La voce dell'agronomo 29/09/2007

A MANGIAR CARNE SI INQUINA DI PIU’ CHE A GUIDAR L’AUTO. ECCO ALLORA SPUNTARE L’ECOTASSA AGRICOLA

Secondo un rapporto della Fao una famiglia di quattro persone che si alimenta con carne produce inquinamento pari a sei mesi di guida dell’auto. Pochi infatti sanno che il 18% dei gas effetto serra provengono dalle flatulenze delle vacche. Anziché introdurre una nuova imposta non sarebbe meglio insegnare l’educazione alle mucche?


Secondo l’economista Rifkin, importante consulente della Commissione Ue, occorre una tassa sulla carne, una ecotassa, perché la filiera zootecnica è la seconda fonte di inquinamento del pianeta.
Disincentivare i consumi di carne, questa è la linea politica di questo bizzarro economista che si basa su uno studio della Fao che asserisce che una famiglia di quattro persone che si alimenta con carne produce inquinamento pari a sei mesi di guida dell’auto.
Già, perché le vacche producono, con le loro flatulenze, il 18% dei gas a effetto serra…

Ecco allora spuntare l’ipotesi di una ecotassa per disincentivare il consumo di carne e fare in modo che si evitino le “disastrose conseguenze” dell’aumento delle emissioni dovute ai maggiori consumi in Cina e India. Per mantenere inalterato il livello di inquinamento dovuto alla filiera zootecnica occorre, ha dichiarato Rifkin, dimezzare i consumi di carne a livello globale.

Ma non sarebbe meglio, anziché introdurre una nuova tassa, insegnare l’educazione alle vacche?
A parte le facili battute e tutta la sequel di ironia che ne deriva, credo che Rifkin debba riconsiderare la sua posizione o almeno la sua soluzione al problema, troppo semplicistica.

Esiste un problema di sovrapopolazione del nostro pianeta.
Esiste un problema di eccessivo consumo delle risorse primarie, sia energetiche sia alimentari.
Si tratta di problematiche risolvibili introducendo una nuova tassa?
E’ un caso se il protocollo di Kyoto non ha preso in esame le flatulenze delle vacche?
E’ un caso se si è preferito un approccio multidisciplinare?
E’ un caso se il protocollo non suggerisce l’introduzione di nuove imposte ma un diverso metodo e approccio per ridurre le emissioni?
Se il protocollo di Kyoto, con la sua gradualità e prudenza, è rimasto inapplicato negli Usa e in Cina, come può sperare Mr Rifkin di stravolgere, nel volgere di pochi anni, lo stile alimentare della popolazione dei Paesi industriali?

Chissà perché, ma quando vengono indicate soluzioni tanto semplici a problemi tanto complessi divengo diffidente…

di Alberto Grimelli