L'arca olearia
Origine più che caratteristiche organolettiche nelle scelte del consumatore
Il consumatore sa riconoscere l'extra vergine di qualità? Quali fattori sono determinanti al fine di giudicare la piacevolezza di un olio? Il consumer test dell'Ibimet fornisce un quadro sorprendente e preoccupante
02 giugno 2012 | Alberto Grimelli
“Anche in un territorio vocato e con una lunga tradizione olivicola, come la Toscana, il consumatore fatica a discriminare, anche a un livello elementare, la qualità dell'extra vergine, lasciandosi guidare dall'abitudine e da radicati stereotipi.” Una sentenza apparentemente senza appello quella di Massimiliano Magli, ricercatore dell'Ibimet-Cnr di Bologna che ha condotto un consumer test, in occasione di Medoliva 2010, su 542 persone.
Il test consisteva nella degustazione, su un pezzettino di pane, di sei differenti oli d'oliva, seguito da un'intervista in cui si chiedeva non solo di esprimere una preferenza ma anche di motivarla e di identificare il prodotto toscano tra quelli assaggiati.
I sei oli in esame comprendevano quattro oli di elevata qualità e diverse provenienze, un extra vergine d'oliva di massa (caratteristiche organolettiche tenui) e un olio vergine d'oliva con difetto di avvinato.
L'olio di massa e quello vergine hanno ottenuto voti inferiori rispetto a quelli degli extra vergini di alta qualità. Su una scala da 1 a 9, il voto medio per l'extra vergine di massa e quello vergine è stato di 5, contro il 6 degli oli di alta qualità. Nessuna significativa differenza di votazione è stata espressa tra l'olio di massa e quello vergine d'oliva.
Si tratta di un risultato apparentemente confortante ma andando a scavare un po' più a fondo si scopre che il 40% degli intervistati ha classificato comunque come “buoni” gli oli di massa e vergine d'oliva, in una scala di giudizi divisa su tre livelli: insufficiente, indifferente, buono. Se vi aggiungiamo la percentuale di coloro che hanno dato un giudizio indifferente, circa il 20%, arriviamo a più della metà degli intervistati che non ha ritenuto di dover penalizzare l'olio di massa e quello vergine d'oliva.
“Se in un territorio come la Toscana abbiamo questi risultati – ci dice Magli – temo che in altre aree, meno legate alla tradizione olearia, si avrebbero percentuali superiori. Il consumatore riconosce una differenza tra gli olivi di elevata qualità e quelli di massa e vergine ma questo poi non si traduce in una valorizzazione dell'eccellenza. C'è ancora molto da lavorare sulla percezione della qualità da parte del consumatore.”
Risultati ugualmente sorprendenti li abbiamo anche a proposito dell'origine. L'indagine ha infatti permesso di scoprire che venivano associati all'origine toscana non tanto le caratteristiche organolettiche del prodotto, quindi un particolare profilo, ma la piacevolezza generale dell'olio. Di solito, indipendentemente da profumi e sapori, l'extra vergine che otteneva il voto più alto era associato come toscano. Un risultato che induce a credere che il legame con l'origine non venga vissuto dal consumatore in ragione di parametri ben definiti ma di un immaginario, di un'idea.
Ma cosa percepisce maggiormente un consumatore all'assaggio? Quali caratteristiche organolettiche? Quali sono, cioè, gli elementi essenziali della piacevolezza? “L'esperienza condotto ci induce a credere che l'amaro e il piccante siano certamente gli attributi più percepibili e percepiti – afferma Magli – ma solo una piccola fetta del campione di intervistati (12-13%) li apprezza. Generalmente gli oli con meno amaro e piccante raggiungono punteggi di piacevolezza più elevati. Se ne deduce che l'amaro e il piccante siano i fattori più determinanti nella scelta e orientamento del consumatore.” E su gli altri attributi? Fruttato? Erba? Carciofo? “Il consumatore ha un'estrema difficoltà a coglierli, considerandoli più questione da addetti ai lavori. Non è abituato a degustare l'olio tal quale ma in abbinamento a un piatto. Spesso poi gli attributi sono considerati tanto tenui, a un olfatto e palato non allentati, che, di fronte a descrizioni organolettiche dettagliate e precise, il consumatore può rimanere disorientato o deluso. Non bisogna mai dimenticare che l'extra vergine, nel consumo quotidiano, è un condimento e l'alimento al quale è abbinato ne media il gusto. Questo, ovviamente, non significa che l'extra vergine sia neutro e neutrale. E' un esaltatore di sapidità e può condizionare il risultato organolettico di un piatto ma fondamentalmente dipende dal piatto. Più questo sarà semplice e più il ruolo dell'olio sarà accentuato. Il mondo dell'olio è troppo autoreferenziale. Occorre parlare al consumatore in maniera più semplice. In base a questa esperienza ritengo che, allo stato attuale di consapevolezza e conoscenza del consumatore, occorra puntare più sull'origine che sulle caratteristiche organolettiche.”
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