La voce dell'agronomo

Ma il mondo è davvero pronto alla globalizzazione?

Mentre un processo irresistibile e irreversibile scorre sopra le nostre teste e intacca i nostri portafogli, Occidente e Oriente stanno ancora misurandosi in un logorante braccio di ferro

08 marzo 2008 | Alberto Grimelli

La globalizzazione è ormai un processo irreversibile.
Inutile, perfino dannoso, cercare di arroccarsi su posizioni vetero protezionistiche, di rifiuto e di rigetto a una realtà ineludibile.
Occorre però porsi una domanda: il mondo è davvero pronto alla globalizzazione?

Rispondere è tutt’altro che semplice.
Da quando, pochi anni fa, si diede il via a questo percorso, sono stati molti i terremoti che hanno fatto tremare le fondamenta su cui si poggia il precario equilibrio mondiale.
Col senno di poi, era necessario attendersi poderosi assestamenti la cui portata tuttavia è stata più deflagrante di quanto ci aspettavamo, cogliendoci impreparati e trovandoci spauriti, a dover ridisegnare il nostro futuro.
Si tratta di un’analisi critica a posteriori, agevole ma necessaria visti gli eventi che si sono succeduti nell’ultimo decennio.
Bollette energetiche alle stelle, delocalizzazione delle produzioni, indebitamento progressivo degli Stati e delle famiglie per mantenere uno stile di vita paragonabile a quello del recente passato. Sono solo alcuni degli effetti sociali ed economici procurati dall’ingresso nel mondo di più di due miliardi di persone.
Vi sono anche conseguenze meno visibili e traumatiche ma ugualmente determinanti su piano strategico di medio-lungo periodo.
L’equilibrio geopolitico sta cambiando.
L’impatto ambientale della crescita selvaggia dell’Asia e della sostanziale stabilità dello stile di vita occidentale è tutto da verificare, ma è certo che il mondo non sta evolvendo in senso ecologista e sostenibile.

La globalizzazione va avanti con le proprie gambe, secondo una concezione iperliberista, senza alcun reale controllo o tentativo di governo.
I Paesi emergenti scalpitano. Ora tocca a loro, ne sono consci e vedono qualsiasi intervento di moderazione come una prevaricazione del mondo occidentale teso a difendere i propri privilegi e interessi.
Galoppare verso il benessere, travolgendo tutto e tutti, compreso il buon senso e la ragionevolezza.
Nessuno, neppure le loro dinamiche economie, possono però permettersi il petrolio a 100 dollari e il grano a 30 centesimi al chilo. Lo sanno ma preferiscono nascondere le teste sotto la sabbia, cercando di trascurare che il protarsi di questa situazione potrebbe generare un’escalation inflazionistica su scala globale senza precedenti, con conseguenze difficilmente prevedibili dal punto di vista economico e sociale.

Mentre tutto questo accade sopra le nostre teste e ai nostri portafogli, Occidente e Oriente stanno ancora misurandosi in un logorante braccio di ferro.
La speranza è che i leader mondiali si accorgano che la globalizzazione li sta scavalcando e che ogni giorno che passa è meno governabile, portando nuove problematiche difficilmente risolvibili sul piano nazionale o continentale.

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