L'arca olearia 14/01/2012

Finto scandalo sull’olio, la lettera mai pubblicata

Finto scandalo sull’olio, la lettera mai pubblicata

Il quotidiano “la Repubblica” sconvolge il mondo dell’olio e fa finta di niente. E’ questo il vero giornalismo? Non dare spazio alle repliche? Che triste storia. Riportiamo il testo della lettera di Gennaro Forcella, presidente di Federolio


La scorsa settimana ho pubblicato un doloroso articolo per denunciare un giornalismo facile allo scandalo: Allarme Italia, si vuole affossare il comparto olio di oliva. Doloroso perché le persone serie e oneste che lavorano nel mondo dell’olio il minimo che potevano provare è stato un sentimento di indignazione, ma soprattutto il dolore per un attacco così virulento e sbilanciato, ma soprattutto ingiusto, perché ha gettato fango indistintamente su tutto e tutti.

In quell’occasione ho anticipato di dare voce ai diretti protagonisti e di riportare alcuni stralci di articoli pubblicati su giornali stranieri. Quest’ultimi li rimando alla prossima settimana , mentre do’ spazio ad alcune testimonianze che sono giunte in Redazione. A partire da questa sintomatica lettera che il presidente di Federolio Gennaro Forcella ha inviato senza esito al quotidiano “la Repubblica”. Se qualcuno tra voi ha inviato altre lettere di protesta e di sdegno ce le invii pure. Visto che il giornale diretto da Ezio Mauro sembra poco sensibile, lo facciamo noi per loro. Resta il fatto che la maleducazione sia ormai diventata una prassi diffusa oviunque e non risparmia nessuno, nemmeno il giornale fondato da Eugenio Scalfari. Peccato.

 

LA LETTERA DI FEDEROLIO AL QUOTIDIANO “LA REPUBBLICA”

Mi chiamo Gennaro Forcella e sono il Presidente della Federazione nazionale del commercio oleario, Federolio, l’associazione aderente a Confcommercio che raccoglie la maggior parte delle imprese confezionatrici e di commercio all’ingrosso di olio di oliva operanti in Italia.

Chiedo un’urgente ospitalità su “Repubblica” perché mai, in oltre cinquant’anni di lavoro nel settore di olio di oliva, mi era capitato di leggere un articolo come quello del dott. Paolo Berizzi, così pieno di assurdità. E sì che di assurdità ne ho lette ma mai nessuno è arrivato a dire che un chilo di olio extra vergine di oliva spagnolo e tunisino costa 25 centesimi a litro!

Questa affermazione, prima che sdegno, ha suscitato tra le imprese vivissima ilarità. In un’altra parte dell’articolo del dott. Berizzi i centesimi del prezzo all’origine di un chilo dell’olio di oliva calano addirittura a 23 – 25 salvo, bontà sua, diventare 50 centesimi per un chilo di ottima qualità della provincia di Jaen.

Non sono un giornalista, tuttavia credo che un po’ di documentazione sul prezzo all’origine degli oli di oliva si poteva ottenere con grande facilità, semmai sentendo qualche altra campana oltre quella della Coldiretti. Così procedendo, il dott. Berizzi avrebbe appreso che un chilo di olio extra vergine tunisino costa, al pari di quello spagnolo, 1,75/1,80 euro, più 10 centesimi di trasporto; aggiungo che un chilo di olio extravergine di oliva greco costa oggi 2,15 euro e un chilo di quello italiano 2,30 – 2,35. Questa è la realtà.

Mi sembra che alla luce di ciò tutti i discorsi sul “ricarico” perdano qualsiasi valore.

Ma ascoltare qualche altra campana, avrebbe consentito al dott. Berizzi di apprendere che certi prezzi nei supermercati (i famosi 3 euro) derivano essenzialmente:

a) dal fatto che un litro di olio costa meno di un chilo di olio;

b) dalla distribuzione che pone in essere determinate pratiche che recentissimamente hanno suscitato anche l’attenzione del neo Ministro delle Politiche agricole;

3) dal fatto che spesso, troppo spesso, l’olio extra vergine di oliva è venduto o in promozione o sottocosto o, ancor peggio, come prodotto civetta. E di questo le imprese confezionatrici sono tutt’altro che contente.

Poi ci sono cose che francamente non ho capito. Ci sarebbe un cartello nel settore dell’olio di oliva? A me risulta che ci sia una concorrenza terribilmente aspra tra le imprese alimentata da alcuni anche sulla stampa. Non saprei proprio riconoscere dieci imprese alleate tra loro. Quanto ai profitti “patrimoniali” enormi, io so che, per la verità, molte imprese si lamentano della scarsissima remuneratività del settore dovuta proprio a una concorrenza molto aspra.

