L'arca olearia 10/12/2011

Extra vergini e genuinità del gusto. Se non piace, che fare?

Extra vergini e genuinità del gusto. Se non piace, che fare?

Se è buono è buono, se è cattivo è cattivo. E’ proprio così? Una lucida analisi su come sia cambiato, se effettivamente è cambiato, il gusto dell’olio nei decenni. Il riscaldo? Non viene sempre percepito come qualcosa di sgradevole. L’accettabilità dei vari attributi sensoriali non è innata, né immodificabile


Cominciamo dall’effetto del tempo. La prima domanda potrebbe essere: “Com’è cambiato, se è cambiato, il gusto dell’olio extravergine nei decenni?”. Naturalmente per gusto si intende, con una licenza, quello che il Consiglio Oleicolo Internazionale definisce flavor ossia “il complesso delle percezioni, degli stimoli olfatto-gustativi, tattili e chinestetici”. A questa domanda, che non conosce, ovviamente, una risposta, perché non esiste un grafico che riporti l’andamento del gusto dell’olio nel tempo, si potrebbe rispondere per via indiretta.

In primo luogo attraverso il lavoro delle scuole d’assaggio, che hanno insegnato, prima ancora del fruttato e delle sue declinazioni, a riconoscere il riscaldo come difetto.

Chi è stato discente e poi, magari, docente alle scuole d’assaggio sa che per metà o più degli assaggiatori in corso di formazione (assumendo che sia un dato in decrescita) la prima valutazione olfatto-gustativa del riscaldo è quella di un attributo positivo. Il riscaldo non viene sempre percepito come qualcosa di sgradevole. Per molti, il riscaldo, è nello storico delle tradizioni familiari enogastronomiche. Ed in merito alla percezione degli attributi sensoriali è così che accade. “Si desidera ciò che si conosce, Clarice…” diceva, con sguardo fermo e inquietante, Antony Hopkins/Annibal a Jodie Foster nel 1991 ne “Il silenzio degli innocenti”, riferendosi alle preferenze del serial killer.

L’accettabilità degli attributi non è innata, né immodificabile. Si può educare una popolazione a considerare negativo un attributo precedentemente considerato per familiarità positivo, semplicemente con l’allenamento. E questo potrebbe essere considerato un miglioramento o una finalizzazione dell’abilità sensoriale.

Il flusso in questo caso è il seguente: la ricerca scientifica ha evidenziato l’eziologia dell’attributo di riscaldo/morchia (fermentazioni anarobiche-àcattiva qualità della materia prima o dell’olio) e lo ha etichettato come un attributo negativo, le scuole di assaggio lo hanno insegnato, l’”oliandolo” e il consumatore (aggiungerei molto colto), anche attraverso l’identificazione di questo attributo, ha imparato a distinguere l’extra vergine dal vergine. Ora ha (o avrebbe) a disposizione uno strumento per il controllo della qualità.

Si tratta di uno strumento positivo.

Dall’altro, come recentemente riportato in un lavoro di alcuni ricercatori sudafricani (Dweba e Mearns, 2011), sulle utilizzazioni delle verdure tradizionali “Indigenous knowledge erodes rapidly” la conoscenza indigena, autoctona, si dimentica rapidamente. E quindi anche gli attributi positivi, la varietà e le sfumature olfattive del “gusto”. Si può dimenticare o rimuovere il fruttato, l’amaro ed il piccante. Anche se indigeni, nativi. Anche se supportati da un apparato legislativo che li sostiene.

E questo, invece, non è affatto positivo.

Il tempo può portare via con sé sia cattive abitudini (e peggiori condizioni igienico-sanitarie di lavorazione), sia far dimenticare varietà di gusto autoctone, ricchezza e sfumature degli attributi, che, per la fretta o per ricercare a tutti i costi la compliance del consumatore, possono essere raggruppati in pochi, globalmente graditi.

In questo senso, tempo, gradimento e globalizzazione del “gusto” potrebbero voler dire semplificazione e sarebbe un peccato.

 

Veniamo all’esistenza di una genuinità del gusto.

