L'arca olearia

Unaprol e Assitol a confronto. Sinergia o scontro? La parola ai Presidenti

Attualità, politica e strategie dei nuovi vertici dell'associazionismo olivicolo e dell'industria olearia. Interessi diversi tra Giovanni Zucchi e David Granieri ma pacatezza e voglia di dialogo. E' davvero cambiato il clima nel comparto?

19 settembre 2014 | Alberto Grimelli

Molto è cambiato nel settore olivicolo-oleario tra giugno e luglio, a partire dai vertici di Unaprol, principale associazione olivicola italiana, e Assitol, massima rappresentanza dell'industria olearia nazionale.

Giovanni Zucchi ha preso la guida di Assitol in giugno.

David Granieri è stato eletto presidente Unaprol a luglio.

Due giovani alla guida di associazioni così rappresentative è certamente un forte messaggio, ma nel segno della continuità o della discontinuità?

- Dati contrastanti sul commercio dell'olio d'oliva mondiale. Da una parte le proprietà salutistiche di questo grasso sono sempre più apprezzate, dall'altra i dati di export sono in altalena da qualche anno. Quali prospettive per il comparto a lungo termine?

Giovanni Zucchi: Le prospettive per il comparto a breve termine dipendono sostanzialmente dalla ripresa ancora inesistente, anche se alcuni dati di vendita fanno ben sperare. Per dare un impulso sul medio-lungo temine, invece, il Coi dovrebbe riassumere quella posizione di promozione forte che si è esaurita poco più di una decina di anni fa. Il filone dei benefici dell’olio d’oliva, infatti, è ancora tutto da valorizzare e sviluppare. E’ bene ricordare che, a tutt’oggi, l’extravergine è impiegato in cucina soltanto da una ristretta parte della popolazione mondiale. Quanto poi questa crescita gioverebbe all’Italia, dipenderà dalla nostra capacità di fare sistema come filiera. I nostri contrasti degli ultimi anni hanno favorito le esportazioni di prodotto confezionato di una Spagna forte e coesa o di una Tunisia in grande espansione internazionale. Sarebbe molto utile, per esempio, lavorare insieme sul tema dei pesticidi per abolire le barriere non tariffarie di alcuni paesi e, nel frattempo, sulla modifica dei quaderni di campagna, due fattori che oggi impediscono di poter vendere una buona parte del prodotto italiano all’estero, fuori dall’Europa.

David Granieri: Non sarei così preoccupato come emerge dalla sua domanda. La produzione italiana, di extra vergine di qualità, è limitata rispetto alle potenzialità del mercato. Occorre essere onesti e riconoscere che abbiamo perso potenziale produttivo negli ultimi anni, come pure che vi sono ancora aree del Paese, come il Salento e alcune zone della Calabria dove si produce molto lampante. Al di là dell'autocritica, che ci stiamo ponendo anche come Unaprol, occorre guardare avanti e aprire gli orizzonti. La nostra strategia e i nostri successi saranno misurati e misurabili sul valore d'uso dell'associazione per i nostri soci. Dobbiamo puntare molto di più sulla governance della filiera e del prodotto. Le risorse ci sono e va ricordato sempre che si tratta di soldi per le imprese agricole e che devono rimanere in agricoltura. Poi occorre guardare fuori dall'Italia. Facciamo export ma non internazionalizzazione. E' un errore strategico. La rivoluzione dell'Ice, che si sta trasformando in un istituto per l'internazionalizzazione va nella giusta direzione. Dobbiamo comunque essere coscienti dei nostri limiti attuali: siamo un piccolo paese produttore di fronte al mercato globale.

- Annata di scarica annunciata nel Mediterraneo e anche la qualità potrebbe risentire di una cattiva stagione. Le quotazioni si stanno già rialzando. In passato è stato lanciato un allarme contro aumenti di prezzo che potrebbero rendere più competitivi altri oli vegetali sui mercati mondiali. Sarà così anche quest'anno?

David Granieri: Secondo me il rischio non esiste. Il consumo di olio extra vergine di oliva, specie se di qualità, è una scelta consapevole. Lo si acquista a scaffale per i benefici salutistici, per tradizione, per il gusto. Molte e diverse le ragioni che lo fanno preferire ad altri oli vegetali. E' per questa ragione che non sono convinto che l'olio extra vergine d'oliva possa essere sostituito con gli oli di semi, quindi non sono convinto che all'aumento dei prezzi corrisponda una diminuzione dei consumi. L'importante è sempre sostenere, con adeguate campagne di informazione, il consumo di extra vergine. Per quanto riguarda il prodotto di qualità, che ha necessariamente un prezzo elevato, a partire da un minimo di 7 euro al litro, occorre illustrarne il valore d'uso. Non occorre annaffiare il piatto, ne basta poco, abbassando però anche l'incidenza sulla spesa e con vantaggi per la salute. Tra l'altro, come ha sottolineato, si prospetta un'annata di scarica per il Mediterraneo. Ma meno quantità non significa necessariamente meno qualità. E' vero, ci sono attacchi di mosca in molte zone olivicole italiane ma i nostri olivicoltori sanno come ovviare al problema. Non è un caso se in Puglia la raccolta comincerà con 7-10 giorni di anticipo rispetto al solito. Ci sarà meno prodotto ma non credo sarà di qualità inferiore rispetto al passato.

