L'arca olearia
I punti di debolezza dell'olivicoltura nazionale si contrastano solo con una decisa azione politica
I dati e le prospettive non compensano tuttora i costi produttivi degli oli nazionali. Grossa parte del Paese è in condizioni di produrre oli di “alta qualità" ma è necessario introdurre una normativa che inserisca tale menzione e fornisca chiarezza nelle scelte del consumatore
28 aprile 2012 | Gianfrancesco Montedoro
Gli ultimi dati statistici forniscono due risultanti interessanti: produzione e consumo di olio d’oliva si attestano su valori pressoché identici. A questi si aggiunge un ulteriore dato significativo: i consumi mondiali degli ultimi 5 anni vedono un incremento costante annuo del 3%. In questo contesto gli incrementi di consumo più interessanti riguardano paesi come USA, Cina, Brasile, Canada e Giappone. Sempre in questo ambito gli scambi internazionali più evidenti, in particolare quelli riguardanti l’export annoverano i paese seguenti: Spagna, Tunisia, Portogallo, Grecia e Marocco. La prima detiene ancora ampiamente il primato seguita dall’Italia, paese che registra un lieve calo.
Per quanto riguarda gli oli extra vergini DOP, l’Italia detiene il primato mondiale con ben 41 indicazioni. Diverso è invece il volume degli oli certificati DOP rispetto al totale; valore che si attesta intorno all’8%, percentuale ormai stabile da molti anni
Questi dati e prospettive, allo stato attuale, non hanno compensato e non compensano tuttora i costi produttivi degli oli nazionali.
A queste considerazioni che denotano un punto di debolezza del sistema sono da aggiungere alcuni fatti di questi ultimi giorni. Recentemente alcuni importanti giornali nazionali hanno “ricamato” sulla nostra esportazione denunciando alla opinione pubblica che i nostri esportatori commercializzano prodotti nazionali contraffatti nell’origine. In pratica oli esportati come italiani sono tagliati con oli d’importazione con grave danno per l’immagine del prodotto nazionale. Pur deprecando tali comportamenti, a ben pensare, la normativa attuale, pur con tutti gli aggiornamenti, impone ai confezionatori, unico alimento nello scenario europeo, di classificare il prodotto in etichetta con un unico termine “Extra vergine di oliva”. Per di più con la possibilità di aggiungere la menzione “qualità superiore”indipendentemente dalla presenza e dalla concentrazione di alcune componenti minori, scientificamente documentato, come responsabili della prevenzione di alcune patologie croniche. Per contro vengono accertati due parametri, l’acidità ed il Numero di Perossidi (irrancidimento). Questi ultimi possono raggiungere valori fino a 20; soglia che pone seri limiti in ordine alla sicurezza e soprattutto alla sua conservabilità.
La stessa EFSA (European Food Safety Authority) affronta il problema evidenziando l’importanza dei composti fenolici sul fronte fisiopatologico, sottolineando l’importanza di questi composti sulla “protezione del LDL colesterolo dai danni ossidativi”. Ma la normativa citata non consente di riportare tale citazione, differenziando un olio che contiene queste componenti con un altro con basse dosi o del tutto privo.
A questo punto quale interesse ha un produttore e/o un distributore a conseguire risultati che soddisfino le attese di consumatori disposti a pagare per aver questa tipologia di prodotto ? Come è possibile definire un olio extra vergine di qualità superiore ? Superiore a cosa ? O non sarebbe opportuno riservare tale menzione o meglio ancora “alta qualità” in analogia con il settore del latte alimentare che in pochi anni ha avuto uno sviluppo impensabile contribuendo a sviluppare una zootecnia di livello europeo sia dal punto di vista della sicurezza, della tutela dei consumatori. e degli allevatori che riescono a produrre utili da reinvestire. Grossa parte del Paese con adeguate tecnologie è in condizioni di produrre oli di “alta qualità: E’ necessario investire risorse dal punto di vista politico. Al fine di introdurre una normativa che inserisca tale menzione nella classificazione fornendo chiarezza nelle scelte del consumatore.
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Accedi o RegistratiAlberto Grimelli
01 maggio 2012 ore 10:39Gent. Sig. Vittori,
la definizione di olio artigianale può essere tramutata agevolmente in domande che il consumatore può porre e porsi al momento dell'acquisto di un extra vergine:
l'olio è di elevata qualità? I parametri di legge sono abbondantemente rispettati? Al profumo e al gusto è fresco, sa di oliva, è erbaceo, ha note aromatiche particolari?
