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Rilanciare la coltivazione del baco da seta in Italia è possibile

Rilanciare la coltivazione del baco da seta in Italia è possibile

Il motivo per cui non si produce più seta in Italia è il costo della produzione, più basso in Cina e in Asia. Ma diventa conveniente anche in Italia se si utilizzano i sottoprodotti di questa industria, per esempio per la farmaceutica, in una logica di economia circolare

09 giugno 2022 | Marcello Ortenzi

La seta occupa una nicchia infinitesimale nella produzione mondiale di fibre tessili (0,2% circa) ed è il vero simbolo del lusso: elegante, lucente, morbida al tatto, confortevole da indossare. Classificata tra le fibre naturali, è formata essenzialmente da due proteine (sericina e fibroina).

Oggi la seta è prodotta per lo più, laddove il gelso cresce a ciclo continuo (aree tropicali dell’India, della Cina, di altri paesi asiatici o del Brasile), per potere fare più raccolti annui e quindi massimizzare le rese degli investimenti agricoli e industriali. Quindi agricoltura intensiva, che utilizza fertilizzanti, irrigazione e anche pesticidi per controllare gli insetti che danneggiano la foglia, sempre disponibile durante l’anno; poi spendere più energia per condizionare la temperatura e l’umidità degli ambienti d’allevamento, soprattutto nei periodi caldi.

Il motivo per cui non si produce più seta in Italia è il costo della produzione. Il processo di dipanatura industriale (operazione tessile consistente nello svolgimento del filato che deve essere disposto sulle rocche del filo), consiste di diversi passaggi di lavorazione. I bozzoli devono essere selezionati, perché solo i migliori vanno in trattura; l’essiccazione serve alla conservazione; ci sono, poi, limiti tecnologici alla quantità di filo totale che può essere estratto è un altro scarto è costituito dalla crisalide all’interno del bozzolo. Il rapporto finale bozzolo kg seta/kg bozzolo fresco è circa 1/10. Gli scarti del processo di trattura, che in realtà sono sottoprodotti, utilizzabili in un’ottica di economia circolare, rappresentano il motivo del costo della seta.

Il CREA ha ripensato le finalità per cui fare bachicoltura, per potere produrre una seta che non entrasse in competizione con quella cinese. L’idea è stata quella di cercare, pur nell’ottica di un’attività di tipo integrativo, di valorizzare al massimo i sottoprodotti (bozzoli non atti alla trattura, sericina, crisalide) da un lato, e dall’altro, sviluppare le caratteristiche che la produzione cinese non può fornire, ovvero la tracciabilità del prodotto e l’altissima qualità in termini di salubrità.  

Il Gruppo operativo “Serinnovation”, è nato con il PSR Veneto: “Innovazione, qualità, tracciabilità in gelsibachicoltura per lo sviluppo di fonti integrative di reddito per le aziende agricole”, che ha puntato a promuovere la produzione del seme-bachi e una rete di agricoltori che cooperasse per l’allevamento centralizzato delle prime età larvali e l’essiccazione del bozzolo, la meccanizzazione e lo sviluppo di un disciplinare per la gelsibachicoltura biologica. Operare con la gelsibachicoltura in modo sostenibile procura un ottimo impatto sul dissesto idrogeologico, sul contrasto all’erosione dei suoli, sulla diversificazione colturale e paesaggistica e sul sequestro di anidride carbonica. Il baco è idoneo anche a operare come biosensore degli inquinamenti ambientali. Il progetto veneto agisce sulla seta come economia circolare, poiché se ne utilizzano anche tutti i sottoprodotti come materie prime di nuovi processi produttivi. Infatti, oltre all’utilizzo della seta del bozzolo per diverse finalità, la crisalide è sfruttabile per l’alimentazione animale e fra qualche tempo, lo sarà anche per quella umana, sulla base degli ultimi sviluppi della legislazione europea sugli insetti come “Novel food”. CREA Agricoltura e Ambiente sta esplorando gli utilizzi dei residui della coltivazione del gelso per finalità farmaceutiche, ma dai rami di gelso ottenuti dalla potatura e allevamento è pure possibile produrre bioplastiche e biomasse per l’impiego energetico.

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