La voce dell'agronomo

EVVIVA L’OTTIMISMO

Grande gioia ed esultanza. L’agricoltura traina il sistema paese. “È l’unico comparto con risultati in crescita”, afferma soddisfatto il ministro Alemanno. Purtroppo non è tutto oro ciò che luccica. A fronte del modesto aumento del Pil abbiamo anche un significativo aumento dei costi agricoli. E allora?

21 febbraio 2004 | Alberto Grimelli

L’ottimismo del nostro Presidente del Consiglio, mai tanto palese quanto durante una recente trasmissione di "Porta a Porta" su Rai Uno, deve essere veramente molto contagioso. Un virus che coinvolge non solo i compagni di partito del Cavalier Berlusconi, ma anche di altri elementi del governo.
Se gli aumenti sono soprattutto frutto di una nostra errata percezione dei rincari e un po’ di buona volontà, unita a qualche camminata al mercato, sarebbe sufficiente a salvaguardare il nostro potere d’acquisto, così “l’agricoltura – afferma il Ministro Alemanno - è un settore economico capace di esprimere valori positivi, in controtendenza rispetto agli altri comparti produttivi, a tal punto da riuscire a far crescere l’indice trimestrale del prodotto interno lordo”.
Secondo infatti gli ultimi dati Istat, l’unico Istituto, secondo il governo italiano, che fornisce dati credibili e attendibili, il Pil (prodotto interno lordo) dell’ultimo trimestre del 2003 in aumento dello 0,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2002. Il dato congiunturale del Pil, infatti, è il risultato del buon andamento dell’agricoltura, a fronte di una lieve diminuzione dell’industria e di una sostanziale stazionarietà dei servizi.
Quindi agricoltori, basta lamentarsi dei magri raccolti dovuti alle bizze del clima o delle crescenti difficoltà nell’export (-5% nei primi dieci mesi del 2003) o dell’aumento dei costi di produzione (+2,4% nel 2003 secondo l’Ismea). Gioite invece nel trainare la crescita economica dell’Italia, sesto Paese industrializzato al mondo.

Se è giusto e sensato, da parte della classe dirigente e governante, far trasparire ottimismo in una fase di stagnazione, quale quella in cui viviamo, mi sembra quantomeno irriverente lasciarsi andare all’entusiasmo. L’Italia, nel suo complesso, non si è impoverita, almeno non più degli altri Stati dell’Unione europea, ma viviamo in uno stato di palese e diffuso malessere.
La ripresa economica è certamente legata allo stato d’animo della popolazione, a un clima di fiducia, a una voglia di investire e consumare, ma voler imporre dall’alto questi stimoli, addirittura attraverso spot pubblicitari, appare grottesco.

L’unica reale strada conosciuta e praticata dal capitalismo moderno per rilanciare un’economia in crisi è rimpinguare le casse delle famiglie, degli imprenditori e dei commercianti. I governi che hanno dovuto affrontare gravi recessioni hanno fatto debiti, lanciato grandiose opere pubbliche, diminuito le tasse, pensiamo al New Deal di Roosvelt o al più nostrano dopoguerra.
Il Trattato di Maastricht, con le sue regole ferree sul rapporto fra deficit e Pil, purtroppo vincola e impedisce uno sviluppo secondo queste storiche linee guida.
Nell’attesa di trovare altre vie per il rilancio dell’economia italiana ed europea mi sembra assolutamente sconveniente e prematuro lanciare proclami euforici e spacciare dati sconsolanti (+0,1% crescita Pil nel terzo trimestre 2003) come successi e trionfi. La necessità di mostrare ottimismo non deve tramutarsi in sberleffi, anche se siamo a carnevale.

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