Mi chiedo ancora. I tir con le miscele di oli extra vergini di oliva si “trasformano” in oli extra vergini di oliva etichettati come italiani acquistando così la falsa identità di cui parla l’articolo? Oppure c’è il marchio, che sarà pure italiano, ma l’origine indicata sull’etichetta, semmai in caratteri piccoli e in retro etichetta (e questo è un problema che andrebbe risolto con una norma comunitaria e non con una nazionale) è comunque corretta e conforme al regolamento comunitario? Francamente non si capisce.

Dal monitoraggio della Federolio risulta che con l’indicazione dell’origine italiana viene commercializzato il 15% delle confezioni; per cui non si riesce proprio a capire come possa sostenersi che quattro bottiglie su cinque “battono bandiera italiana”.

Eppoi le olive sono proprio taroccate o sono solo straniere? Anche questo non si capisce.

Nelle etichette – lo dico anche io – va migliorata la leggibilità dell’indicazione dell’origine, tuttavia quella che riportano è comunque l’origine vera (ad es. miscela di oli di oliva comunitari; miscela di oli di oliva comunitari e non comunitari ecc.). Oppure il dott. Berizzi sostiene che riportano un’origine falsa? L’Ispettorato Repressione Frodi (l’organismo di controllo operante presso il Ministero delle Politiche agricole), che effettua sistematici controlli, non mi risulta che abbia riscontrato, salvo forse in rarissimi casi, indicazioni di origine non veritiere.

Quanto al sapore di muffa che sarebbe stato riscontrato in quattro bottiglie su dieci, è proprio il caso di chiarire che l’indagine della Coldiretti giunta a tale conclusione, è stata fatta sulla base di un metodo, il panel test, esclusivamente basato sull’assaggio e per giunta applicato senza alcun rispetto del regolamento comunitario che lo disciplina (ad es. nel prelevamento dei campioni, nella loro conservazione, nell’invio al comitato di assaggio ecc.) e senza, in particolare, l’effettuazione della revisione di analisi, che per il panel, non a caso, si articola in due prove invece che in una sola come per gli altri metodi strumentali (non affidati ad “assaggiatori” ma ai laboratori).

Quanto alle importazioni, esse sono necessarie per coprire il fabbisogno delle imprese confezionatrici che non può essere soddisfatto solo con l’olio di oliva prodotto in Italia.

Parliamo di cifre. In Italia si producono complessivamente trecento mila tonnellate di olio di oliva (di cui solo il 50% - 60% è extravergine) e non le cinquecento, seicento, settecento o ottocento mila denunciate negli anni passati dalle associazioni del mondo agricolo quando si percepiva un consistente aiuto alla produzione, basato sulle quantità dichiarate come prodotte. Insomma la produzione italiana è scarsa; del resto essa non è mai stata incrementata nei decenni attraverso piani olivicoli per cui l’olivicoltura nazionale è tra le più arretrate nonostante la buona qualità del prodotto.

Sta di fatto che per soddisfare i consumi interni ed esteri occorrono, alle imprese confezionatrici, per lo meno ottocentomila tonnellate di olio di oliva e dunque ecco spiegate le importazioni. Dato poi che si esportano 350.000 tonnellate, e non come dice il dott. Berizzi 250.000, ecco la risposta alla domanda che si pone l’articolo su dove va a finire l’olio extra vergine: 350.000 tonnellate vanno sull’export e 450.000 tonnellate al consumo interno.

Pochi altri cenni, per non dilungarmi troppo.

Per quel che consta, le uniche contestazioni dell’Agenzia delle Dogane sono state basate sull’analisi del panel test cui ho prima accennato. Da esse sono scaturiti anche dei sequestri poi annullati dal giudice penale.

Quanto alla deodorazione, è piuttosto singolare che una posizione molto chiara della Federolio che ha chiesto a Bruxelles di vietare che dalle raffinerie (dove potrebbe avvenire la deodorazione) esca olio extra vergine di oliva, sia stata del tutto ignorata sia dalla Coldiretti che dalle Amministrazioni nazionali e comunitarie.

Va anche precisato che l’Ispettorato Repressione Frodi svolge anche sistematici controlli fisico – chimici – organolettici sugli oli extra vergini di oliva e i risultati di tali controlli sono del tutto rassicuranti e non evidenziano affatto tutti i difetti organolettici di cui parla l’articolo. Questo è quanto riferito dai responsabili della Repressione Frodi in una recente riunione della filiera olivicolo - olearia.

Ovviamente molto altro dovrei dire sui contenuti dell’articolo che mi riservo comunque di approfondire; certo generano perplessità anche le gravi inesattezze che corredano le illustrazioni.

