La voce dell'agronomo 12/05/2007

PER CONFERMARSI E CONSOLIDARSI LEADER DI MERCATO LA RICERCA VITIVINICOLA NON DEVE ESSERE BLOCCATA

E’ grave che si sia dovuti giungere a un appello per il vino, è grave che vengano segnalati atteggiamenti intransigenti e fondamentalisti contro l’evoluzione della scienza enologica. In nome della tradizione, troppo spesso, ci sono tentazioni reazionarie contro cui è indispensabile lottare


Qualche giorno fa imprenditori, enologi, agronomi, giornalisti hanno sottoscritto un appello per la libertà di ricerca e per sostenere l'azione delle nostre aziende vitivinicole in termini di mercato, qualità e competitività internazionale.
Un appello a cui è difficile rimanere indifferenti, un grido a cui è difficile non associarsi.
E’ sensazione diffusa che il mondo del vino sia stato avviluppato da una visione reazionaria, persino fondamentalista, che vede nella tradizione il suo fulcro e che rifiuta, preconcettualmente, ogni tentativo di innovazione e, peggio, tende a limitare, se non bloccare, l’evoluzione della scienza enologica.
Ricordare che la ricerca scientifica in un settore in cui siamo leader è risorsa indispensabile per mantenere il primato è, o dovrebbe essere, superfluo. Così purtroppo non è.
In nome di una presunta difesa del diritto di scelta del consumatore e dei valori della tipicità e del territorio, si tende invece a fermare ogni innovazione, quasi ci fosse il pericolo di contaminare quel background culturale che è nostro patrimonio indiscusso.
Nessuno può “rubarci” il Barolo, il Brunello, il Chianti, il Refosco. Non si tratta di soli vitigni, né di solo terroir, è un complesso di fattori che rende unico quel particolare vino.
Così però devo ricordare che i vini italiani si sono evoluti moltissimo negli ultimi anni, anche grazie all’introduzione di tecniche agronomiche ed enologiche innovative. Si è spesso trattato di un’importazione di ricerche, di studi e di applicazioni. La Francia ci ha insegnato moltissimo.
L’affinamento in barrique è pratica comune e largamente utilizzata che non appartiene però al nostro patrimonio vinicolo-culturale. Una tecnica che ha permesso, salvo eccessi, di migliorare i nostri vini, conferendo alcuni di quei caratteri organolettici che oggi sono apprezzati nel mondo.
Nel mondo vitivinicolo un ostracismo culturale in nome della tradizione è un atto quindi non solo pericolosamente reazionario ma anche illogico e antistorico, oppure vogliamo davvero ritornare a quei vinelli del dopoguerra che oggi anche il più inesperto dei consumatori rigetterebbe con disprezzo?

Ecco quindi l’appello già firmato da moltissimi protagonisti del mondo vitivinicolo italiano che invito a diffondere.

Negli ultimi quarant’anni il vino italiano ha consolidato la sua posizione nel mondo, raggiungendo dei traguardi che sino a qualche decennio fa erano impensabili. È stato un processo lungo e complesso che ha avuto nell’esaltazione della qualità, dell’origine e della territorialità dei vini dei momenti fondamentali.
Tutto ciò però è stato possibile grazie alla rivisitazione sia delle pratiche agronomiche nelle campagne sia all’incessante evoluzione della ricerca e dell’applicazione della scienza enologica nelle cantine. In questo modo i nostri vini hanno compiuto un deciso salto di qualità, anche dal punto vista organolettico, recuperando quel gap di conoscenze ed esperienze che in passato ci aveva fortemente penalizzato sui mercati internazionali.
Oggi il nostro Paese ha una posizione di primo piano nel mondo grazie proprio all’ammodernamento e allo svecchiamento delle cantine dal punto di vista tecnologico e strutturale e dall’efficacia dei protocolli enologici moderni applicati sia dalle grandi che dalle piccole aziende.
In passato i vini italiani si sono segnalati all’attenzione internazionale per la capacità di rompere gli schemi affiancando alla produzione tradizionale una ampia schiera di vini che hanno fatto dell’innovazione la loro cifra stilistica e sono riusciti ad interpretare con fantasia e meglio di altri, i gusti e le esigenze del consumatore internazionale, tenendo per altro alta, in un momento molto difficile, l’immagine del vino italiano. I cosiddetti Supertuscan, ieri classificati come Vini da Tavola (VdT) oggi come vini ad Indicazione Geografica Tipica (IGT), sono stati in questo campo l’esempio di maggior successo.
A fronte di ciò negli ultimi anni si è sviluppata una corrente culturale che vuole imporre una visione che tende a limitare gli orizzonti della ricerca e dell’enologia. Il confronto insomma si è spostato e non è più solo tra conservatori e innovatori. Infatti da una parte c’è chi in nome del rispetto della tradizione considera l’enologia come un sistema chiuso alle novità, sostanzialmente incapace di ascoltare. Dall’altra c’è chi, pur rispettando profondamente l’origine e la storia dei prodotti, vuole esaltare questi aspetti sfruttando tutte le possibilità offerte dalla moderna enologia e tecnologia ad essa collegata, interpretando le sollecitazioni che vengono da un mercato ormai planetario.
Le discussioni su certi aspetti del nostro mondo del vino, hanno evidenziato un preoccupante atteggiamento di chiusura nei confronti dell’evoluzione della scienza enologica e dei mezzi che essa mette a disposizione. L’enologia non può limitarsi ma deve essere in grado di cogliere tutte le opportunità, soprattutto quelle che permettono di abbassare i costi e di aumentare i profitti delle aziende, rendendole sempre più competitive.
Noi che a diverso titolo ci occupiamo del vino, esprimiamo la nostra preoccupazione perché i dati scientifici vengono sistematicamente ignorati, preferendo la banalizzazione degli argomenti all’approfondimento. Senza adeguati approfondimenti tecnici, scientifici ed economici non si può pensare di affrontare con efficacia la competizione internazionale e incrementare la qualità dei nostri prodotti.

di Alberto Grimelli