La voce dell'agronomo 02/02/2008

Ogm. Perché non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia

La notizia è di quelle che faranno tremare i polsi dei puristi ma è la realtà con cui ci troveremo a fare i conti, nel medio termine


Da qui al 2013 “i margini di manovra affinché l’Italia possa continuare a perseguire un’opzione non ogm diventeranno sempre più limitati, se si considera che il mais non gm disponibile sui mercati internazionali si potrebbe ridurre dagli oltre 43 milioni di tonnellate attuali ad un intervallo compreso tra i 13 e i 26 milioni”.

Un dato e un’affermazione.
La fonte è assai attendibile, si tratta di Nomisma, importante centro studi in quota al centrosinistra (fu fondato da Prodi) che non può essere tacciato di opportunismo né di asservimento a qualche multinazionale.

Per questa ragione questa notizia, corollario della presentazione dello studio “Ogm ed approvvigionamento di mais nel medio periodo. Criticità e opportunità del caso italiano” è stata ignorata dai principali mass media.
Non potendo criticare la fonte meglio, molto meglio far finta di niente e infilare la testa sotto la sabbia.

Si stima inoltre che il prezzo del mais non ogm è destinato ad aumentare “ben oltre il 4% di differenziale attuale, con un aggravio dei costi di approvvigionamento a cascata sulla filiera”.
Un ulteriore elemento di criticità potrebbe giungere poi dalla normativa comunitaria sulle micotossine, laddove dovessero essere introdotti limiti stringenti per il segmento feed.
Secondo lo studio, infine, in Italia ristagnano le rese di mais a causa di diversi fattori tra cui le ricorrenti crisi idriche, l’inizio dell’applicazione della direttiva Nitrati e la ridotta possibilità di ricorrere all’innovazione data dalla ricerca sul germoplasma di origine extra europea per la presenza accidentale di ogm; tuttavia la domanda di mais cresce e crescono, di conseguenza, anche le importazioni (+1,1 milioni di tonnellate tra il 2001 e il 2006).
Il tasso di autoapprovvigionamento di mais del paese è quindi passato dal 98% del 2001 all’87% del 2006.

Risultato, assai evidente, di questa analisi è che nel medio periodo diventeremo importatori di mais, ogm. Questo perché i principali Paesi esportatori (Usa, Argentina e Brasile) già oggi producono una quota di mais geneticamente modificato superiore a quello tradizionale.
Il commercio mondiale di mais vedrà quindi nei prossimi anni una quota crescente di prodotto geneticamente modificato, che potrebbe giungere fino all’86% del totale, a partire dal 49% circa stimato per il 2006.

Se non ci piace l’ogm, se non vogliamo il transgenico è ora di pensare, in fretta, a strategie alternative che non siano il populistico e demagogico ritornello sul biologico.
I nostri allevamenti, la nostra industria alimentare hanno bisogno di mais e non riusciamo a produrne a sufficienza. Chiuderci a riccio, con norme che valgano solo all’interno dei nostri confini, vale a poco quando ci si deve confrontare con un mercato globalizzato e trend ben delineati.
Se proprio gli ogm non li vogliamo, è ora di impostare una nuova riforma agraria che possa recuperare i 3 milioni di ettari di superficie agricola utilizzabile persi negli ultimi dieci anni.
Occorre riportare gli agricoltori alla campagna, scappati a causa dei redditi agricoli troppo bassi.
E’ ora di cominciare a dire che il tipico, il sano e il sicuro hanno un costo molto elevato che è la società tutta a dover versare. Si tratti dei prezzi delle derrate alimentari o di aiuti di Stato, poco importa.
Se non si vuol pagare, inutile perdersi in chiacchiere, presto o tardi dovremo aprire le frontiere agli ogm. Purtroppo, però, più tardi lo faremo più alto sarà il prezzo da pagare, perché diverremo completamente dipendenti dall’estero, dove, da anni, sviluppano, ricercano e brevettano varietà gm che saremo costretti a comprare.

di Alberto Grimelli