Chiudo su agromafia, oli che sanno di muffa e importazioni. Su questo la Federolio ha inviato una lettera al Ministro Catania in cui si cerca di spiegare che un olio extra vergine di oliva ritenuto irregolare solo perché “assaggiato” senza il rispetto delle procedure previste dalla regolamentazione o un’importazione svolta secondo il diritto comunitario non hanno nulla a che fare con le agromafie che purtroppo, invece, emergono ogni tanto – e mi addolora – proprio in settori della produzione agricola. Ma di questo nessuno parla.

Ringrazio per l’ospitalità e porgo i migliori saluti.

Il Presidente
Gennaro Forcella

 

di L. C.

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

Commenti 2

riccardo sgaramella
riccardo sgaramella
15 gennaio 2012 ore 22:01

per nostra sfortuna il comparto industriale dell'olio d'oliva italiano è indirizzato al voler soddisfare a tutti i costi la domanda anche a costo di peggiorere sia qualitativamente, sia economicamente l'olio.
basterebbe puntare sulle molteplici tipicità dei nostri oli tutti unici e di grande valore per gratificare tutta la filiera, ridando dignità ad un comparto in cui gli agricoltori fanno la loro parte pagando in prima persona la negligenza di alcune persone che di marketing non conoscono un'acca.

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
14 gennaio 2012 ore 11:18

Sign Forcella,siete tutti presi giustamente a smontare un articolo pieno di inesattezze come lei fa giustamente notare ma che comunque mette a galla qualcosa di poco chiaro,pero' nessuno che si focalizza sulle cose da fare perche' non si abbiano piu' dubbi e scandali sulla provenienza dell'olio e sulla qualità dello stesso(e per qualita' intendo non solo la percentuale di acidi grassi ma anche le quantita del patrimonio antiossidante che esaltino le proprieta' salutistiche di cui tanto si parla).Io faccio l'assaggiatore da molti anni,soprattutto per passione,e mi vien da pensare e parecchio, quando noi siamo messi di fronti a un olio e dobbiamo decidere addirittura l'origine e l'extravergine(l'assenza dei difetti) con dei parametri chimici cosi' larghi e incompleti (dove stanno i polifenoli?) in cui tutti gli oli che assaggiamo rientrano ampiamente.In un mondo poi dominato dai nostri maggiori concorrenti che ormai hanno istituzionalizzato il famoso "profumo" di eucalipto(ma che noi non chiamiamo cosi') come caratteristica varietale,quando tutti sappiamo che questo non è vero ma che dovuto a uno sbaglio di una fase di lavorazione .Quella varieta' famosa,non ammassata e fatta con criterio,produce oli che non hanno quell'odore particolare,anzi.Mi vien da pensare perche' noi assaggiatori non siamo una forza,non siamo un apparato dello stato,non prendiamo praticamente nulla,ma dobbiamo decidere cose importanti e dobbiamo deciderle sapendo che l'olio che assaggiamo ha passato tutti i controlli chimici.
Le soluzioni allora sono alla portata e non mi stanchero' mai di dirle se vogliamo veramente bene al nostro prodotto:
1)Investire risorse sull'analisi del DNA,perche' il metodo sia inattaccabile e quindi reso ufficiale (gran parte delle truffe piu' o meno gravi, sono azzerate)
2)Restrizioni dei parametri chimici con l'introduzione del limite minimo dei polifenoli pari a 200-250 o al limite creare un sottoinsieme dentro al calderone dell'olio extravergine con questi parametri e con una definizione di "alta qualità".
3)Visto che l'extravergine prevede l'assenza di difetti e che questi possono essere rilevati solo da assaggiatori addestrati e professionali,rafforzare e staccare il piu' possibile da qualsiasi interferenza esterna questo comparto.
4)insegnare al consumatare(soprattuto quelli giovani,cioè nelle scuole e asili) questo prodotto,investire nella conoscenza,poi sara'lui stesso a decidere che comprare.
5)per ultimo,ma solo dopo aver intrapeso questo lavoro di valorizzazione,investire in Immagine per rafforzare con basi concrete il nostro prodotto nel mondo.
La salvezza dell'olivicoltura e dell'olio Italiano(il migliore per variabili di gusto dovute a un parco varietale eccezionale),visti i prezzi internazionali che girano sta in questi punti che ho riportato.Non si puo' competere nei costi con la nostra olivicoltura e rispettando le regole del lavoro,bisogna puntare sulla valorizzazione del nostro incredibile patrimonio genetico olivicolo che esprime oli diversificati e meravigliosi e lasciare ad altri prodotti inferiori(con eccezioni,ovviamente) e piu' omologati.
Un saluto