La voce dell'agronomo
ALLARGAMENTO A EST. PROSSIMAMENTE ANCHE ALLA RUSSIA?
Nel corso della recente visita a Mosca, il premier Berlusconi ha auspicato l’ingresso della Russia nell’Unione europea. Questo passo sicuramente rafforzerebbe il peso politico ed economico del vecchio continente, ma a quale prezzo? Sostenere il rilancio del loro sistema produttivo sarà decisamente oneroso
24 aprile 2004 | Alberto Grimelli
Vantaggi e svantaggi. Si tratta di mettere sul piatto della bilancia i pro e i contro e valutare il risultato.
Un’operazione apparentemente semplice se si avessero a disposizione tutti gli elementi di giudizio che hanno i governanti, coloro i quali dovrebbero essere dotati non solo di tutte le informazioni e i dati disponibili, ma soprattutto della dote della lungimiranza. Infatti il politico che voglia assurgere al ruolo di statista dovrebbe sempre volgere lo sguardo al futuro, almeno quando si tratta fare la Storia.
Non essendo un politico, né, tanto meno, uno statista, mi limito ad alcune riflessioni sulle possibili ricadute del progressivo allargamento dell’Unione europea verso Est, ovvero verso quelle Nazioni ex comuniste che, per cultura e tradizione, ricadono nel vecchio continente.
Le capacità di influenza e il peso dell’area mediterranea ne avrebbero un durissimo colpo. Quale che sia il sistema di voto nella futura Europa, la preponderanza di una visione “continentale” delle problematiche diverrebbe certamente assoluta ed incontrastabile.
La congiuntura attuale è difficile, anche le economie dei Paesi maggiormente evoluti ed industrializzati stentano, le prospettive a breve termine non sono così lusinghiere e l’accoglimento, già programmato, di Nazioni con sistemi produttivi arretrati, con l’obbligo politico e morale di contribuire tangibilmente, con moneta sonante, alla loro rinascita, potrebbe prolungare il periodo di recessione e stagnazione in cui viviamo. Tutto questo naturalmente nel caso in cui riuscissimo a tenere fede agli impegni assunti, senza che subentri la necessità di clamorosi voltafaccia, cambi di rotta che potrebbero essere generati da furori di popolo, da mutamenti nello scenario politico e sociale mondiale o da altre mille variabili, la maggior parte delle quali imponderabili ed imprevedibili.
Che ne sarebbe allora della rifiorente viticoltura romena se venisse meno il progetto Sapard, e relativi fondi europei, che assegna un contributo a fondo perduto pari al 50% dell'investimento a quelle aziende che intendono impiantare vigneti e costruire cantine in questa Nazione?
Che ne sarà invece della viticoltura italiana o francese che dovrà confrontarsi con Paesi in cui la manodopera costa tre euro al giorno e che, grazie ai contributi europei e a un regime fiscale meno oppressivo, attirano ingenti somme di denaro?
L'aumento cospicuo e considerevole del bacino di potenziali acquirenti e futuri accaniti consumatori e capitalisti sarà sufficiente a controbilanciare gli enormi sforzi finanziari che dovremo sostenere nel breve-medio periodo?
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