L'arca olearia

Il gioco dell'olio da olive: perchè l'industria olearia vince sempre?

Le piccole e medie imprese sono state aggredite dalle grandi imprese ma se la sono cercata e ne hanno preso la doverosa botta in testa. Distributori e consumatori hanno cambiato il mazzo di carte e ora l'industria olearia cerca di cambiare le regole del gioco. I piccoli rischiano l'osso del collo. La soluzione? Leggere Mario Cipolla e applicare la strategia del "tit for tat"

23 maggio 2014 | Gigi Mozzi

La "teoria dei giochi", che non è solo una "teoria", ma un insieme di sistemi logici
e di modelli matematici, che spiegano una buona parte dei nostri comportamenti
(individuali e di gruppo, personali e professionali, sociali e persino politici) 
e non riguarda solo i "giochi", ma tutte le relazioni e tutti gli scambi in cui siamo coinvolti
e tutte le interazioni di cui siamo protagonisti nei mondi che ci circondano,
racconta una storia interessante che si chiama "ultimatum game". 

Dalle nostre parti diciamo "quel che è mio è mio e quel che è tuo è mio",
un teorema molto diffuso e, da tempo, praticato anche nel mercato dell’olio da olive

L'ultimatum game dice che un giocatore incassa (vince, guadagna, suda, ruba, ......)
una somma e ne deve dare una parte (per meriti, per competenze, per accordi, per ricatto,….) all'altro giocatore:
se il secondo giocatore non accetta l'offerta, il compenso, quanto concordato o quanto richiede,
il primo giocatore perde tutto, e il secondo, pure.

Dietro a questo, come del resto a tutti i giochi ci sono due giocatori, ciascuno dei quali ha solo due possibili posizioni: essere cooperativo oppure, non cooperativo:
siamo d'accordo o non siamo d'accordo: o facciamo finta (il menù non cambia). 

E la teoria dei giochi insegna che, se le mosse non sono sempre cooperative,
alla fine, tutti ci perdono: come succede in casa, con gli amici, con i colleghi e anche nel gioco dei mercati,
quelli dell'alimentazione e della gastronomia, del gusto e della salute,
degli alimenti e dei condimenti, degli oli e dei sapori, dell'extravergine e non. 

Un professore di storia economica, Carlo M. Cipolla ha descritto in poche pagine di un piccolo libretto,
il nocciolo della teoria: “ognuno di noi ha una sorta di conto corrente con ognuno degli altri
e, da qualsiasi azione o non azione, ognuno trae un guadagno o una perdita,
determinando un guadagno o una perdita a qualcun altro.
Se Tizio e Caio sono cooperativi e partecipano un vantaggio reciproco (io vinco, tu vinci) entrano nella categoria intelligenti, se Tizio ottiene un guadagno procurando una perdita a Caio, il primo è un bandito e il secondo uno sprovveduto (io vinco, tu perdi): se Tizio procura una perdita a Caio, ma, allo stesso tempo, non ottiene nessun vantaggio per se, è uno stupido (io perdo, tu perdi).”

Nel valutare i benefici e le perdite, è assolutamente indispensabile riferirsi al sistema di valori di ciascuno e molti guai derivano dal fatto che non viene rispettato questo principio di civile comportamento".

Cipolla  dice che "quando Tizio dà una botta in testa a Caio, ne ricava soddisfazione
(o vantaggio) e potrebbe anche sostenere che Caio è felice di avere ricevuto la botta in testa.
Ma è altamente probabile che Caio non sia della stessa opinione e potrebbe considerare
il colpo in testa uno spiacevolissimo incidente".

Così come, nell'ultimatum game, mentre Tizio cede quello che considera vantaggioso
per l'altro, Caio potrebbe ritenersi danneggiato. e la dinamica della non cooperazione,
fatta di reazioni, di recuperi, di spinte, di finte, di ritorsioni, che illude ciascuno di ottenere
una vincita, spinge inevitabilmente i giocatori a finire nella categoria in cui entrambe perdono. 

Cosa succede, in pratica, nel settore nel mercato olivicolo-oleario.

Il giocatore (PIM) la piccola/media impresa, seleziona la materia prima del territorio italiano, la trasforma, la imbottiglia e la commercializza:
il giocatore (GIM) la grande impresa, imbottiglia materie prime trasformate da altri (di provenienza non sempre  precisa e precisata) e le commercializza.

Mentre il giocatore (PIM) sostiene che ne derivano due prodotti diversi, l’olio extravergine artigianale e l’olio extravergine convenzionale, il giocatore (GIM) sostiene che si tratta di una sola categoria e, date le dimensioni, produttive, organizzative, finanziarie e commerciali, fa valere il diritto del più forte.

In verità, l’offerta (PIM) è diversa dall’offerta (GIM):
la prima presenta un PRODOTTO (che è garantito e giustificato dalle caratteristiche dell’olio),
la seconda offre una BRAND (che giustifica e garantisce le virtù dell’olio presente nella bottiglia).

