L'arca olearia

Può il 2% del mondo oleario dettare le regole al restante 98%?

Un fronte mai completamente sopito mette sui due lati della barricata i paesi tradizionalmente produttori di extra vergine e il nuovo mondo oleario, a partire da Australia e Argentina. E' battaglia dura sugli standard qualitativi e di genuinità. Può un extra vergine avere il 47% di acido oleico e 4,8% di campesterolo?

20 aprile 2013 | Alberto Grimelli

Il vecchio mondo olivicolo oleario, che rappresenta il 97-98% della produzione mondiale, e il nuovo mondo olivicolo oleario, che rappresenta il 2-3%, sono ormai ai ferri corti, anzi cortissimi.

Lo scontro, dalle sedi Coi, si è spostato al Codex Alimentarius.

Non è una novità. E' già accaduto qualche anno fa e il nodo del contendere si chiamava acido linolenico. Si tratta di un acido grasso essenziale, insaturo, appartenente alla categoria degli omega 6. In particolare è abbondante in alcuni oli di semi, come il girasole, il mais, il cartamo e il papavero. E' invece ugualmente scarso nell'olio extra vergine d'oliva. Proprio per queste ragioni, l'acido linolenico è diventato parametro di qualità e di genuinità. Per essere classificato come extra vergine la percentuale di linolenico deve essere inferiore all'1%, secondo le regole e i parametri del Coi e dell'Unione europea.

Alcuni paesi, tra cui Australia e Marocco, segnalarono tuttavia al Consiglio oleicolo internazionale che oli ottenuti esclusivamente dalle olive con procedimenti meccanici avevano valori superiori all'1%. Più precisamente compresi tra l'1 e l'1,5%. La segnalazione del Marocco, riguardante 2-3 campioni soltanto, non fu ritenuta sufficiente per aprire un dossier, ma anche l'Australia, ora come allora non membro del Coi, lamentò valori alti di acido linolenico. Il Coi diede avvio a un'istruttoria, richiedendo dati e campioni all'Australia ma questi non furono mai presentati eccezion fatta per uno studio, effettuato sulla sola cultivar Pendolino, che, in caso di raccolta precoce, presentava oli oltre limite.

“Anche in Italia – ci spiega Maurizio Servili del Dipartimento di Scienze degli alimenti dell'Università di Perugia – se la Pendolino viene raccolta troppo precocemente, alla fine di settembre o inizio d'ottobre, può presentare valori anomali di linolenico. Se raccolta al giusto stadio di maturazione, però, i parametri tornano negli standard. Non si possono sempre generalizzare casi specifici. Ricordo che, nello stesso periodo, l'Italia segnalò anomalie, relativamente agli steroli, per la Coratina in purezza. Giustamente la segnalazione fu archiviata riguardando casi troppo specifici e limitati.”

Contrasti che spesso portano, per come sono formulate le regole di rappresentanza e di voto nel Codex Alimentarius e nel Coi, a norme diverse, difformi e disomogenee, così creando difficoltà nella circolazione delle merci e nel commercio internazionale dell'olio extra vergine d'oliva.

La storia dell'acido linolenico sembra si stia ripetendo oggi per quanto riguarda il campesterolo. Teatro Naturale ha già avuto modo di parlarne: ostruzionismo del Coi e dell'Europea sull'aumento del limite di campesterolo nell'extra vergine

Oggi siamo in grado di offrire anche qualche retroscena in più.

L'Argentina è da poco diventata membro del Coi dopo essere stata per diversi anni solo osservatore. Paese che si sta affacciando all'olivicoltura da poco più di un ventennio ha un'area olivicola vasta vicino a Mendoza e, più recentemente, ha piantumato molto anche nella zona di San Juan, più vicino al confine brasiliano. Qui dimorano circa 120-130 mila ettari prevalentemente della cultivar Arbequina. Purtroppo, però, non si tratta delle migliori condizioni per questa varietà a causa delle temperature troppo elevate, notturne e diurne, in fase di maturazione (30-35 gradi). Si ottiene così un olio certamente dal basso valore salutistico e poco stabile nel tempo.

“Abbiamo riscontrato anche oli aventi valori di acido oleico al 47%, con campesterolo tra 4 e 5 e soli 50 mg/kg di polifenoli” ci conferma Maurizio Servili.

Si tratta di valori che, nell'insieme, fanno assomigliare questi extra vergini più a oli di semi che non d'oliva. In ogni caso, considerata l'entità della problematica, il Consiglio oleicolo internazionale ha messo al lavoro i suoi tecnici ed esperti.

“Abbiamo creato, per ogni anomalia, degli alberi decisionali. Questo significa che, a fronte del valore di un singolo parametro fuori standard, l'olio poteva essere considerato comunque extra vergine nel caso rispondesse a limiti più restrittivi per altri due o tre parametri, tali da garantire la genuinità del prodotto.” ci spiega Servili.

Gli alberi decisionali sono stati approvati, a livello tecnico, lo scorso autunno ma l'Argentina ha rifiutato che si applicassero a specifiche origini, ovvero agli oli provenienti dalle aree dove è riscontrato il problema, chiedendo che le nuove regole divenissero globali.

In questo caso, però, ci si sarebbe trovati di fronte a regole costruite per meno del 2% della produzione mondiale dell'extra vergine (anche l'Australia ha lamentato simili problemi di campesterolo) ma estese al restante 98%.

Il classico esempio di come l'eccezione diventa regola.

Una situazione di stallo che si è venuta a originare in un quadro difficile, visto che il Coi non è riuscito ad approvare il bilancio con la conseguenza che, quest'anno, tutte le attività risultano bloccate. Ne sono scaturite accuse reciproche. Scagli la prima pietra chi è senza peccato. Le difficoltà finanziarie del Coi avrebbero infatti avuto origine anche dalla diserzione di alcuni paesi nuovi produttori dalla seduta di approvazione del bilancio.

E' quindi guerra al calor bianco. Da una parte i paesi del bacino del Mediterraneo vedono in questa volontà di allentamento delle regole il tentativo di dare il via libera a miscelazioni truffaldine con oli di semi da parte di paesi, come Australia e Argentina, che sono notoriamente produttori più di semi oleosi che di olive, dall'altra parte i nuovi paesi produttori che vedono nel Coi una forza di retroguardia, mirata solo al mantenimento dello status quo.

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