La voce dell'agronomo

I LINGUAGGI DEL MONDO RURALE

Si parla, ma non si comunica. Troppe le difficoltà per intendersi tra istituzioni, professionisti e agricoltori. Tutti ricorrono a termini e a moduli espressivi differenti. Le incomprensioni sono all'ordine del giorno e provocano imbarazzi

10 gennaio 2004 | Alberto Grimelli

Da anni ormai nel mondo agricolo non si comunica più, certo si parla molto, negli uffici, in campo, ai convegni e manifestazioni, ma non c'è un vero e sentito scambio di idee, esperienze che possono realmente arricchire un comparto.
Sono state molte le spiegazioni che si sono accavvallate per spiegare questo curioso quanto nocivo fenomeno, questo arroccamento di ogni categoria sulle proprie posizioni a difesa del prorpio orticello. Senza voler entrare nel merito delle interpretazioni e illustrazioni che sono state espresse fino a qui, vorrei lanciare però un ulteriore elemento di discussione: manca spesso la volontà di comunicare.
Se è vero che l'informazione fa potere, proprio il film "Quinto Potere" di Lumet (1976) ha illuminato su questo argomento, la comunicazione è un'arma, uno strumento possente che può realmente trasferire l'informazione quanto celarla dietro un linguaggio criptico e modelli espressivi degni della Carboneria o della Massoneria.
Dare la sensazione al prorpio interlocutore di trasmettere dati o notizie, nascondendole tuttavia con tecnicismi inutili o sigle strampalate è diventata la regola nel settore agricolo. Così si comportano le Istituzioni allorchè ricevono spaesati agricoltori o preparati professionisti, interpretando, a volte diversamente da un ufficio a un altro, la stessa norma, spesso scritta in modo tale da non poter compresa senza opportune e numerose circolari esplicative. Ma è anche il metodo preferito da alcuni consulenti, quando ritengono di poter trarre un vantaggio, nell'uso di un rigoroso linguaggio tecnico-scientifico, dal mettere in soggezione l'impreparato cliente, che, se fosse competente in materia, non avrebbe certo dovuto rivolgersi a un esperto.
Gli agricoltori, d'altro canto, spesso giustamente offesi da questo ostracismo e presunta superiorità dei propri interlocutori, si difendono contestando tanto l'inutilità degli uffici pubblici quanto la mancanza d'esperienza e di pratica di agronomi, periti e tecnici vari, che conoscono magari bene la materia, ma sempre e solo su carta, non avendola vissuta in campagna.
Questa chiusura e diffidenza che si è venuta a generare tra i vari operatori agricoli (accademici, professionisti, agricoltori, uffici ed enti pubblici) si evidenzia tanto più nei convegni o dibattiti pubblici in cui ognuno parla con un linguaggio comprensibile solo alla propria ristretta cerchia senza voler nemmeno aprire la discussione con gli altri.
Il danno che viene così arrecato al mondo rurale è grave e potrebbe avere ricadute anche nel lungo periodo, per molti anni a venire. Se la ricerca non segue, se non parzialmente, le richieste del mondo produttivo che riceve poche e frammentarie informazioni da chi, i professionisti, dovrebbero tradurre e portare i risultati delle sperimentazioni sul campo, l'agricoltura italiana rimane ancorata a vecchie e superate consuetudini che risultano, molto spesso, antieconomiche. Se il carico di burocrazia, già impressionante, viene ulteriormente aggravato da ore di attesa negli uffici semplicemente per chiarire il recondito significato di qualche codicillo o per avere spiegazioni di qualche contorta modulistica, preziose energie vengono disperse senza significato, solo acuendo il senso di distacco dalle regole e dalle istituzioni.
Dato che non esite alcuna legge che impone alle varie categorie d'operatori questo isolazionismo forzato, sforziamoci di aprirci, di comprendere le esigenze del nostro interlocutore e di rimettergli le informazioni in nostro possesso nella maniera più chiara possibile. Non avremo perso nè credibilità nè potere ma avremo sicuramente aiutato il mondo agricolo a crescere.

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