è prodotto da olivicoltori e frantoiani?
posso capire da dove vengono le olive che hanno prodotto l'olio?
il produttore si dimostra rispettoso del suo territorio e dell'ambiente?
Queste alcune delle domande, a solo titolo esemplificativo, che ci si può porre.
E' chiaro che il luogo ideale per acquistare un extra vergine di nicchia (artigianale) non è il supermarket ma o direttamente presso il produttore oppure presso negozi ove si possano avere informazioni più esaustive di quelle riportate in etichetta, magari avendo l'occasione anche di fare qualche assaggio.
Ad ogni modo dalla sola etichetta, quindi di fronte a uno scaffale di supermercato, si possono ricavare diverse informazioni. Se è riportato “prodotto e imbottigliato da” vuol dire che l'extra vergine è frutto del lavoro di un olivicoltore o frantoiano. Se è Dop/Igp conosciamo l'area di provenienza. Se è bio possiamo presumere una sensibilità sulle tematiche ambientali e della sostenibilità. Dalle brevi descrizioni eventualmente presenti possiamo ricavare altre informazioni, ad esempio le cultivar utilizzate. Raramente l'etichetta può però fornirci una panoramica realmente esaustiva, funzione che non può assolvere per ragioni di spazio e di immediatezza comunicativa.
E allora? Non resta che, come avviene per ogni altro prodotto presente al supermercato, scegliere, orientandosi attraverso l'etichetta, acquistare e provare, testando il prodotto a casa.
Spero di aver soddisfatto maggiormente le sue aspettative.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli
francesco vittori
30 aprile 2012 ore 17:18Egregio Dott. Grimelli,
la ringrazio per la sua risposta che non mi soddifa completamente.
Facendo un esempio pratico: io acquisto abitualmente un olio extra vergine 100% italiano, che pago 5 euro e 80 il lt da un'azienda che oltre a produrre nel proprio frantoio
commercializza con il proprio nome.
Come lo devo definire?
Quando compro l'olio extra vergine al supermercato, sempre più o meno in questa fascia di prezzo, come faccio a distinguere tra l'industriale e l'artigianale?
Un saluto
Francesco Vittori
Alberto Grimelli
30 aprile 2012 ore 16:12Gent. Sig. Vittori,
le indico le due perfettibili definizioni.
Olio extra vergine di oliva di massa (olio industriale): extra vergine di qualità standard (commodity), rispettoso dei parametri di legge, senza particolari connotazioni organolettiche, proveniente da diverse aree geografiche del bacino del Mediterraneo o non solo. Acquistate, dai grandi imbottigliatori e dalle industrie di marca, grandi partite all'ingrosso, secondo le leggi di mercato delle commodities, queste vengono miscelate per ottenere oli commerciali dal costo contenuto e con profili riconoscibili dal consumatore nel tempo (fidelizzazione al marchio),
Olio extra vergine di oliva artigianale: extra vergine di elevata qualità e/o di eccellenza, con parametri chimici abbondantemente rientranti nei limiti di legge e con un profilo organolettico caratteristico del territorio e/o delle cultivar e/o metodi di produzione (unicità). Proveniente da oliveti geograficamente ben circoscrivibili (origine). Prodotto da olivicoltori e/o frantoiani secondo tecniche e tecnologie moderne (innovazione) ma rispettose del contesto, dell'ambiente e delle tradizioni (tipicità). Imbottigliato e commercializzato a prezzi più elevati dell'olio di massa, risente delle caratteristiche dell'annata, ed è atto a soddisfare particolari esigenze dell'acquirente (edonistiche, nutraceutiche, di moda...).
Spero di aver soddisfatto la sua curiosità.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli
francesco vittori
30 aprile 2012 ore 12:50Egregio Dott. Grimelli,
ho bisogno di un chiarimento: mi spiega qual'è la differenza tra un olio extra vergine di oliva artigianale e un olio extra vergine di oliva industriale?
La ringrazio
Francesco Vittori
Alberto Grimelli
30 aprile 2012 ore 12:07Gent. Signora Orsini,
il settore dell'olio d'oliva non è l'unico in cui si trovano, anche contigui sugli scaffali del supermercato prodotti di massa e prodotti di nicchia.
