La voce dell'agronomo

NON GIOCHIAMO CON I NUMERI, AGLI OLIVICOLTORI OCCORRONO CERTEZZE

Bisogna riconoscere a Fontanazza il merito d’aver svecchiato il dibattito olivicolo, in un’epoca difficile, ben più tradizionalista di quella d’oggi. Ora però, a trent’anni di distanza da quella rivoluzione, è lecito chiedersi fino a che punto si può industrializzare l’olivicoltura

14 luglio 2007 | Alberto Grimelli

“Olivicoltura intensiva meccanizzata” fu uno dei primi volumi tecnici d’olivicoltura che lessi.
Rimasi affascinato dalla portata e dalla spinta innovatrice delle teorie e dei modelli gestionali illustrati da Fontanazza.
Approfondendo tali argomenti mi imbattei in altri due libri dello stesso autore: “Olivicoltura alternativa” e “Allevamento e potatura dell’olivo”.
I miei studi universitari, nel frattempo, si stavano decisamente indirizzando verso l’olivicoltura.
Più concentravo la mia attenzione su questa pianta, anche in virtù di una gestione diretta di oliveti, più mi sorgevano dubbi sulla reale efficacia ed efficienza, specie nel lungo periodo (10-15 anni), delle teorie esposte da Fontanazza.
Erano già molti gli impianti a monocono a dimora all’epoca, prevalentemente col sesto dinamico 6x3 m, che in realtà diventò il sesto definitivo per la totalità degli olivicoltori che scelsero tale metodo. Per questi oliveti, in ogni zona d’Italia, anche in aziende di medio grandi dimensioni, presto iniziarono a porsi svariati problemi, in ordine soprattutto al contenimento della chioma per alcune varietà (es Leccino) o alla disposizione della chioma fruttificante (es Moraiolo) o ancora per problemi di natura fitosanitaria, principalmente rogna e occhio di pavone, nelle varietà sensibili (es Frantoio) a causa dell’elevato tasso d’umidità che si rileva in questi impianti.
Nel medio periodo veniva a diminuire drasticamente la fruttificazione, almeno nella parte basale delle piante (ovvero fino a 2 m circa) a causa dell’ombreggiamento, costringendo così l’olivicoltore a severi interventi di potatura effettuati manualmente, dato che nessun sistema di potatura meccanizzata risulta efficace ed efficiente per tali interventi di “ricostruzione” dell’albero.
La stessa applicazione ordinaria della potatura meccanica risultò inoltre difficoltosa e poco conveniente, a causa dell’approssimazione di taglio, delle ferite arrecate alla pianta, della mancanza di selettività delle barre falcianti sulla fronda fruttifera.
Tutte le problematiche espresse, oltre ad altre non citate, a oggi, sono irrisolte e questa è la vera ragione per cui il modello gestionale predisposto e previsto da Fontanzza è fallito in Italia, dove resistono alcune aree, come intorno a Perugia, che, per condizioni climatiche e ridotto accrescimento delle piante, si possono adattare al sistema di allevamento a monocono 6x3 m.
Anche all’estero, dove le estensioni aziendali sono ben diverse da quelle italiane e dove vi era un modesto o nullo background culturale sull’olivo, e quindi meno condizionamenti, il monocono 6x3 m è fallito, non essendo riuscito a mantenere i risultati economici promessi, anzi talvolta aggravando, come detto, le problematiche tecnico-agronomiche.
Nonostante l’insuccesso del programma e del progetto, non tutto deve andar perduto.
Resta infatti la piacevole scoperta che è possibile raccogliere meccanicamente le olive, mediante scuotitura al tronco con ombrello intercettore, metodica e attrezzatura che si sono andate perfezionando negli ultimi anni e che si possono ora applicare a diverse forme di allevamento, tra cui il vaso.
Resta l’obiettivo di ridurre i costi di produzione, operando sulle più importanti e dispendiose operazioni colturali in oliveto: potatura e raccolta.
Resta anche, però, un interrogativo.
Fino a che punto è possibile industrializzare l’olivicoltura?
A cui ne seguono immediatamente degli altri.
E’ l’intensificazione colturale la strada giusta? Con sesti 5x5 m o 6x6 m è possibile ottenere risultati economici confrontabili?
E’ possibile per l’Italia una politica di competizione di prezzo, ci sarà possibile, nel medio periodo, battagliare sul fronte dei costi con Tunisia, Marocco, Siria ed altri?
L’abbandono del nostro germoplasma autoctono, per far posto a varietà spagnole o nuove cultivar, è compatibile con il sistema Italia, basato su turismo e territorialità?
Le risposte a queste domande sono tutt’altro che univoche, sia da parte della ricerca, sia da parte degli economisti, sia da parte della politica.
Regna una grande confusione mentre gli olivicoltori, per investire, in un momento critico come l’attuale, avrebbero bisogno di certezze che però nessuno può offrire, neanche su una questione apparentemente semplice. E’ sufficiente infatti chiedere quale sia la densità d’impianto per il modello superintensivo per avere risposte molto diverse: dalle 1200 piante/ha di Fontanazza alla 2500 di Todolivo (Spagna).
Eppure di superintensivo si continua a parlare molto, perché?
Forse è bene chiedersi chi, prima che perché?
Pochi soggetti, ma molto forti e potenti, stanno infatti attivamente sponsorizzando tale modello. Questi sono prevalentemente gli industriali dell’olio, con in testa Salazar (Sos Cuetara), i vivaisti, in primis Agromillora catalana, e alcuni gruppi di consulenza, come ad esempio Todolivo, recentemente acquisito proprio da Sos Cuetara.
Avendo ben chiaro chi, ci si può chiedere perché.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una certa volatilità delle quotazioni dell’extra vergine, che salivano a 4 euro/kg ed oltre, per poi ridursi a circa 2 euro/kg. L’extra vergine d’oliva è stato sempre oggetto di speculazioni ma oggi la situazione pare aggravarsi, perché a fronte di una domanda crescente, non sempre, in ragion delle produzioni e degli stock, l’offerta mondiale è in grado di farvi fronte, con conseguente rialzo delle quotazioni.
Gli industriali dell’olio, per mantenere e magari potenziare le loro quote di mercato, hanno tuttavia bisogno di prezzi all’origine il più bassi e stabili possibili, in modo da poter più agevolmente fare penetrazione sui mercati e lottare più facilmente contro la concorrenza degli altri grassi vegetali. Hanno quindi necessità che l’offerta d’olio sia sempre superiore alla domanda, così da calmierare i prezzi alla produzione Una strategia politico economica legittima ma che ha già fatto infuriare gli olivicoltori spagnoli, che infatti già minacciano di non conferire più l’olio ai grandi imbottigliatori, Sos Cuetara in primis.

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