L'arca olearia

L'olio extra vergine di oliva come il rhum: agricole e industriale

Se da una parte “olio extra vergine di oliva” è ormai una parola priva di significato dall’altra il consumatore non ha ulteriori possibilità di conoscere agevolmente il prodotto che acquista, se non grazie al potere commerciale di pochi che possono investire in pubblicità. E l'olio può sperare in un testimonial del calibro di Hemingway?

07 febbraio 2014 | Francesca Gonnelli

Anni fa i Paesi caraibici capirono l’importanza di creare due categorie dello stesso prodotto: mi riferisco al rhum e alla sua storia diffusa e conosciuta nel mondo. Una suddivisione che è stata anche la fortuna di entrambe le tipologie (rhum agricolo e industriale) poiché che gli ha consentito una coesistenza grazie ad un diverso posizionamento sul mercato. Un processo che, invece, è mancato nel settore dell’olio extravergine di oliva dove, di fatto, da sempre esistono due filiere dell’olio extra vergine di oliva che, prive ognuna della propria identità, spesso si pongono all’antitesi ed in contrasto perché chiaramente differenti sono le necessità.

Il settore invece richiederebbe oggi un cambiamento radicale e un sostanziale rinnovamento che potrebbe racchiudersi in una proporzione: il rhum agricole sta al rhum industriale, così come l’olio artigianale sta agli oli extravergini industriali.

In questo caso il discrimine non sarà sull’impiego di un sottoprodotto ma sarà caratterizzato dalla fase di lavorazione a cui il prodotto si riferirà ovvero l’impiego diretto della materia primaria, l’applicazione di proprie competenze professionali e tecnologiche capaci di realizzare e dar vita a quel determinato olio extravergine di oliva.

E non è una questione di sola “qualità ” ma si tratta di una differenza sostanziale di lavorazione fra coloro che lavorano la materia prima (olive) e coloro che assemblano oli extravergine di oliva.

Nulla questio sulla rilevanza di quanto sia buono l’uno a dispetto dell’altro.

Sarà il consumatore a decidere cosa preferire in base ai propri parametri di scelta, di gusto, di abitudine, di fidelizzazione ad una data marca.

Ma è innegabile che, ad oggi, la normativa sull’etichettatura, europea e italiana, non è in grado di assolvere, da sola, ad un compito importante, direi fondamentale: dare a tutti la possibilità di scegliere il prodotto anche in base all’attore della filiera che lo produce.

Ciò permetterebbe anche di far capire il perché un prodotto che si chiama “olio extra vergine di oliva” è in grado di riempire una fila intera di scaffali del supermercato presentandosi con enormi ed abissali differenze di prezzo tanto da far pensare che non si tratti dello stesso prodotto.

Ed, in effetti, le cause di tali differenze sono molte, anche se non facilmente identificabili per i non esperti.

Dato che le modifiche normative sono assai complesse, visto che l’enorme quantità di marchi e certificazioni non sono riuscite (se non in rari casi) a trasmettere un messaggio chiaro per il consumatore, credo che ricorrere ad una corretta identificazione del prodotto sia doveroso e corretto.

Se da una parte “olio extra vergine di oliva” è ormai una parola priva di significato dall’altra il consumatore non ha ulteriori possibilità di conoscere agevolmente il prodotto che acquista, se non grazie al potere commerciale di pochi che possono investire in pubblicità.

Dagli USA il messaggio lanciato sul NY Times ha attaccato, in realtà, un sistema non rappresentativo dell’Italia che è composto da piccole – medie aziende che non avrebbero certo la possibilità e la convenienza economica di acquistare partite di olive dal mediterraneo per poi, dopo un lungo tragitto farle arrivare in Italia, portarle al frantoio e trasformarle poi in olio. Con chissà quali risultati! Senza contare gli enormi costi di trasporto e di logistica.

Pertanto chi produce l’olio extra vergine di oliva artigianale sarebbe immune da tali attacchi. Ma, suo malgrado, viene comunque coinvolto poiché non c’è alcuna distinzione su chi fa cosa nel settore dell’olio di oliva.

Non è ancora chiaro ai più che differenza esiste tra un oleificio e un frantoio.

Spesso associati idealmente in maniera totalmente errata e decettiva.

Un frantoio non può qualificarsi un’azienda agricola o oleificio così come è vero il contrario. Diversamente si realizzerebbe una pubblicità ingannevole nei confronti del consumatore.

Ed anche in questo caso il riferimento è sempre all’attore della filiera interessato.

Nodo cruciale, dunque.

Occorre pertanto, porre fine a questo periodo di “proibizionismo nell’etichettatura” per riuscire a fare chiarezza nel settore dell’olio obbligando gli operatori a qualificarsi in maniera corretta di fronte al proprio consumatore. Una chiarezza che deve essere fatta, quindi, non solo sul contenuto di prodotto presente in bottiglia ( al quale, giustamente, tutta la normativa degli ultimi tempi si è dedicata) ma anche sugli aspetti di identificazione e presentazione dello stesso.

Altrimenti dovremmo sperare in un altro testimonial del calibro di Hemingway per riuscire a dare charme e lustro ad un prodotto così importante per il nostro Paese.

