La voce dell'agronomo 12/06/2004

L’AGRICOLTURA ITALIANA È AFFETTA DA NANISMO

Il mondo rurale del nostro Paese non riesce a liberarsi da un senso di soggezione rispetto agli altri comparti produttivi. Occorrono invece orgoglio e fierezza per rilanciare l’immagine della campagna, per affrancarla da una visione troppo spesso bucolica, fondamentalmente irrealistica ed assolutamente anacronistica


Siamo piccoli e non cresceremo mai.
Sembra voglia essere questo il motto del sistema agricolo italiano.
Il settore primario del nostro Paese è pervaso da un senso di inadeguatezza, di inferiorità, quasi di sottomissione rispetto agli altri comparti produttivi.
Vero è che la dimensione media dei fondi rustici, secondo il recente censimento Istat, è minuscola.
Vero è che il contributo dell’agricoltura al Pil, il prodotto interno lordo nazionale, è piuttosto limitato.
Vero è che i lavoratori impegnati nel campi non sono poi molti e si tratta prevalentemente di stagionali.
Dati ed informazioni che vengono riaffermati e sottolineati con forza, quasi con violenza, non appena gli agricoltori alzano la testa e mostrano di avere idee e pensieri. Rare occasioni, in verità, quelle in cui gli operatori rurali tentano di far sentire la loro voce.
Proprio in questi casi i limiti del comparto agricolo si manifestano in tutta la loro crudezza.
Nessuno scatto d’orgoglio scuote gli animi dei silenti contadini i quali fatalmente, quanto facilmente, si rassegnano, si prostrano, accettando un ruolo marginale e secondario, quasi succube, nella società e nel mondo produttivo italiano. Si tratta di un atteggiamento fatalista, da perdenti predestinati.
Eppure i retaggi culturali della servitù della gleba e della mezzadria dovrebbero essersi esauriti da tempo. Eppure le coraggiose lotte dei braccianti, all’inizio del secolo scorso, dovrebbero aver emancipato il mondo agricolo.
Cosa spinge allora imprenditori con ettari ed ettari di oliveto o vigneto a definire la propria attività come “piccola, quasi a conduzione familiare”? È solo falsa modestia oppure malcelata vergogna di trarre reddito dalla terra, dalla campagna?
So che fierezza e orgoglio non crescono sugli alberi. Sono tuttavia qualità che gli agricoltori dovrebbero coltivare con più cura e riguardo.

di Alberto Grimelli