L'arca olearia

Rischio gelate. Cosa succederà agli olivi?

Si può scongiurare la terribile devastazione occorsa nel 1985? Secondo Antonio Cimato, ricercatore dell’Ivalsa-Cnr, non ci sono difese preventive efficaci. Si può solo intervenire a posteriori

04 febbraio 2012 | L. C.

In questi giorni in cui si annuncia il grande freddo, la paura è tanta. C’è apprensione tra gli olivicoltori. Tant’è che sui blog e sui social network ci sono foto di olivi ricoperti di neve e commenti addolorati che testimoniano lo stato di agitazione in corso. Basta un niente per scoraggiare gli animi. Il drastico abbassamento di temperature annunciato in questi giorni si spera sia solo un falso allarme, come spesso accade. Nessuno vuole che si ripeta l’inglorioso 1985, annus orribilis per l’olivicoltura in Italia, con devastazioni di olivi che hanno fatto piangere dal dolore e dalla rabbia una moltitudine di olivicoltori. I danni subiti allora erano stati ingentissimi, soprattutto perché si era intervenuti male nel dopo gelata, sottraendo così alla pianta la possibilità di rigenerarsi.

A scrivere un post commovente sul suo blog aziendale è stata Laura Turri, rievocando un quaderno in cui il nonno Mario aveva descritto nei particolari le cronache dell’anno 1929. “Nel passato – scrive la Turri – ricordiamo le storiche gelate del 1929, del 1956 e del 1985, eventi eccezionali che si verificarono nei primi due mesi dell’anno”. Ma, al di là di questi ricordi, è sufficiente consultare alcuni testi per rendersi conto di tutte le grandi gelate che si sono verificate a danno degli olivi nel corso dei vari secoli. Sono date che segnano la popolazione di olivicoltori di ogni epoca.

Ma cosa può accadere se si ripeterà quest’anno la grande gelata? Sperare soltanto che ciò non possa mai accadere. Anche perché non ci sono soluzioni preventive. Mettere la stufa tra gli olivi oltre che un sistema antieconomico è anche un sistema dai risultati incerti. Non è un ambiente controllato l’oliveto. Non resta altro che attendere. Si può solo intervenire a posteriori, evitando di commettere errori, come è accaduto in passato.

Se gli olivi sono umidi perché si è sciolta la neve o ha piovuto – riferisce Antonio Cimato, dell’Istituto Ivalsa-Cnr – i rischi sono altissimi. Non è il caso di intervenire sulle piante, anche perché il freddo non perdona. L’olivo è una pianta resistente al freddo. A 3, 4 gradi sotto lo zero l’olivo non soffre, ma sotto certe temperature, al di sotto degli 8 gradi il problema inizia a porsi.

Intanto la drammatica gelata del febbraio 1929 se la ricordano in tanti. Il freddo di quei dolenti giorni aveva fatto gelare tutto. I danni più gravi li subirono proprio gli olivi. Dall’Istria al Breg, per esempio, i contadini raccontavano scene desolanti. L’olivicoltura giuliana fece proprio a partire da quel periodo a fare un enorme passo indietro, quasi fino a scomparire.

La testimonianza di Alojz Krmec, vulgo Lojze Pi-Škerc (1897-1992), abitante di San Dorligo della Valle-Dolina, raccolta il 29 dicembre 1982 da Boris Pangerc, è toccante:

“…Qualcuno tagliò i rami, qualcuno tagliò le piante raso terra. Qualche pianta germogliò di nuovo, altre morirono del tutto. Un freddo simile non si ricordava da cento anni e anche dopo non si è più verificato. A quasi tutti i contadini in quell’inverno si congelarono le patate e la frutta nelle dispense; perfino le uova delle galline si congelarono nella cova. Molti quell’inverno non lo superarono, si ammalarono e morirono. Da quell’inverno la produzione dell’olio subì un drastico arresto. Anche il frantoio rimase chiuso per molti anni.

 

 

 

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stefano tesi

04 febbraio 2012 ore 19:43

taglio al ciocco o potatura ricostitutiva...

Patrizia Frattesi

04 febbraio 2012 ore 19:00

Vorrei sapere se è possibile conoscere i tipi di intervento a posteriori in caso di danni da gelate agli olivi. grazie Patrizia

stefano tesi

04 febbraio 2012 ore 11:58

Caro Luigi,
io un metodo preventivo per limitare i danni da gelate ce l’avrei: prevenire la necessità di misure preventive per proteggerla da eventuali calamità. Cioè creare le condizioni affinchè l’olivicoltura riacquisti nel sistema una centralità (economica innanzitutto, ma poi ambientale, culturale, paesaggistica, idrogeologica, etc) sufficiente a darle quella forza intrinseca indispensabile per continuare ad essere esercitata anche dopo certi disastrosi (e ciclici) eventi naturali .
Faccio un esempio: se c’è un’alluvione che in città allaga negozi e laboratori, non è che passata l’emergenza tutte le attività chiudono. Nonostante le molte difficoltà , perdite e danni, molte o quasi tutte riaprono. Ciò perché c’è un’economia dietro e intorno a loro, qualcosa che “spinge” e rende ovvia, quasi spontanea la riapertura.
Oggi invece la nostra olivicoltura, peggio ancora quella tradizionale, di collina, meno produttiva, è del tutto residuale, un corpo estraneo all’economia, alla società e perfino alla ruralità corrente: c’è perché la si è trovata, la si mantiene per inerzia, con sforzi e speranze sempre minori, solo per passione. Ma è tale che, se un uragano la spazzasse via, nessuno la riavvierebbe. Perché dovrebbe farlo?
Ecco, ora che un uragano di gelo si profila all’orizzonte, il vero rischio è che l’olivicoltura ne esca cadavere. E che al massimo qualcuno, pietosamente, la seppellisca. Ma che la possa resuscitare mi sembra impossibile.