Giovanni Zucchi: La campagna produttiva spagnola è senza dubbio scarsa, vedremo di quanto, e in Italia l’applicazione estesa del Sian sta disegnando una fotografia finalmente realistica delle disponibilità. Da Tunisia e Grecia invece si aspettano delle buone campagne. Senza dubbio, gli scarti violenti disturbano la crescita del mercato e riportano, soprattutto in anni come questi, una certa attenzione agli oli di semi, oltre ad impegnare finanziariamente in modo più pesante tutta la filiera. La difficoltà poi di trasferire alla GdO il nuovo costo dei prodotti è sempre più forte. L’olio extravergine è ormai utilizzato dalla distribuzione come prodotto civetta e senza segmentazione – ricordo quanto è segmentato il comparto del vino - le speranze della categoria di uscire da questa condizione sono poche. Per poter ottenere maggiore valore aggiunto per la filiera, cioè un prezzo più alto, l’unica strada è diversificare dal basso verso l’alto. Oggi molte politiche di promozione della qualità hanno provocato un il drammatico effetto involontario di schiacciare ogni cosa verso il basso. Approfondire, insieme a tutta la filiera, l’idea di un etichetta che racconta un po’ di più dell’olio extravergine è una strada, la revisione delle categorie potrebbe essere un'altra.

- La Russia sta pensando davvero di abbandonare l'olio d'oliva europeo? Quali ripercussioni per il settore se venisse meno un mercato promettente su cui si è investito molto nel recente passato?

Giovanni Zucchi: La situazione è di complessa interpretazione, a causa delle alterne vicende del conflitto con l’Ucrainae, quindi, del rapporto con la UE. Qualcuno legge l’accordo russo con la Tunisia come un abbandono dell’olio europeo ma, conoscendo l’attenzione che il Nord Africa ha dedicato all’oliva negli ultimi anni, forse è più giusto affermare che la Tunisia si è mossa bene sul mercato, in Russia come negli Stati Uniti. ASSITOL, del resto, ha già sottolineato più volte come la concorrenza più agguerrita al nostro export arrivi anche da Paesi emergenti come la Tunisia, il Marocco o la Turchia, che, a differenza del nostro Paese, molto hanno investito nel rinnovare la propria olivicoltura e la propria immagine all’estero.
Allo stato, la Russia ha bisogno di olio extravergine italiano europeo e non abbiamo riscontrato flessioni di rilievo per il nostro comparto. I dati del nostro monitoraggio continuano a registrare numeri importanti nell’Est Europa.

David Granieri: Il concetto stesso di embargo è anacronistico nel Terzo Millennio. Per questo sono convito che il blocco russo non possa durare a lungo. E sono altrettanto sicuro che i prodotti di eccellenza non ne soffriranno perchè riusciranno sempre a trovare vie di accesso. E' veramente difficile oggi creare un mercato autarchico. Nonostante questo colgo un altro segnale politico importante in questa situazione. Per colpire l'Europa non sono stati messi al bando prodotti manufatturieri ma l'agroalimentare. Per colpire al cuore l'Europa si colpisce l'agroalimentare. Deve far riflettere, così pure deve far riflettere che la Tunisia, oggi, possa esportare olio extra vergine d'oliva grazie al know how italiano. Siamo stati noi per primi a esportare là le conoscenze per i nuovi impianti e i macchinari. Oggi i tunisini raccolgono i frutti di questi investimenti. Secondo me fu un errore concedere così facilmente quel know how, è come se avessimo ceduto la nostra “ricetta di famiglia”. Dobbiamo fare tesoro di queste esperienze per prevedere un più attento ed equilibrato svciluppo del nostro comparto agroalimentare.

- L'Italia olearia è stata scossa da numerosi scandali mediatici (New York Times, Taiwan, Focus.de...) e altrettante inchieste giudiziarie (Arbequino, Fuente, Aliud pro olio). Quali politiche per risollevarne l'immagine?

