La voce dell'agronomo 28/02/2004

ENOTURISTA SÌ, MA NON PER CASO

E' solo un fenomeno di moda? Una tendenza di costume destinata a svanire negli anni? Vedremo. E' curiosità, è vocazione a esplorare non soltanto i paesaggi, ma anche i sapori, i gusti e le tradizioni culinarie. Sono questi elementi a muovere e animare i nuovi "nomadi del gusto". Sono giovani, benestanti, acculturati. Hanno idee molto chiare


Da qualche anno è un fiorire di guide, iniziative dedicate all’enoturista, o meglio a una schiera di viaggiatori del gusto e dei sapori. Questi vacanzieri infatti non si limitano più solo al vino, che resta comunque il prodotto leader e trainante, ma anche ad altri prodotti tipici locali: olio, salumi, pane ecc. È nato così un nuovo modello di vacanza che non tiene esclusivamente in considerazione ai soliti piaceri: paesaggi, musei, spiagge, sport ma che contempla, tra le mete da visitare, anche cantine, frantoi, aziende agricole, tappe fondamentali per la una conoscenza dei luoghi che si apra anche a gastronomia e culinaria.
All’insegna del motto “tutti i sensi devono essere soddisfatti”.
Essendo un fenomeno piuttosto recente, comprendere le tendenze e le richieste dei potenziali fruitori è piuttosto complicato. Ma è un mercato in espansione, se consideriamo che anche l’editoria si fa sempre più attenta alle esigenze di questi turisti. Molto richiesti infatti tutti i testi che dovrebbero guidare lungo percorsi enogastronomici da ricordare e da raccontare, segno evidente che questi viaggiatori non si muovono a caso ma prima selezionano, scelgono.
Non stupisce troppo questa programmazione, questa scelta consapevole e mirata se teniamo conto del profilo dell’enoturista che sembra ormai ben delineato. Giovane, in media sotto i 40 anni, benestante e disposto a spendere, acculturato, moltissimi i laureati.
Sulla base di questi dati ed informazioni, ormai condivisi dalla maggior parte degli operatori e delle associazioni, possiamo trarre qualche altra considerazione. Il desiderio di esplorare nuovi gusti è sicuramente frutto anche della necessità di evasione, di assaporare qualcosa di diverso dai cibi precotti o dai pasti delle mense aziendali. Una pausa nel rigido autocontrollo alimentare e fisico che ci si impone in città. Ma questa motivazione, da sola, non sarebbe sufficiente a spiegare anche il contestuale brama di apprendere le origini del prodotto appena assaggiato, magari anche solo per pavoneggiarsi con gli amici al rientro della vacanza.
Non viene richiesta quindi solo tipicità e qualità ma anche competenza e disponibilità. Ecco che proprio questi momenti, in cui l’attenzione dell’uditorio è alta poiché c’è propensione all’ascolto, devono essere adeguatamente sfruttate per fare cultura agroalimentare. Serietà, preparazione e comunicativa, unite a qualche basilare nozione di marketing, possono in questi frangenti essere molto più efficaci di molte campagne pubblicitarie e promozionali.

di Alberto Grimelli