Bio e Natura

SALVIAMO I SEMI CONTADINI, IL PRIMO ANELLO DELLA CATENA ALIMENTARE

Iniziare a raccogliere firme virtuali, e reali, per sostenere la creazione delle condizioni per rendere legale lo scambio di semi contadini, antichi e del territorio. E' quanto chiede Alberto Olivucci, presidente di Civiltà Contadina

06 maggio 2006 | T N

Perché non ci può essere diritto di scambio di semi e piante fra contadini? Perché i contadini devono scambiarsi tra di loro illegalmente le varietà del loro territorio o della loro tradizione, quelle che loro stessi si tramandano e sanno autoriprodursi, quelle che a volte fanno a meno dei pesticidi e resistono meglio alle avverse condizioni ambientali a causa della legislazione che lo proibisce?

La regolamentazione del movimento dei semi che si applica in Italia, la stessa per tutte le nazioni europee, mette praticamente fuorilegge ogni seme non iscritto ai registri delle varietà ammesse alla vendita istituiti fin dal 1970. Ma con il passare degli anni dalla istituzione di questi registri, le leggi sono gradualmente diventate più restrittive al punto da non permettere nemmeno lo scambio gratuito di semi fra produttori.

Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 9 maggio 2001 rende in effetti impossibile ogni cessione o movimento di semi non registrati; mentre il trattato UPOV91 intacca il diritto di risemina dell'agricoltore, ovvero il privilegio che l'azienda agricola ha di riseminare traendo seme da una parte dei propri raccolti. D’altra parte, con l'introduzione in coltivazione delle varietà OGM si apre il rischio della impollinazione spontanea da parte di queste sulle varietà contadine che a quel punto, ibridandosi con le varietà ogm che sono brevettate, diventerebbero automaticamente di proprietà della ditta sementiera che detiene il brevetto e quindi i loro semi non potrebbero essere più riseminati.

Intanto, le varietà di pubblico dominio, ovvero quelle che sono frutto di selezioni fatte più di trentacinque anni fa e che non pagano royalties a nessuno perché sono patrimonio collettivo in quanto antiche varietà, vanno gradualmente a perdersi, cancellate dai registri europe e sono destinate alla probabile estinzione e a essere completamente sostituite da ibridi F1, i cui semi non si possono riseminare se non penalizzando fortemente la possibilità di raccolto. Oggi, oltre il 90% delle sementi delle varietà commerciali di cetrioli, cocomeri, pomodori, melanzane, zucchine, meloni e peperoni sono ibridi e meno del 3% sono le varietà più vecchie di trentacinque anni.

In alcune nazioni europee si è riconosciuta l'esistenza e la possibilità di vendita di alcune varietà storiche, recependo una parte della direttiva CEE su cui si fonda il già citato DPR 322/2001, tuttavia è stata proibita la vendita dei prodotti di quelle varietà e sono state destinate al solo uso personale. Inoltre si è chiesto una tassa annuale di registrazione che penalizza i piccoli produttori e distributori di sementi. In Italia non è stata fatta neppure questa applicazione, esponendo il nostro ricco patrimonio storico varietale di semi alla biopirateria e alla copiatura.

Inoltre le varietà moderne, sia ortive sia agrarie, sono commercializzate con l'unico scopo di favorire una agricoltura industriale e la grande distribuzione organizzata. Gli ortaggi devono essere capaci di superare raccolte meccaniche, imballaggi meccanizzati, lunghi viaggi refrigerati. Devono avere una maturazione uniforme per favorire la raccolta simultanea, dipendono dalla chimica sia per le concimazioni sia per i trattamenti fitosantari. Devono avere un bell'aspetto ma spesso mancano di un buon sapore. Non sono certo adatti per gli orti familiari e per la vendita diretta di prodotti in fattoria.

Purtroppo questo avanzare di varietà sempre più tecnologiche sembra inarrestabile, ma ciò non ha nulla a che vedere con la possibilità di far circolare ancora, e con una certa libertà, le varietà locali e tradizionali. Perchè autorizzare OGM e ibridi e allo stesso tempo ostacolare in tutti i modi la libera circolazione di semi non registrati? Dobbiamo intuire che la volontà del legislatore sia quella di eliminare ogni possibile alternativa all’industria della genetica alimentare e alle sue sementi?



Un ritorno alla biodiversità rurale nei campi invece è auspicabile, non solo per un recupero di sapori e aromi di cui le modernità sono povere, ma anche di colori e forme che rendono piacevole mangiare e per favorire il movimento del cibo locale, ovvero della vendita diretta di prodotti di fattoria. L'assurdo è invece che anche un semplice seme di pomodoro, come anche di insalata o di qualsiasi altro ortaggio comune, tradizionale e contadino, solo perché non registrato, diventa un seme proibito. La iscrizione nei registri di una varietà è una pratica amministrativa lunga e costosa, inaccessibile agli agricoltori, una via impraticabile per le varietà contadine. È quindi urgente togliere queste regolamentazioni e lasciare piena libertà di scambio e diffusione gratuita delle varietà storiche italiane:



per preservare la biodiversità rurale

per una agricoltura ricca e variegata

per il diritto alla alimentazione libera e sana

per riconoscere il valore della nostra civiltà contadina

Noi chiediamo:

l'applicazione della direttiva CEE (98/95) finora disattesa dai governi e la creazione di una lista nazionale che raccolga le varietà locali o dei territori o contadine;
l'iscrizione libera e gratuita su questa lista per le varietà di coloro che conservano, selezionano e diffondono questa biodiversità;
che i criteri di iscrizione siano adattati alle particolarità di queste varietà locali, spesso non uniformi o stabili come quelle selezionate;
uno spazio di libertà totale per scambi liberi di piante e sementi contadine (in quantità corrispondenti ai bisogni di una piccola fattoria), nel rispetto delle precauzioni fitosanitarie essenziali.

FONTE: link esterno su segnalazione di Daniela Mugelli

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