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Fanghi di depurazione: risorsa o minaccia per i suoli agricoli?

Fanghi di depurazione: risorsa o minaccia per i suoli agricoli?

Le potenzialità di utilizzo dei fanghi di depurazione e dragaggio sono enormi, ma occorre un quadro legislativo coerente che ne consenta l’impiego e ne garantisca al tempo stesso la qualità con la definizione di limiti adeguati per i diversi potenziali inquinanti

07 dicembre 2025 | 12:00 | C. S.

Questa mattina all’Accademia dei Georgofili, esperti universitari e rappresentanti di imprese, associazioni agricole e dei Ministeri si sono confrontati su un tema di estrema importanza per il futuro dei nostri suoli: l’uso dei fanghi di depurazione in agricoltura. L’incontro - “Chiudere il cerchio: fanghi d depurazione sui suoli agricoli” - è stato promosso dai Georgofili e Chimica Verde Bionet, in collaborazione Agrosistemi srl, CarboREM, CuoioDepur, Paneco Ambiente e Nuove Acque.
“Ogni anno in Italia se ne producono oltre 3,2 milioni di tonnellate (4 milioni se si considerano anche i fanghi di origine industriale), che per il 46% finiscono in discarica e per il resto vengono recuperati e trattati, ma spesso in territori lontani dalla loro origine. Molte regioni infatti, Toscana compresa, esportano i fanghi civili recuperati verso la Lombardia o la Spagna o altri Paesi. Si può immaginare l’enorme spreco di mezzi pesanti e di energia generato da questi movimenti di materiale inerte che, opportunamente trattato in impianti locali, potrebbe essere utilizzato sui suoli regionali con un notevole beneficio per la loro fertilità e struttura”, ha sottolineato Beppe Croce, accademico dei Georgofili e Direttore dell’Associazione Chimica Verde Bionet.
Al tempo stesso oggi, in base ai dati dell’Osservatorio Europeo per il Suolo, il 47% dei suoli italiani gode cattiva salute a causa dell’erosione (22%) e della carenza di carbonio organico (19%). Con la progressiva perdita di fertilità dei suoli e con la progressiva scomparsa di quella che per secoli è stato il principale nutrimento apportato ai suoli agricoli, ossia il letame, l’alternativa più abbondante e a minor costo per restituire fertilità e migliorare la struttura dei nostri campi è questa “montagna” di residui, ricca di carbonio organico, azoto, fosforo e di altri microelementi. Ma presa tal quale può contenere anche sostanze indesiderabili, quali microrganismi patogeni, metalli pesanti, idrocarburi C10-C40 (spesso si tratta di oli di cucina), altri composti organici o PFAS o microplastiche. Nascono infatti come residui del trattamento di depurazione delle acque reflue. Vanno quindi preventivamente analizzati per poi essere eventualmente sottoposti a trattamenti per trasformarli in compost o in gessi di defecazione o in energia+digestato, tramite digestione anaerobica.
Ma qui sorgono i problemi legislativi, perché da una parte la disciplina dei fanghi risponde a 4 fonti normative diverse e non coerenti tra loro: la disciplina specifica sull’utilizzo dei Fanghi in Agricoltura (DL 99/92), la normativa Rifiuti, in quanto classificati come rifiuti speciali (DL 152/06), il decreto Fertilizzanti (DL 75/2010) e infine i regolamenti regionali, naturalmente diversi l’uno dall’altro. Dall’altra sono state sollevate negli anni preoccupazioni ambientali per l’uso di questi materiali sui suoli agricoli e gli operatori del settore ritengono che proposte di nuovi limiti, come sembra intenzione del Ministero dell’Ambiente, risultino talmente restrittive da bloccare di fatto il loro impiego.
L’incontro ha infine presentato diverse esperienze positive di trattamento dei fanghi, come i gessi di defecazione prodotti da Agrosistemi di Piacenza, praticamente un biosolfato che risulta un fertilizzante a norma di legge. Paneco Ambiente, una giovane azienda piemontese, ha sviluppato un sistema di trattamento dei fanghi con microrganismi in grado di ridurre il carico inquinante, incrementare la produzione di biometano e abbattere i composti solforati responsabili di corrosione e interferenze di processo. CarboREM, del gruppo Greenthesis, ha inaugurato quest’anno nei pressi di Milano il primo impianto di produzione di hydrochar da fanghi. Alcune esperienze positive sono nate anche in Toscana. Nel distretto delle pelli, CuoioDepur tratta fanghi conciari e da reflui civili per produrre fertilizzanti a norma di legge. Nuove Acque, gestore del servizio idrico dell’Alto Valdarno, ha realizzato un impianto che consentirà di produrre un fango da destinare a recupero energetico e valorizzando al contempo le ceneri all’interno di cicli produttivi industriali.
Infine, un caso di particolare interesse riguarda il dragaggio e il trattamento dei fanghi che si accumulano nei bacini idrici. Si calcola che nei 590 invasi italiani si sono accumulati 4,5 miliardi di metri cubi di sedimenti fini – lime, argille e sabbie - che ne riducono drasticamente l’efficienza, ne compromettono la funzione di stoccaggio idrico e limitano la produzione di energia idroelettrica. Una startup toscana, Decomar spa di Massa, ha messo a punto un sistema per un prelievo corretto di questa immensa mole di materiale, ricco di metalli pesanti recuperabili e più che adeguato a migliorare la qualità dei suoli. Un discorso analogo riguarda i fanghi di dragaggio dei porti.
Le potenzialità di utilizzo dei fanghi di depurazione e dragaggio sono quindi enormi, ma occorre un quadro legislativo coerente che ne consenta l’impiego e ne garantisca al tempo stesso la qualità con la definizione di limiti adeguati per i diversi potenziali inquinanti.

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