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filippo Alampi

13 febbraio 2014 ore 22:56

In questo caso una categoria rimarrebbe decisamente scontenta.
Prima categoria, confezionatori/imbottigliatori/mercanti d'olio, coloro i quali, la loro principale attività sia quella di selezionare bene, meno bene, onestamente, meno onestamente una materia prima già trasformata da terze persone senza possedere nè una pianta di olivo nè tantomeno un frantoio. Fino a questo punto credo che tutti potremmo concordare che per questa categoria la menzione artigianale sarebbe poco opportuna.
Seconda categoria, i frantoi con proprietà di olivete, o frantoi che acquistano materia prima non trasformata, in questo caso si tratta di soggetti i quali riescono a controllare tutta la filiera,o comunque una parte importante della stessa, pertanto è evidente che possano vantare la menzione aggiuntiva "artigianale" sui propri prodotti.
Terza categoria, i contadini, i coltivatori diretti, gli imprenditori agricoli che di proprietà o in affitto gestiscano oliveti, gestendo la parte agronomica e partecipando con spirito critico ed analitico alle fasi di lavorazioni delle proprie olive al fine di ottenere un prodotto che li rispecchia e identifica, ma il tutto in un frantoio non di proprietà.
Bene è proprio questa la categoria che a mio avviso verrebbe danneggiata maggiormente, perchè l'eccelente olio extravergine di oliva che anche questa terza categoria a volte riesce a fare, in termini di etichetta verrebbe associato ad un prodotto analogo a quello di imbottigliatori/confezionatori/mercanti d'olio, ma con costi di produzione 10 volte superiore.

Francesca Gonnelli

13 febbraio 2014 ore 15:26

E' proprio per questo che è fondamentale far capire ai consumatori che, in realtà, esistono due filiere dell'olio extra vergine di oliva.
E riuscire a identificarle, senza aggiungere ulteriori oneri di certificazioni o altro. Capisco il punto di vista del proprietario delle olivete, l'unica riflessione che, al momento, rilevo è che il concetto di artigianalità viene riferito ad attività capaci di trasformare un determinato bene in un altro, attribuendole delle specificità. Con il proprio apporto diretto, professionale e tecnico. E, in questa ottica, il soggetto coinvolto sarebbe identificabile nel frantoio.
Infine, concordo con la signora Hippoliti quando lamenta una mancanza di informazione e cultura, partendo proprio dalla lettura dell'etichetta. Che, paradossalmente, sarebbe il modo migliore e più vicino alla gente per informare correttamente.

Michela Hippoliti

13 febbraio 2014 ore 12:07

Nella nostra cultura alimentare si fa tanta attenzione al vino di qualità ma non all'olio! Ogni giorno usiamo l'olio per condire quasi TUTTO quello che mangiamo.... e che differenza condire lo stesso piatto con un olio cattivo rispetto ad un olio di qualità! L'olio esalta profondamente i sapori della nostra tavola e della nostra cucina italiana amata in tutto il mondo. Ma agli italiani stessi manca educazione in questo settore. Si dovrebbero promuovere di più eventi e degustazioni, coinvolgere i bambini, le famiglie ed educarli a ciò che è buono e SANO. E semplificare le diciture sulle etichette.... non si capisce niente! Un consumatore comune, leggendo le etichette, non è in grado di capire la differenza tra un olio ed un altro. Possibile che l'Europa che legifera persino su cosa dobbiamo insegnare ai nostri bambini, non dica nulla in proposito? grazie

filippo Alampi

12 febbraio 2014 ore 22:25

Se per olio extravergine di oliva "Agricolo" si intende olio prodotto da produttori proprietari di olivete che dedicano tempo,passione e sforzi sia in fase di produzione del frutto che in fase di trasformazione dello stesso, della conservazione ed infine dell'imbottigliamento, in questo caso, concordo con quanto scritto da Francesca Gonnelli.
Sicuramente per il consumatore comune sarebbe un messaggio di maggiore impatto e di più facile comprensione rispetto al messaggio che ci è stato "concesso" di poter apporre in etichetta la scritta "I polifenoli dell’olio di oliva contribuiscono alla protezione dei lipidi ematici dallo stress ossidativo".
Per quanto riguarda ciò che ha scritto Valerio Valaperti, concordo con lui, ma attenzione quando scrivi "Siamo stufi di essere presi in giro da produttori FURBI", rischi di cascare nell'errore in cui è cascato l'autore delle vignetta pubblicata recentemente sul NY Times, confondendo i produttori di extravergine di oliva con gli imbottigliatori di "sostanza grassa".

valerio valaperti

12 febbraio 2014 ore 15:48

come si fa a comprare un'olio da 5-6 euro, non è possibile che sia fatto con olive. Io ho 100 ulivi e ogni anno ci rendiamo conto del costo annuo, per la potatura, i trattamenti e per finire in bellezza i costi della raccolta.
Mi rendo conto che siamo in un periodo di crisi e che le famiglie non possono spendere, però il benessere della famiglia viene prima di tutto.
Se dovessi comprare un'olio che al supermercato costa 3/4/5/6 euro, so già in partenza che non è di qualità, al di là di tutte quelle diciture in etichetta che confondono, io sono d'accordo con lei quando fa l'esempio di AGRICOLO e INDUSTRIALE, sarebbe molto più semplice e veritiero per il consumatore. Possibile che gli organi di controllo del settore non facciano nulla in tale riguardo. Dovete lottare per rendere merito al vero olio extravergine. Siamo stufi di essere presi in giro da produttori FURBI e da paesi esteri che ci prendono in giro su come non riusciamo a tutelare i nostri ottimi prodotti. Almeno le cose positive che facciamo e che ci rendono UNICI dobbiamo tutelarle come si fa con i bambini, PROTEGGERLE-ACCUDIRLE-FARLE CRESCERE .
Scusate per lo sfogo ma quando ci vuole....ci vuole