Posso trovare la pasta in offerta a meno di 1 euro al kg e poi quella da 3-4 euro al kg. Posso trovare sughi pronti a meno di 2 euro a vasetto e poi quelli artigianali a 5-6. Potrei continuare con biscotti, sott'oli, sott'aceti e mille altri prodotti, vino compreso.
Il consumatore sceglie liberamente, sapendo di trovarsi di fronte alla stessa categoria ma a prodotti diversi.
Nell'olio extra vergine d'oliva non accade così anche perchè, a mio parere, olivicoltori e frantoiani continuano a confrontarsi, mettendo così sullo stesso piano, la loro produzione con quella delle marche. Un errore concettuale che sta costando caro al mondo produttivo.
Ha mai sentito un produttore di Supertuscans, di Franciacorta, di Prosecco di Valdobbiadene lamentarsi del Tavernello? In fondo, sempre di vino si tratta.
A mio parere l'ambiguità “tanto è tutto uguale, tutto olio extra vergine d'oliva”, che porta inevitabilmente a dirigersi preferibilmente verso il prezzo più basso, è alimentata anche da olivicoltori e frantoiani che si mettono sullo stesso piano dei grandi imbottigliatori e dell'industria, confrontando il loro prodotto con quello di massa.
Mi piacerebbe insomma che olivicoltori e frantoiani non dicessero più che il loro olio è migliore di quello dell'industria ma che è altro. Altro perchè? Perchè è artigianale, innanzitutto.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli
angela orsini
30 aprile 2012 ore 11:06Gent.mo Sig. Grimelli, mi scusi se insisto, mi trovo davanti lo scaffale del supermercato, io consumatrice che leggo il mio quotidiano e capisco a fatica che cos'è lo spread, trovo in etichetta olio extravergine superiore ottenuto dalla sola spremitura meccanica delle olive a 2,59, ma io lo compro tutta la vita. Lei che farebbe? Andrebbe a comprare quell'olio che questo sito web decanta come ricco di tradizioni, di cultura, di saper fare pieno di aromi, a 8 "euri" al litro. Magari invece di strumentalizzare coloro che si lamentano dei furbetti perchè non diciamo che forse quell'olio a 2,59 con gli etil esteri (e non metil!) a 70mg/kg è stato come dire "deodorato" in quanto il panelista non ha trovato nessun difetto organolettico. Magari creiamo una nuova denominazione per questi oli, perchè no! "olio di oliva". Ma forse non è una questione di alchil esteri, è solo la stampa che cosa ci vuoi fare! Saluti
Alberto Grimelli
29 aprile 2012 ore 11:05Gent. Signora Orsini,
mi permetto di intervenire perchè i due articoli da lei citati sono stati scritti dal sottoscritto e non credo siano in contrasto l'uno con l'altro.
Nel primo articolo (http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/12534-ecco-come-nasce-un-olio-extra-vergine-d-oliva-da-vendere-a-2-59-euro-al-litro.htm) è chiaramente indicato: “La materia prima sarà di bassa qualità, spesso una miscela di oli di diversa provenienza, con forte probabilità di utilizzo di extra vergini di campagne precedenti. Gli stock ammontano a qualche centinaia di migliaia di tonnellate, fornendo all'industria un'offerta assai nutrita e variegata.” La fonte di approvvigionamento per questi oli è raramente nazionale, più spesso comunitaria, qualche volta anche extra comunitaria.
La seconda indagine riguarda “il conto economico, al netto degli ammortamenti aziendali, per produrre 1 Kg di olio di un'ipotetica azienda” italiana (http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/12928-mio-olio-extra-vergine-d-oliva-ma-quanto-mi-costi.htm). Si tratta di un conto economico completo. E' tuttavia noto che, come da mia risposta al sig. Sciarpelletti nel medesimo articolo: “La maggior parte degli olivicoltori italiani è hobbista o part time. Il costo di produzione da questi calcolato, sempre che si dedichino a stilare un conto economico, non è quindi sulla base delle spese, reali e latenti, ma sulle uscite di cassa.” In un simile contesto il costo è decisamente più basso. E' chiaro però che, come giustamente sottolineato dal sig. Sciarpelletti, la platea di persone che si dedicheranno a questa attività “in perdita” si ridurrà sempre di più. L'abbandono degli oliveti, in particolare piccoli appezzamenti, è una realtà ed è anche una spiegazione del calo produttivo degli ultimi anni.
