L'arca olearia
Conviene davvero investire in olivicoltura?
La domanda è solo apparentemente banale, infatti la risposta dipende da una serie di fattori agronomico-gestionali ed economici. Nella Maremma hanno fatto i conti ed ecco quanto è emerso
26 febbraio 2011 | Alberto Grimelli
Nel corso di una giornata di studio dell'Accademia dei Georgofili, sezione Centro-Ovest, tenutasi presso la cooperativa Terre dell'Etruria a Donoratico (LI) si sono presi a riferimento modelli economico-gestionali realmente applicati in campo, con risultati produttivi eccellenti dal punto di vista quali-quantitativo, e, su queste basi, si è cercato di stabilire se la coltura dell'olivo sia oggi un investimento conveniente.
Il campo preso in esame è quello dell'Università di Pisa a Venturina (LI), impiantato nel 2003 con un sesto d'impianto di 5 x 3,9 metri e con la Frantoio come varietà prevalente.
La strategia gestionale adottata prevede la razionalizzazione di tutte le operazioni colturali per arrivare al duplice effetto di ridurre il fabbisogno di manodopera ma anche gli input energetici sull'oliveto, così beneficiandone i conti e l'ambiente.
Per ottenere risultati apprezzabili, però, come ricordato dal Prof. Gucci durante il suo intervento, sono necessarie alcune condizioni: dotare l'oliveto di un impianto di fertirrigazione, adottare forme di allevamento che consentano una potatura minima e prevedere di iniziare a raccogliere con scuotitori al tronco quanto prima.
Esaminiamo le ragioni di queste condizioni.
Per confrontare diverse tesi l'impianto sperimentale è stato diviso in parcelle con differenti livelli di irrigazione: zero, 50% del fabbisogno (850 m3/ha) , piena irrigazione (1600 m3/ha).
I risultati produttivi medi del periodo 2008-2010, quindi tre campagne olearie, mostrano come la produzione media per pianta della tesi pienamente irrigata sia elevata, 22 kg/pianta, per ridursi progressivamente a 16 kg/pianta per la tesi irrigata in deficit e a 14 per le piante non irrigate.
Adottare la potatura minima significa risparmiare tempo e denari senza compromettere la produttività . A fronte di produzioni elevate, infatti, i tempi medi di potatura per albero sono stati modesti, pari a 5 minuti nel 2008, 4 minuti e 30 secondi nel 2009 e 7 minuti nel 2010, segno evidente che non sono necessari agli drastici, specie in impianti irrigui, per assicurare un buon equilibrio vegeto-produttivo all'albero.
Uno delle critiche che spesso vengono riservate alla raccolta meccanica con scuotitori è quella di lasciare sulle piante troppe olive, ovvero di una insopportabile perdita di produzione. Attraverso un'adeguata potatura, però, si possono raggiungere ottime performance. Sia nel 2008 sia nel 2010, con raccolte rispettivamente il 20 e il 27 ottobre, le rese alla scuotitura, ovvero le percentuali di olive cadute, sono sempre state superiori al 90%, con punte anche del 95%, per le varietà Frantoio, Leccino, Pendolino. Più basse solo per la Moraiolo a causa soprattutto del portamento proprio di questa varietà .
Premessi questi ottimi risultati agronomici, è stato compito dell'Università di Firenze, nella persona del Prof. Polidori, trasformarli in dati economici.
Premessi alcuni caratteri tecnici, ovvero una produzione media a pianta di 20 kg, con una resa al frantoio del 13,5% pari a 14 qli/ha di olio, un prezzo di conferimento di 5,5 euro/kg, una gestione agronomica professionale secondo i principi e le linee guida spiegate dal Prof. Gucci, i costi dal momento dell'impianto fino al quinto anno, epoca dell'entrata in produzione, sono quantificati in 22 mila euro. I profitti, che tengono conto non solo della remunerazione del lavoro a prezzi di mercato ma anche delle quote di ammortamento dei capitali a tassi d'interesse di mercato (come se andassimo a chiedere un prestito), sono pari a 473 euro/ha. Ovvero un ipotetico imprenditore che affidasse a terzi la gestione dell'oliveto ne ricaverebbe quasi 500 euro/ha.
Se confrontiamo questo dato con quello di un oliveto più tradizionale, sesto 6x6 metri, produzione media a pianta di 18 kg, pari a 7,3 qli d'olio ad ettaro, si ha un reddito positivo di 53 euro ad ettaro solo nel caso in cui non vengano calcolate le quote di ammortamento dei capitali a tassi d'interesse di mercato. Diventa negativo, invece, nel caso si decida di tenere parzialmente conto delle quote di ammortamento di capitale e di sottoremunerare il lavoro dedicato all'oliveto (-850 euro/ha).
Per rispondere alla domanda posta nel titolo del presente articolo, tenendo conto dei parametri economici-finanziari normalmente utilizzati per valutare la convenienza di un investimento: valore attuale netto, saggio interno di riferimento e rapporto costi/benefici, la convenienza di sostituire l'impianto tradizionale con un impianto intensivo sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la produzione unitaria ad ettaro, quanto sarà più elevato il prezzo unitario, tanto minore sarà il reddito dell'oliveto tradizionale dell'oliveto preso a confronto, tanto più alti saranno eventuali contributi in conto capitale per la realizzazione dell'impianto.
Ad esempio, valutando la convenienza economica dell'oliveto intensivo proposto con un impianto tradizionale con sottoremunerazione del capitale e del lavoro (- 850 euro/ha), si avrebbe un ritorno dell'investimento il 11 anni, un valore attuale netto di 10 mila euro, un saggio di riferimento interno del 10%, un rapporto benefici/costi pari a 1,60, ovvero tutti indicatori positivi.
Rispetto alla redditività di un impianto tradizionale è dimostrata la convenienza di un impianto intensivo ma la redditività dell'olivicoltura resta comunque assai modesta.