David Granieri: Il danno d'immagine è stato ed è incalcolabile. Il brand Italia è sinonimo di qualità. E' un brand che vale, che porta valore aggiunto. Oggi può essere utilizzato con regole che non garantiscono più le aspettative del consumatore. Se si pensa all'Italia si pensa a qualità, territori, paesaggi e tradizioni. Dentro ai prodotti che esportiamo non c'è sempre tutto questo. La battaglia sull'origine è una battaglia per l'identità del brand Italia. Non vogliamo con questo scacciare l'industria ma certe regole, anche nel settore olearie, vanno riviste. E' il caso del TPA (traffico di perfezionamento attivo). Serve più trasparenza e coerenza. Barilla, tanto per citare un esempio, ha iniziato a produrre un brand di pasta con grano esclusivamente coltivato in Italia. Questo è vero Made in Italy, un esempio che caldeggiamo. Sul mercato interno continueremo a sostenere il lavoro di Nac, Nas, Icqrf e Corpo Forestale dello Stato. Le inchieste dimostrano che purtroppo le frodi esistono. Per risollevare l'immagine dell'Italia è sufficiente che se vi è l'evocazione dell'italianità del prodotto quello sia veramente e completamente italiano. Occorrono politiche che favoriscano questo processo di trasparenza, in Italia e all'estero. Occorrono scelte chiare e univoche. L'olio d'oliva è un prodotto agricolo e allora la competenza sia, dall'inizio alla fine, del Ministero delle politiche agricole. Non possiamo più permetterci guerre di posizione tra Ministeri o organi dello Stato. Anche su questo punto ne va dell'immagine dell'Italia in molte sedi istituzionali, a partire da Bruxelles.

Giovanni Zucchi: Le inchieste, che hanno toccato ogni parte della filiera, hanno dimostrato due cose.

La prima è che ogni inchiesta, che sia piccola, grande, giusta, sbagliata o inesistente genera un impatto mediatico che ci danneggia, danneggia tutta la filiera, irrigidendo in modo ingiustificatole nostre frontiere in uscita e bloccando quelle in ingresso di altri paesi, facendoci perdere quote di mercato a favore dei concorrenti stranieri. Questo vale sia per “made in” sia per il “bottled in”.
La seconda è che tutta la filiera ha bisogno di nuove regole di autodisciplina. Noi, i commercianti, i frantoiani, gli agricoltori. Solo la filiera può migliorare e rigenerare sé stessa. A vigilare sulla sicurezza e sulla qualità dell’olio esistono in Italia nove organismi di controllo, che operano costantemente a difesa del consumatore, ma che si sovrappongono e si disperdono in mille attività. Sedersi tutti intorno a un tavolo, come ha fatto il settore della carne qualche anno fa, e ragionare insieme su come razionalizzare e finalizzare i controlli potrebbe essere risolutivo e magari ci darebbe la forza di estenderli in tutta Europa.
Detto questo, mi piacerebbe semplicemente essere riconosciuti per ciò che siamo. Siamo i migliori esperti di blending al mondo e eseguiamo dieci-venti volte a settimana lo stesso procedimento artigianale che un frantoiano svolgedieci-venti volte a campagna. . Non siamo certo mastri oleari, ma molti di noi creano un olio di qualità con i blend che sappiamo costruire. Da sempre lavoriamo su un’attenta selezione della materia prima ed i nostri prodotti sono controllati prima e dopo la commercializzazione. Facciamo questo valorizzando a fondo anche il prodotto 100% italiano. Sono anni che non avanza un chilo di olio in produzione, se si esclude il lampante che segue logiche commerciali diverse. Nel fare tutto questo, portiamo oltre un miliardo di euro alla nostra bilancia commerciale e, solo di surplus generato dalle differenze quantità-valore dell’import-export, trasferiamo nel nostro paese oltre 400 milioni di euro di valore aggiunto, in stipendi, materiali, macchinari. Siamo perfetti? No di certo, ma nemmeno marci nel cuore come qualcuno ci descrive.

- Made in Italy e Product of Italy. Il primo prodotto da olivicoltori e frantoiani italiani. Il secondo confezionato da imbottigliatori e industriali italiani. Un compromesso è possibile?