I due articoli descrivono dunque due realtà ben distinte e distinguibili. L'una relativa ad approvvigionamenti industriali, operati sulla base di scambi internazionali, con un prezzo all'ingrosso che risente inevitabilmente della visione dell'extra vergine come una commodity. L'altra riguarda realtà imprenditoriali italiane, spesso piccole o piccolissime, che devono trovare collocazione sul mercato a un extra vergine che ha un costo produttivo di partenza molto elevato. E' chiaro che queste aziende non possono nemmeno misurarsi con gli oli di massa, uscendone altrimenti necessariamente perdenti in un confronto sul prezzo, elemento di competitività in ogni mercato di massa.
Il senso di tutti questi articoli e inchieste è stato quindi riassunto nell'articolo: http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/12648-regole-diverse-per-extra-vergine-di-nicchia-e-di-massa.htm.
Cordiali saluti e buona domenica
Alberto Grimelli
giovanni breccolenti
29 aprile 2012 ore 09:08E' vero Angela,gia' c'è qualcuno che sta impiantando queste varietà adatte per gli impianti intensivi,il punto è che il metodo non mi dice solo che varietà ci sono,mi dice anche con una precisione impressionante le quantità di ogni varietà catalogate ( cioè delle varieta' gia' mappate,oltre duecento tra cui le piu' rappresentative).Certo se si importa olio proveniente dal cv Frantoio il metodo è inefficace,ma il 95% delle importazioni provengono da varietà poco presenti nel nostro paese,quindi a meno che l'Italia non venga ricoperta di queste varietà,questo è piu' che efficace.Il punto è che,come ogni metodica,va blindata e resa ufficiale.
angela orsini
28 aprile 2012 ore 13:41Sig. Breccolenti, mi permetta di dirle che ho sempre condiviso le sue argomentazioni in quanto mi sono sempre sembrate coerenti e soprattutto supportate da un'ottima conoscenza del settore. E mi creda è l'unico ormai che commenta articoli e/o editoriali su questo sito web esponendosi alle contumelie del proprietario. Un paio di mesi orsono è addirittura uscito un pamplhet sul costo dell'extravergine di oliva che arrivava a sostenere che l'olio in vendita a 2,59-3 euro nella GDO fosse olio, come dire, "esausto" ovvero al limite delle sue caratteristiche chimico-fisiche di legge. Pur tuttavia successivamente un analogo studio sempre su questo sito web sosteneva che in Italia produrre extravergine non era possibile a meno di 5-6 euro. Pertanto ha tutta la mia stima, solo mi lasci dire che la prova del Dna caratterizza la cultivar e in quanto tale non riesce a discriminare l'origine. Mi spiego meglio, si troverà sempre un qualcuno disposto a certificare nelle sedi opportune che trovare il dna dell'arbequina o della picual non è condizione necessaria e sufficiente per stabilire la provenienza delle olive, e se fosse stata coltivata in Italia?.....
giovanni breccolenti
28 aprile 2012 ore 09:43Sognatore,marines dell'olio,burocrate,piccolo chimico,terza guerra mondiale,questi gli epiteti del direttore per aver parlato di alcuni di questi argomenti che lei,professore,ha affrontato qui:polifenoli,perossidi,acidità,restrizione e aggiungo io, alchilesteri,introduzione della metodica del DNA (unico modo per abbattere "eventuali furbetti" e per proteggere la produzione nazionale)e informazione-formazione a tappeto del consumatore.
Penso proprio di si,facciamo parte dello stesso stesso esercito,grande prof.
nico sartori
02 maggio 2012 ore 10:17Egr.Professore Montedoro,
finalmente viene trattato l'unico tema che può dare speranza di reddito e quindi di futuro agli olivicoltori di qualità ed incentivarli a migliorarsi.
Non certamente con la sua autorevolezza e con la sua platea, ma queste argomentazioni le sto portando avanti da anni.
Una sola cosa potrei aggiungere, commissioni d'assaggio con rigore adeguato alla "qualità superiore" che questo prodotto deve avere.
Nico Sartori
Olivicoltore e viticoltore