Ora noi sappiamo che l’extra vergine di oliva, per essere autentico, ossia genuino, non può essere sottoposto a nessun processo di raffinazione, quindi la sua qualità è fortemente legata alla qualità della materia prima, alla tecnologia per l’ottenimento del prodotto e alle modalità di conservazione. Si tratta di un prodotto che, se genuino, ha un gusto nativo, non modificabile. Se è buono è buono, se è cattivo è cattivo. E in questo senso, sul piano merceologico, per tornare alla provocazione precedente, quella di Annibal, dovrebbe essere ritenuto genuino anche un olio difettato, purché dichiarato vergine. Perché continuiamo a dimenticarlo?

In merito al consumatore, è dimostrato che apprezza ciò che è familiare, legato al territorio, o verso il quale ha una aspettativa precisa (Caporale et al., 2006, Costell et al., 2010). Inoltre, come verificato anche di recente (Diekman e Malcolm, 2009), il consumatore non conosce gli oli e i grassi e li sceglie sulla base di credenze, più che di cognizioni.

Per legge, nel caso dell’extra vergine, i dettami sensoriali sono semplici. Il profilo comprende obbligatoriamente il fruttato, e l’amaro e il piccante sono universalmente riconosciuti come attributi positivi (CODEX STAN 33-1981), che dovrebbero essere considerati “indicatori di sostanze desiderabili” o “healthy substances related attributes”.

Tuttavia, è dimostrato che il consumatore non conosce realmente il fruttato, né la differenza tra vergine, extra vergine o raffinato.

Da uno studio turco del 2010 (Pehlivan e Yilmaz), ad esempio, che confronta oli ottenuti con differenti processi (continui, tradizionali a pressione, raffinati), è emerso che, per 28 consumatori su 100, i valori di accettabilità dei raffinati sono pari a quelli dei vergini. Lo stesso è stato verificato da uno studio italiano del 2006 (Caporale et al, 2006), secondo il quale i consumatori sono in grado di differenziare gli attributi sensoriali caratteristici, ma all’atto dell’acquisto, in un test cieco, cioè solo sensoriale, senza possibilità di vedere l’etichetta, scelgono nella stessa percentuale extra vergini e raffinati.

Lo stesso studio (Caporale et al, 2006) ha dimostrato che dare un’informazione in merito all’origine crea una aspettativa positiva nei riguardi di specifici attributi, come l’amaro ed il piccante. Per esempio, per consumatori abituati a considerare l’amaro e il piccante come attributi caratterizzanti di oli tipici o familiari, come la Coratina monocultivar, dare l’informazione: “Quest’olio è Coratina”, crea un’elevata aspettativa positiva di amaro e piccante.

Potrebbe esistere, quindi, come riportato di recente (Peyrot des Gachons et al., 2011), un motivo per il quale il piccante, percepito, in particolare sul fondo della lingua ed in gola, possa essere considerato un attributo positivo. Si tratterebbe di un indicatore funzionale, in qualche modo legato alla forte attività antinfiammatoria di alcuni fenoli, tra i quali l’oleocantale (presente negli oli vergini) e l’ibuprofene, antinfiammatorio non steroideo di ampio uso.

Se il ruolo generale dei canali di percezione del piccante, attributo complesso tattile-gustativo, non si spiega, infatti, altro che come un sistema percettivo capace di mettere in guardia, quello degli specifici canali TRPA1, mediatori del piccante dell’extra vergine e, probabilmente, di altre sostanze d’ampio uso in cucina (capsaicina, mentolo, eccetera), potrebbe essere legato ad una specifica attività biologica, in altre parole ad un effetto salutistico. Questa teoria, suggestiva, necessita di molte conferme, ma è senz’altro vero che sostanze capaci di produrre questo piccante, questa peculiare sensazione pungente, sono dotate, spesso, di altre attività, come la capacità di riduzione dell’incidenza di alcuni tipi di cancro, malattie degenerative o cardiovascolari (Boyd et al., 2006; Peng and Li, 2010).

