differenza di prezzo tra un olio di semi di girasole ad alto oleico e un extra vergine spagnolo o tunisino ormai sfiora i 2 euro al chilogrammo. Non parliamo poi dell'extra vergine italiano. Al di là di queste truffe pacchiane, che potrebbero però tornare in voga, c'è il rischio che torni anche in auge il deodorato o la miscela con lampantini od oli vergini. C'è il rischio che l'olio greco (3,60 euro al chilo) diventi misteriosamente e miracolosamente italiano (7,10 euro al chilo). C'è il rischio che piccoli truffatori si ingegnino sfruttando la buona fede del consumatore. In questi giorni assistiamo infatti a una vera e propria psicosi da olio, con una ricerca compulsiva di extra vergini anche da parte di chi non ne aveva mai comperato. Piccoli olivicoltori che sono sempre stati autosufficienti non hanno prodotto nulla e solo alla ricerca di olio per il fabbisogno dell'anno. E' anche tempo di sagre e feste, dedicate all'olio nuovo, dove senza pensarci troppo ci si compra la latta o la bottiglia di olio nuovo.

Quanto fatto dal produttore salernitano, preso con le mani nel sacco dai carabinieri dei Nas, che acquistava olio in offerta al supermercato per poi rivenderlo come olio locale rappresenta una truffa pericolosa, non certo per l'entità (1600 kg) quanto soprattutto per l'immagine, non solo del territorio ma soprattutto delle categorie di olivicoltori e frantoiani. E' questione di fiducia. Se l'extra vergine dell'olivicoltore o del frantoiano è uguale a quello di qualche nota marca, allora meglio comprarlo direttamente al supermercato, risparmiando. Industriali e imbottigliatori avrebbero poi buone ragioni per lamentarsi, ma soprattutto chi vuol fare fesso il consumatore è il primo a rimetterci, anche se non viene pizzicato dalle forze dell'ordine, perchè perderà la faccia. E ne ha una sola!

E' una campagna olearia assolutamente eccezionale e negativa. Le associazioni, come l'Aifo, e le istituzioni, come la Regione Toscana, si stanno muovendo per chiedere lo stato di crisi e di calamità. Se l'Italia crede nel settore olivicolo-oleario dovrà trovare le risorse per aiutarlo e sostenerlo in un momento di estrema difficoltà. Deve anche moltiplicare i controlli e le verifiche laddove si annidano i maggiori rischi.

Occorre cogliere, in questo anno zero dell'olio, l'opportunità per rilanciare gli investimenti in oliveti e in tecnologie. Per rilanciare la ricerca e far ripartire il settore.
Il comparto, però, non si salva solo con finanziamenti o contributi pubblici. Ne abbiamo la prova dai decenni precedenti. Si salva se è fondamentalmente sano e quest'anno sarà la prova del nove.
Se l'olio italiano non si moltiplicherà, come i pani e i pesci, e se la maggioranza degli operatori, dall'olivicoltore all'industriale, saranno seri e onesti, allora c'è una speranza. Si può ripartire più forti e più consapevoli dei propri punti di forza.

Il passo dal baratro al paradiso è molto breve. Quale strada imboccherà il settore olivicolo-oleario italiano?

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Simon Albanese

16 novembre 2014 ore 07:44

forse chi ne ha giovato dalla vendita delle olive ad altre regioni sono stati i produttori che hanno venduto olive anche a 100€ al ql, cosa che solo l'anno scorso non arrivava a 50€..Quindi hanno preso i soldi subito.
Ovviamente poi la situazione cambia sullo scaffale dove troveremo olio italiano superiore ai 10/11€.
Ma il settore dell'olio italiano è in crisi da molti anni e a farne le spese sono in primis i produttori che abbandonano i campi perché si importa olio comunitario, se non extracomunitario, e lo si vende con il marchio di un'azienda italiana.

Giovanni Ciriello

15 novembre 2014 ore 19:46

Di sicuro la strada che porta al baratro, come si è sempre fatto in tutti questi anni.
"Frangere olive venute da altre regioni e vendere il relativo olio, in totale trasparenza, non è una vergogna. " questo è vero, ma vendere la propria materia prima ad altre regioni, questa Si che è una gran vergogna. Motivo per il quale il mercato è impazzito nel sud barese e nella BAT.