La voce dell'agronomo 03/05/2008

Povera agricoltura, stretta tra neo bucolico e iper liberismo

Coldiretti da una parte, sempre meno organizzazione agricola, e i terzomondisti dall’altra, tra i quali una dei più appassionati è Emma Bonino, stanno provando ad affossare definitivamente il settore primario


Virgilio sarebbe ben contento dell’approccio ultimamente utilizzato dalla Coldiretti, un ritorno al bucolico, un neo bucolismo, poetico, forse anche epico, ma tragicamente lontano dalla realtà.
Mercatini degli agricoltori, mucche in piazza restituiscono un senso folcloristico della campagna, vicino a trasmissioni tipo Linea Verde piuttosto che Agrisette. Tale approccio piace più ai mass media che non ai veri imprenditori agricoli costretti quotidianamente a lottare contro un oppressivo carico burocratico che Coldiretti pare voglia aggravare anziché ridurre (vedi il decreto sull’etichettatura d’origine obbligatoria dell’olio d’oliva che costringe a tenere nuovi registri).
Più volte su queste pagine abbiamo scritto del progressivo allontanamento della Coldiretti dal suo ruolo di sindacato agricolo per avvicinarsi invece al mondo delle associazioni di consumatori. Ora il sospetto comincia a crescere anche tra le stesse associazioni di consumatori, come testimonia Romano Satolli in una sua lettera pubblicata su questo numero di Teatro Naturale.
Non ne siamo stupiti, per diverse ragioni.
E’ da qualche tempo che si rincorrono voci di qualche difficoltà economica per la Coldiretti che probabilmente spera, avvicinandosi al cosmo della difesa dei diritti dei consumatori, di attingere a qualche nuovo sostanzioso fondo pubblico, italiano o europeo.
La politica della Coldiretti sta diventando inoltre quantomai ondivaga, più sensibile agli umori dell’opinione pubblica, piuttosto che legata a una vera progettualità agricola di ampio respiro. Esempio ne è l’atteggiamento Coldiretti nei confronti delle centrali bioenergetiche. Sponsor attivo, negli ultimi 12-18 mesi, di grandi centrali a biodiesel da decine di megawatt (nel Salento, a Livorno e altrove) oggi fa marcia indietro e da Venezia fa sapere “no ai grandi impianti di biodiesel”.
Una schizofrenia pericolosa per quella che si definisce la principale rappresentanza agricola del nostro Paese.

Tensioni ugualmente forti e ugualmente dannose per il mondo agricolo sono quelle che vengono dai terzomondisti che hanno in Emma Bonino una delle esponenti di punta.
"La politica agricola europea non solo è scandalosa – ha sostenuto in una recente intervista a Repubblica il Ministro uscente del Commercio estero, Emma Bonino - ma è diventata ormai insostenibile. Ogni vitello che nasce da noi riceve circa un paio di dollari al giorno di sussidio! Così non si può andare avanti. Non si può pensare che in altri Paesi del mondo la gente accetti di morire di fame calma e tranquilla, senza ribellarsi".
Una tipica dichiarazione demagogica, a cui non ci siamo mai stancati di ribellarci.
Senza sussidi agricoli molti settori dell’agricoltura europea scomparirebbero perché non più economicamente sostenibili. I costi di produzione delle agricolture occidentali sono infatti gonfiati e aggravati, rispetto a quelli dei Paesi emergenti, dalle spese inerenti la sicurezza alimentare e ambientale, dagli oneri sociali e sul lavoro, dalla pressione fiscale. Tutte spese sacrosante per lo standard di vita occidentale che però fanno andare fuori mercato, rispetto alle quotazioni mondiali, le nostre derrate alimentari.
Dato per scontato che l’agricoltura europea, tolti gli aiuti, andrebbe gradualmente ma progressivamente a una riduzione sostanziale e considerando ininfluenti, in una visione di benessere globale, le ripercussioni economico sociali e ambientali di tale scelta (perdita migliaia di posti di lavoro, crisi del turismo legato al paesaggio, danni ambientali gravissimi, specie nelle aree marginali, le prime che verrebbero abbandonate…) andiamo ad analizzare quale scenario potrebbe aprirsi, anche considerando di destinare molti fondi allo sviluppo delle agricolture del Terzo Mondo. Le nuove maggiori superfici utilizzabili a fini agricoli, a meno di non disboscare enormi aree, si trovano nei Paesi africani, i quali tuttavia risentono di una connaturata povertà dei fattori produttivi, in particolare suoli fertili e acqua. Ne consegue che l’unico modello di agricoltura utilizzabile in Africa sarebbe quello estensivo, ecocompatibile e sostenibile certo, ma capace di soddisfare le esigenze alimentari di una popolazione mondiale in costante crescita? Ne dubito io, ma soprattutto ne dubitano istituzioni molto autorevoli, quali la Fao e, recentemente, il Fondo Monetario Internazionale. Considerando che il relatore speciale dell'Onu per il diritto al cibo Jean Ziegler ha dichiarato qualche giorno fa a Berlino che gli attuali aumenti dei prezzi di grano, mais, riso e soia stanno spingendo verso "un omicidio di massa silenzioso" nei Paesi più poveri, cosa pensiamo possa accadere mandando gambe all’aria l’agricoltura europea ma anche, probabilmente, quella di altri Pesi occidentali?
Per fortuna inizia a emergere qualche posizione più responsabile. Il Ministro dell’agricoltura tedesco Horst Seehofer ha detto in una intervista che la Politica agricola comunitaria (Pac) deve essere rovesciata, dal momento che negli ultimi anni ha spinto gli agricoltori ad abbandonare 3,8 milioni di ettari di terreno produttivo. "Abbiamo bisogno di un rinascimento agricolo - ha sostenuto - e di un aumento della produzione in Germania, nella Ue.".

Occorre prendere atto che le risorse alimentari, al pari di quelle energetiche, non sono moltiplicabili a piacimento e un iper liberismo, ovvero la fine di una politica pubblica coordinata di interventi, anche economici, può portare a incredibili altalene nei prezzi di questi beni di prima necessità, così causando fame, un accentuarsi delle sperequazioni sociali tra Paesi ricchi e poveri e conseguenti gravi tensioni geopolitiche.
Naturalmente tutto questo senza alcuna considerazione, decisamente egoistica, riguardo al futuro della nostra società e dei nostri territori, cui, apparentemente, i nostri politici sono tanto sensibili.

di Alberto Grimelli