Nel caso dell’extravergine di oliva, gli autori suggeriscono che sia possibile trasformare una sensazione di primo acchito sgradevole in una positiva, come accade nelle popolazioni che apprezzano il piccante (olio extra vergine, peperoncino), proprio perché questo specifico piccante sarebbe un indicatore di una qualità funzionale. Se questa teoria fosse corretta è evidente che questo piccante potrebbe essere insegnato, come attributo legato alla qualità (quality/functionality-related attribute), anche a consumatori che non lo conoscono o non lo apprezzano.

D’altra parte (Delgado e Guinard, 2011) negli Stati Uniti, che possiamo considerare un mercato emergente, dallo studio di 22 campioni in blocchi di cinque, per la maggioranza di 100 consumatori l’amaro ed il piccante sono attributi negativi.

Così come l’olio in commercio, che esiste di fatto in due sottocategorie reali, una di alta qualità, cura, prezzo ed una “legale” che commercializza principalmente la denominazione, anche nella scelta dell’olio (Santosa & Guinard, 2011) è stato dimostrato che l’extra vergine rappresenta, per il consumatore, sia un prodotto ad alto convolgimento (sensorialmente ricco, costoso, in confezione ridotta) sia, sfortunatamente, anche a basso coinvolgimento (in offerta, economico, in confezione famiglia, dal gusto neutro).

Dunque, se non piace che fare? Ci sono due scuole di pensiero, una va verso la costruzione di un prodotto “consumer designed” con una qualità che ricalca le aspettative del consumatore, l’altra invece percorre la strada della diversificazione del gusto (che peraltro può, per legge, già essere, ed essere dichiarato, intenso o delicato), della sua peculiarità intrinseca e dell’educazione ai tre attributi healthy-related: il fruttato, l’amaro ed il piccante.

 

 

 

Bibliografia

Boyd, L.A., McCann, M.J., Hashim, Y., Bennett, R.N., Gill, C.I.R., Rowland, I.R., Assessment of the anti-genotoxic, anti-proliferative, and anti-metastatic potential of crude watercress extract in human colon cancer cells (2006), Nutrition and Cancer, 55 (2), pp. 232-241.

Caporale, G., Policastro, S., Carlucci, A., Monteleone, E.,Consumer expectations for sensory properties in virgin olive oils (2006), Food Quality and Preference, 17 (1-2), pp. 116-125.

CODEX STAN 33-1981. Formerly CAC/RS 33-1970. Adopted in 1981. Revisions in 1989, 2003, Amendment in 2009.

Costell, E., Tárrega, A., Bayarri, S., Food acceptance: The role of consumer perception and attitudes (2010), Chemosensory Perception, 3 (1), pp. 42-50.

Delgado, C., Guinard, J.-X., How do consumer hedonic ratings for extra virgin olive oil relate to quality ratings by experts and descriptive analysis ratings?

(2011), Food Quality and Preference, 22 (2), pp. 213-225.

Des Gachons, C.P., Beauchamp, G.K., Breslin, P.A.S., The genetics of bitterness and pungency detection and Its impact in phytonutrient evaluation

(2009), Annals of the New York Academy of Sciences, 1170, pp. 140-144.

Diekman, C., Malcolm, K., Consumer perception and insights on fats and fatty acids: Knowledge on the quality of diet fat (2009), Annals of Nutrition and Metabolism, 54 (SUPPL. 1), pp. 25-32.

Dweba, T.P., Mearns, M.A., Conserving indigenous knowledge as the key to the current and future use of traditional vegetables (2011), International Journal of Information Management, 31 (6), pp. 564-571.

Peng, J., Li, Y.-J.,The vanilloid receptor TRPV1: Role in cardiovascular and gastrointestinal protection (2010), European Journal of Pharmacology, 627 (1-3), pp. 1-7.

Santosa, M., Guinard, J.-X., Means-end chains analysis of extra virgin olive oil purchase and consumption behavior (2011), Food Quality and Preference, 22 (3), pp. 304-316.

 

di Tullia Gallina Toschi

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