Bio e Natura
LAVORAZIONI DEL TERRENO. COME? QUANDO? PERCHÉ?
E' una pratica colturale antichissima. E' nata insieme alla messa a coltura del terreno. Può incidere notevolmente su più aspetti. Sui costi di produzione, per esempio. O sul risultato produttivo. E nel lungo periodo anche sulla fertilità del suolo. Esiste pure la tecnica del cosiddetto "no tillage"
28 febbraio 2004 | Graziano Alderighi
Sebbene le tecniche e le conoscenze del terreno, nonché i macchinari, abbiano subito notevoli evoluzioni e progressi tecnologici evidenti, gli scopi sono rimasti gli stessi fin da quando l’uomo ha iniziato a coltivare il suolo: raggiungimento di un corretto equilibrio fra fase solida, aria ed acqua, formazione di una struttura adeguata allo sviluppo delle radici, interruzione della capillarità superficiale, interramento di concimi ed ammendanti, controllo delle erbe infestanti e interazione con le altre pratiche agronomiche.
Generalmente si distinguono due classi di lavorazioni del terreno: principali e secondarie (o di affinamento).
L’aratura è sicuramente la tecnica più diffusa e rappresentativa. La terra viene rovesciata, collocando lo strato superficiale, i sarmenti e le malerbe in profondità, mentre gli strati profondi vengono portati in superficie ed esposti all’azione degli agenti atmosferici. In rapporto alla forma dell’aratro, e in particolare del versoio, la fetta terrosa può subire uno sgretolamento più o meno intenso. In funzione della profondità distinguiamo in leggera, fino a 30 cm, media, fino a 50 cm, profonda, oltre i 50 cm. Sebbene l’aratura profonda crei maggiore spazio per lo sviluppo delle radici, maggiore disponibilità di acqua ed elementi nutritivi, presenta anche elementi negativi da non sottovalutare quali l’elevato costo di esecuzione e la diluizione della sostanza organica lungo il profilo nonché una sua eccessiva mineralizzazione. Da tenere inoltre in considerazione che l’azione di taglio orizzontale può compattare lo strato di terreno sottostante creando così una suola di lavorazione, che determina un minore movimento dell’acqua in senso verticale e un impedimento allo sviluppo in profondità dell’apparato radicale.
Per unire i benefici di una lavorazione profonda e cercare di prevenire gli svantaggi, è stata adottata una nuova tecnica: la discissura. Con attrezzi a forma di ancore si provoca una rottura verticale del terreno anche in profondità. Tuttavia in questo caso il terreno non viene esposto agli agenti atmosferici, e quindi non viene favorito il processo di strutturazione del suolo.
Per unire i vantaggi dell’aratura ai benefici della discissura sono stati messi a punto macchinari composti che compiono un’aratura superficiale e una discissura in profondità in un'unica lavorazione.
Entrambe queste tecniche, tuttavia, lasciano un terreno grossolano, inadatto a ospitare una coltura agraria se non sottoposto a ulteriori interventi di affinamento che hanno lo scopo di preparare il letto di semina e controllare le erbe infestanti. Le più note ed utilizzate sono la fresatura, l’estirpatura, l’erpicatura. In particolare la fresatura terreno può presentare aspetti estremamente negativi in quanto polverizzando il terreno ad opera delle sue lame rotanti ne distrugge la struttura, determina un’eccessiva sofficità, controlla a stento lo sviluppo di malerbe, non è utilizzabile in suoli ricchi di scheletro e richiede una discreta potenza e quindi anche elevati consumi di carburante.
Lavorazione minima (o minimum tillage)
Si sostituisce alla lavorazione principale con interventi molto più superficiali. Vengono incluse tutte quelle tecniche che interessano una profondità di lavorazione fra i 3-5 cm e i 10-15.
In particolare è molto diffusa la sola discatura effettuata con erpice frangizolle direttamente sul terreno sodo. Con questa tecnica si ottiene solo una frantumazione più o meno forte e un parziale rovesciamento del terreno, ma solo in superficie.
Esistono ormai macchinari composti che accoppiano all’organo di lavorazione del terreno, la distribuzione di concimi o diserbanti e anche la stessa semina.
Bisogna operare col terreno in tempera, in caso di eccessi di umidità l’impiego di attrezzi con organi ruotanti può presentare effetti negativi ed indesiderati.
La lavorazione minima è ancor oggi poco diffusa in Italia per varie ragioni. La prima e forse anche la più importante è lo scetticismo diffuso degli agricoltori nei confronti di questo sistema, sebbene siano ormai numerose le prove, i dati, anche produttivi, a sostegno di questa tecnica. Ma non è questa l’unica motivazione. Dovendo, infatti operare col terreno in perfette condizioni di tempera, i tempi per operare si riducono rispetto a quelli abituali. Sebbene infatti sia buona regola eseguire delle lavorazioni del terreno solo in condizioni ottimali di umidità, adesività e resistenza, questa buon principio non viene quasi mai seguito dagli agricoltori.
Non lavorazione (o no tillage)
Si tratta della più semplice tecnica di preparazione del terreno. Il suolo infatti viene smosso solo in corrispondenza delle file di semina a profondità molto ridotta. In questo modo non si alterano le caratteristiche strutturali del terreno ma non si controllano neanche meccanicamente le infestanti, la cui eliminazione viene eseguita esclusivamente a mezzo di erbicidi, quindi con metodi chimici.
Chi adotta la tecnica del no tillage generalmente si attrezza con seminatrici adatte (seminatrici su sodo) che oltre a essere più pesanti rispetto alle tradizionali hanno un organo di lavorazione, a monte del seminatore, che giunge a una profondità massima di 5-10 cm.
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