Giovanni Zucchi: Il compromesso sarà possibile solo se ognuno di noi uscirà dalle trincee in cui si è rifugiato in questi ultimi dieci anni durante una battaglia inutile, senza vincitori né vinti. Noi abbiamo bisogno di organizzazioni agricole forti che sappiano tutelare il territorio e il tessuto sociale e che, al tempo stesso, sappiano anche fare da guida agronomica e reagire ai cambiamenti richiesti dai mercati velocemente. Penso di nuovo al tema pesticidi. Abbiamo anche bisogno di frantoi efficienti che creino prodotti di qualità controllata.
Dal canto nostro possiamo offrire le nostre competenze di marketing e la nostra capacità di vendita, la forza della nostra abitudine a trattare con interlocutori duri e formidabili come le grandi catene distributive. Basta pregiudizi inutili. Ricordo, infatti, che oggi il 50% del prodotto Made in Italy è commercializzato da imbottigliatori e confezionatori, mescolando varie cultivar per avvicinarsi ai gusti dei consumatori.
E perché il compromesso generi più valore e spazio per tutti, crediamo fermamente che il mercato vada segmentato e per segmentare è necessario la valorizzazione di tutte le categorie. Un ruolo per sansa, lampante/oliva e vergine dà solo più forza all’extravergine. Oggi l’extravergine ha un posizionamento da commodity, anche perché abbiamo sparlato di tutto il resto e tutto il resto non ha considerazione. Chi conosce i mercati, tutti i mercati, sa che metà della componente prezzo di un prodotto è dato dal prodotto base, quello più basso. Se questo sale di valore, tutti gli altri prodotti salgono, indipendentemente dalle altre variabili.
Le strade per ottenerla sono tante e complesse, un paio le ho espresse prima, e ci vorrà tempo, anche perché c’è Bruxelles da tenere in conto. Sono convinto però che sia maturo per tutti, noi compresi, il tempo di una riflessione sugli errori che sono stati commessi. Un’Organizzazione Interprofessionale davvero rappresentativa sarebbe il primo passo. Il secondo passo sarebbe una richiesta univoca di tutto il comparto affinché la politica assuma finalmente quel ruolo di pianificazione e coordinamento che è mancato in questi anni, sostenendo il rinnovamento colturale, l’aumento della maglia poderale o le aggregazioni, il rinnovamento dei frantoi e l’immagine all’estero di tutti i nostri prodotti. Sì, ho detto proprio tutti, perché il 60-70% di Bottled in Italy può ben sostenere un posizionamento più alto del restante 30% di Made in Italy.
Sono un visionario? Non so, so solo che andando avanti così ci tocca scavare, sempre più in fondo. A turno.

David Granieri: E' auspicabile che, anche se divisi per interessi e competenze, si vada tutti nella stessa direzione. Solo insieme saremo in grado di risollevare le sorti del Made in Italy ma tenendo conto delle rispettive sensibilità, progetti, programmi e idee. Ci saranno temi che uniscono e altri che dividono. Sarà sempre così ma è giusto e doveroso dialogare. Gli olivicoltori sono i dententori del prodotto e non possono fare a meno dei frantoiani per la trasformazione e degli industriali per la commercializzazione. E' anche vero che gli industriali, senza un prodotto veramente italiano, non potranno resistere a lungo solo con marketing e comunicazione. L'olio extra vergine di qualità italiano, nel mercato globale, sarà una nicchia esclusiva e perchè resti tale occorre che vi siano trasparenza, onestà e giustizia nei rapporti tra i diversi soggetti coinvolti nella filiera. A queste condizioni si può dialogare. Non è però giusto pensare di scippare il brand Italia a chi ne ha creato l'immagine, ovvero quegli agricoltori che, oggi come in passato, sono sinonimo di territori, sapori e profumi. Non accetteremo mai che il brand Italia sia oggetto di pura speculazione.

- Sulla scena internazionale il Consiglio oleicolo internazionale ha smarrito quell'autorevolezza che aveva 10-15 anni fa. Attacchi concentrici da Stati Uniti e Australia soprattutto ma anche azioni poco incisive e diatribe interne. E' diventato un ente inutile?

David Granieri: Il ruolo che dovrebbe svolgere il COI è fondamentale. Credo che debba reimpossessarsi di autorevolezza e professionalità. Occorre ricreare un organico che sia in grado di soddisfare le esigenze del mondo dell'olio d'oliva. Il COI deve dare delle linee guida, deve essere un faro. E' l'unico organismo internazionale realmente in grado di eseguire un capillare monitoraggio di produzioni e flussi commerciali. Vero è che ultimamente è stato anche territorio di scontro politico. Occorrerà svelenire il clima. Noi metteremo del nostro perchè vi sia l'auspicato recupero di autorevolezza e torni a essere un Ente importante al servizio del comparto.

Giovanni Zucchi: Senza dubbio, negli ultimi anni il COI ha risentito di un’immagine un po’ appannata. Come ho già espresso, crediamo che abbia tutti gli strumenti per rilanciare la sua azione in ambito internazionale, a patto di poter contare su maggiori risorse e una guida forte e disinteressata. In un mercato dell’oliva sempre più internazionale, il Consiglio Oleicolo continua a rappresentare il punto di incontro istituzionale di esigenze e culture dell’olio diverse, una sorta di camera di compensazione di un settore complesso. Nel nostro mondo, le guerre commerciali sono tutt’altro che un ricordo: non a caso Stati Uniti e Australia, negli ultimi anni, alle critiche anti-Coi, hanno affiancato strategie di mercato molto aggressive e subdole barriere non-tariffarie.

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