L'arca olearia

La verità sul comparto oleario? Sopravviveva truccando i dati della produzione

Il presidente dei frantoiani di Aifo, Piero Gonnelli, senza peli sulla lingua: “l’autocritica se la dovrebbero fare soprattutto coloro che hanno trasformato un grande prodotto in una “civetta” da promozione”

26 settembre 2014 | Alberto Grimelli

La situazione del comparto olivicolo-oleario italiano, quest'anno, appare particolarmente critica per la mancanza di prodotto e il possibile sorpasso della Grecia sull'Italia.
Uno scenario che vede il nostro Paese perdere competitività non da oggi ma da molti decenni ormai. Inutile piangere su un Piano olivicolo mai veramente nato né su un'Alta Qualità presa nelle grinfie della burocrazia e della politica.
Ormai si tratta di lottare per la sopravvivenza perchè da 6000 frantoi si è passati a poco più di 3700 in pochi anni. Con gli olivicoltori sono stati i frantoiani i primi a soffrire della crisi strutturale del comparto.
Ora c'è da risalire la china. Ci si riuscirà? Come? A quale prezzo? Domande che abbiamo rivolto al Presidente di Aifo, Piero Gonnelli.

- L'Italia produrrà solo 300 mila tonnellate di olio d'oliva in questa campagna olearia. Una fase di declino che dura ormai da diversi anni. Un trend inarrestabile?
E’ un trend e come tutti i trend si può invertire. È solo un problema di volontà politica e di capacità imprenditoriale. Una cosa è certa: l’epoca dell’olio di carta, con l’introduzione del portale Sian, è definitivamente alle nostre spalle. Da oggi in poi chi vuole bleffare sui dati della produzione ci deve mettere la faccia, assumendosi finalmente tutta la responsabilità. A nostro giudizio il declino dell’olivicoltura italiana non è il risultato di un avverso destino, bensì la conseguenza necessaria di politiche non lungimiranti e di una imprenditoria che ha scelto di fare soldi senza valorizzare e difendere realmente l’originalità del prodotto Italiano. Per quanto ci riguarda la possibilità di rinascere è dietro l’angolo se l’Italia inizia a scommettere realmente sulle aziende italiane che selezionano in campo la materia prima e la lavorano applicando il proprio know how che rende unico l’olio extra vergine di oliva italiano.

- Il trend del declino della produzione va di pari passo con la chiusura di molti impianti oleari, più di 2000 nel giro di 5 anni. C'è da fare autocritica nell'associazionismo o servono aiuti pubblici per evitare il tracollo del sistema?
La presenza di oltre 6000 frantoi in un mercato che produceva realmente 400 mila tonnellate di olio è la risposta più esaustiva capace di spiegare esattamente come tutto il sistema sopravviveva truccando i dati della produzione. Per riscattarsi tutto serve meno che aiuti pubblici. È necessario creare condizioni di trasparenza nel mercato dell’olio, far rispettare le leggi che ci sono con una lotta mirata alle frodi, dando valore alla produzione artigianale di alta qualità, sostenere l’export delle piccole e medie aziende. Ma soprattutto una scelta politica di governo a favore dell’olivicoltura, che vuol dire nuovi impianti arborei. Quanto poi all’autocritica nell’associazionismo credo che non se ne faccia mai abbastanza. Ma l’autocritica se la dovrebbero fare soprattutto coloro che hanno trasformato un grande prodotto in una “civetta” da promozione.

- Sono state più utili, per il comparto, le inchieste e gli scandali o l'introduzione del registro Sian? A proposito, perchè tante proteste alla sua introduzione?
Siamo il paese dell’evasione fiscale, dell’omertà, dell’arte di arrangiarsi…. Come si poteva immaginare che l’introduzione di un sistema di controllo efficace potesse essere accolto con grida di gioia, come si può pensare che coloro che si sono ingrassati per decenni sull’ignoranza del consumatore possa esultare per inchieste che mettono a nudo un sistema criminale, come è quello della truffa alimentare. A nostro giudizio tutto ciò che rende il mercato del cibo più pulito è benvenuto purché venga gestito senza autolesionismo. Non sono certo i contrasti in Italia a favorire le esportazioni di Spagna e Tunisia, piuttosto certe porcherie che abbiamo esportato noi che hanno reso ridicolo il vero made in italy. Quando si sente parlare di “capacità di blending” e poi si assaggia qualche bottiglia da 2,49 euro ti si alzano i capelli sulla testa.

- Tra gli olivicoltori, detentori del prodotto, e gli industriali, detentori del know how e del marketing, i frantoiani non rischiano di rimanere schiacciati? Che mercato sperano di ritagliarsi?
Questa è una tripartizione di altri tempi. Gli olivicoltori detengono le olive, la materia prima, gli industriali detengono laboratori, bottiglie e uffici commerciali, i frantoiani sono i produttori dell’olio. Inoltre, nella categoria dei frantoiani oggi è possibile distinguere due tipi di impresa: i contoterzisti, coloro che estraggono l’olio dalle olive per conto degli olivicoltori e i frantoi artigiani che fanno un prodotto a filiera chiusa e cioè dall’oliva alla bottiglia sulla tavola. In un mercato sano e trasparente i frantoi artigiani hanno un luminoso futuro, e per questo AIFO si batte con tutte le sue forze. Abbiamo idee, interessi e prospettive diversi che non possono essere ricompresi in una unica Organizzazione Interprofessionale. È l’esatto contrario di un pregiudizio, è il risultato di una lunga esperienza e di una prova dei fatti.

- I frantoi oleari italiani, eccezion fatta per qualche realtà cooperativa, sono delle piccole-medie imprese che si trovano a competere con realtà molto più grandi in Spagna, Tunisia, Cile. Parola d'ordine aggregazione anche per i frantoi?
Certamente. Abbiamo promosso un consorzio dei frantoi artigiani. Le imprese che ne fanno parte possono garantire al consumatore un prodotto sano, sicuro, buono e al giusto prezzo. Parlo di garanzia perché facciamo un olio extravergine di alta qualità certificata, garantendo al consumatore la tracciabilità e qualità della materia prima, le olive, e, questa è la novità, una tecnologia, un processo di produzione e una professionalità del mastro oleario che fanno la differenza con qualsiasi altro olio da olive presente sul mercato nazionale ed internazionale.
Una considerazione finale: ho letto con interesse le parole dei due nuovi Presidenti di Unaprol e Assitol, a cui faccio i miei migliori auguri per il loro nuovo incarico. Mi sembra si possano rintracciare le ragioni di un comune impegno, che deve sempre essere condiviso quando è in gioco, come in questo momento, il futuro di un settore produttivo importante come quello dell’olio dalle olive.
Credo che, nel contesto economico e sociale in cui ci troviamo, è fondamentale compiere un grande sforzo per dare valore etico e morale al nostro impegno di imprenditori. Abbiamo un sogno, non inseguiamo un’utopia: creare un mercato in cui l’extravergine di chi produce è facilmente identificabile, un mercato dei produttori e dei consumatori.

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