Forse non sembra, ma c’è una bella differenza, perchè nel primo caso il contenuto valorizza
il contenitore e nel secondo caso è il contenitore che dà valore al contenuto.

Pensare che questi ragionamenti siano solo accademia, significa prendere sberle senza sapere da dove arrivano e quindi, senza potersi difendere. 
Pensare che basti mettere una etichetta sulla bottiglia per avere costruito una BRAND
e comportarsi di conseguenza, scimmiottando le regole delle BRAND, significa fare
una mossa suicida e abbandonare un campo dove il PRODOTTO ha un reale vantaggio, per entrare in un altro campo di battaglia, quello delle BRAND senza avere le armi necessarie per competere.

Inutile, poi, dire che il giocatore (PIM) è stato “proditoriamente” aggredito dal giocatore (GIM): se l’è cercata e Cipolla direbbe che è una mossa rara, del genere “io perdo, tu vinci”.

Quindi, succede che di fronte ai Distributori e ai Consumatori, c’è un solo mercato, quello dell’extravergine (dove ci sono le BRAND, e dove i PRODOTTI cercano disperatamente di assomigliare alle BRAND) e c’è un solo differenziale, il prezzo: stavolta Caio, è andato lui alla ricerca della botta in testa, e merita (e dovrà fare finta) di essere felice.

In ogni caso, i giocatori (PIM) che hanno fatto sacrifici, non solo per preparare prodotti eccellenti, ma che hanno anche sostenuto spese per certificare le qualità produttive (dalle DOP alle IGP al BIO), sono pregati di non sollevare polveroni inutili, tanto sono piccoli e non hanno le qualità imbottigliative, organizzative, distributive e finanziarie per poter parlare.

Adesso il gioco si arricchisce di una nuova mossa intelligente: è un noto stratagemma, “solcare il mare all’insaputa del cielo”, dove l’effetto consiste nell’azzerare le resistenze distogliendo l’attenzione dalle situazioni importanti, facendo qualcosa di apparentemente innocuo ma dagli effetti risolutivi.  

Il giocatore (GIM) avvertendo troppa (e crescente) attenzione da parte dei Consumatori e dei Distributori alla categoria dell’extravergine, ritiene utile distogliere l’attenzione dalle questioni della qualità produttiva, e apre un nuovo centro di attenzione e discussione.

Sapete com’è, a furia di parlarne, qualcuno inizia a farsi domande sul fatto che prezzi al pubblico così distanti
(da 2, 5 € il litro a 25 € e più) nascondano oltreché virtù commerciali sopra-fine anche virtù produttive sopra-naturali.
Come nel gioco dell’oca, quando si riparte dall’inizio o, in altri giochi d’infanzia, quando si butta tutto all’aria e si dice “ricominciamo da capo”. 

Già una volta, lo stratagemma di dedicare grande attenzione ad alcuni dettagli, presentati come fondamentali, e offuscare l’attenzione su altri elementi invece importanti, ha dato risultati significativi.

L’olio da olive è diviso in 8 categorie, in cui il fattore di maggiore discriminazione sembra essere un indicatore “chimico”, l’acidità libera: le 4 principali sono l’olio extravergine (che ha una acidità libera espressa in acido oleico inferiore a 0,8%) , l’olio di oliva vergine (che ha una acidità libera inferiore a 2%), l’olio di oliva (che ha una acidità libera inferiore a 1%), l’olio di sansa di oliva (che ha una acidità libera inferiore a 1%). 
Sì, non ci sono refusi o errori di stampa: perché la differenza tra olio extravergine e l’olio di oliva, non è rappresentata dallo 0,2% di acidità libera ma dal fatto che l’olio di oliva è un prodotto industriale, che subisce una serie di processi di “rettifica” (qualcuno dice di pulizia o di purificazione) durante i quali il potere condente si trasforma in potere lubrificante.

Sempre meglio degli oli derivati dai semi, almeno sul piano nutrizionale della composizione degli acidi grassi, ma sempre poco a che vedere con gli attributi organolettici e salutistici degli oli extravergini e, in parte, degli oli vergini.

Quindi, la mossa del giocatore (GIM) di rinvigorire il tema della grande famiglia degli oli da olive, definite ex lege, potrebbe ridurre l’attenzione sulla ri-classificazione dell’extravergine in convenzionale e artigianale e con questo stratagemma mantenere e rinforzare la sua posizione non cooperativa “io vinco, tu perdi”. 

E  il giocatore (PIM) cosa dovrebbe fare? e cosa farà?
Sui libri la soluzione è la strategia “tit for tat”: nei frantoi non so.

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Pier Sante (nino) Olivotto

24 maggio 2014 ore 14:02

Quello che dici Gigi e' tanto + vero quanto + il consumatore e' ignorante.. Credo nel ruolo di internet e dei social media come Facebook nel creare cultura e conoscenza. Tutti i produttori artigianali devono coalizzarsi e usare Facebook per diffondere le grandi Verita sull ' Olio ExtraVergine di Oliva Artigianale