La voce dell'agronomo 21/07/2007

NON E’ PIU’ SOLO LA FAO A LANCIARE L’ALLARME, ORA ANCHE IL FMI SI DICE “SORPRESO” DALL’AUMENTI DEI PREZZI DELLE DERRATE ALIMENTARI

Il mondo si scopre alla caccia di commodities, di generi alimentari di prima necessità. Due i motivi: la crescita della domanda nei Paesi emergenti e l’aumento delle richieste per produrre biocombustibili. L’agricoltura mondiale saprà rispondere a questa nuova sfida?


Erano anni che le quotazioni del grano e del mais non raggiungevano tali livelli.
Erano anni che i buyers non andavano a caccia di semi oleaginosi.
Oggi è successo, imprevedibilmente e repentinamente.
Capire perché è doveroso da parte di enti come la Fao (Organizzazione Onu del cibo e dell’agricoltura) e del Fmi (Fondo monetario internazionale) che dovrebbero guidare le economie mondiali e i mercati ma che sono invece stati travolti da questa nuova situazione.

Dalla pubblicazione dell'ultimo World Economic Outlook “i prezzi alimentari sono saliti ovunque, in particolare per due motivi: la domanda di cibo da parte dei paesi emergenti - ha specificato Johnson, capoeconomista dell'Fmi - è cresciuta velocemente, e il nodo dei prezzi dell'etanolo negli Usa ha avuto pesanti riflessi sui prezzi del mais in Messico e nelle economie dell'America latina”. A detta di Johnson, “la questione dell'etanolo ha prodotto uno shock macroeconomico.”
Anche per la Fao l’aumento della domanda di commodities per biocombustibili sta causando cambiamenti fondamentali sui mercati agricoli. Ma per la Fao anche le eccedenze ridotte e la riduzione nelle sovvenzioni di esportazione stanno contribuendo a questi cambiamenti nei mercati.

Cosa accadrà quindi?
Lo studio Fao dice che la produzione ed il consumo dei prodotti agricoli generalmente si svilupperanno più velocemente nei Paesi in via di sviluppo che nelle economie sviluppate. I Paesi dell'Ocse perderanno probabilmente presto la leadership nell’esportazione per quasi tutti i prodotti agricoli principali, anche se probabilmente continueranno a dominare su frumento, cereali a grana grossa ed i latticini.
In particolare nei prossimi 10 anni aumenteranno gli scambi per latte intero in polvere e suini del 50%, del 13% per cereali a grana grossa e del 17% per il frumento. Ma l’exploit più interessante sarà quello degli oli vegetali che dovrebbero aumentare di ben il 70%.

Nei prossimi anni, ma cosa accadrà domani?
Sono almeno 9 i Paesi, secondo la Fao, che avranno gravi problemi di cibo nei prossimi mesi.
Si tratta di Zimbabwe, Swaziland, Lesotho, Somalia, Sudan, Corea del Nord, Nepal, Iraq e Bolivia.
Nel complesso decine di milioni di persone rischiano di patire la fame.

Tutta colpa delle misure protezionistiche che paralizzano il libero scambio delle merci, come sostiene il Fmi, oppure è proprio il sistema del libero mercato che, oggi, si dimostra insufficiente a governare un mondo globalizzato, in continua crescita?
Anche il cibo, come ogni altra merce, va dove sono i soldi. Va, quindi, nei Paesi sviluppati o in quelli emergenti in cui sta progressivamente aumentando il tenore di vita della popolazione.
Purtroppo vi sono però milioni, anzi centinaia di milioni di persone, che non avranno i mezzi minimi di sussistenza.
Non voglio scadere in una falsa pietà, troppo spesso si è gridato “poverini!” e i governi delle nostre ricche Nazioni hanno mandato qualche tonnellata di aiuti per placare le ansie della pubblica opinione.
Non sono colpevole di essere nato e di vivere in un Paese occidentale, mi chiedo, mi debbo chiedere, se il libero mercato è la soluzione migliore per governare il nostro pianeta, se le risorse primarie debbano essere gestite unicamente dai capitali.
Una delle regole fondamentali del libero mercato è quella che stabilisce che, nel medio lungo periodo, si ristabilisce un equilibrio tra domanda e offerta, generalmente con un abbassamento dei prezzi.
Mi chiedo però se possiamo permetterci gravi perturbazioni dei mercati, che abbiano i loro effetti per mesi o anni, oppure se non converrebbe guidare, in modo soft, l’economia per prevenire situazioni critiche che possono avere pesanti ripercussioni umanitarie, sociali e sanitarie.

di Alberto Grimelli