La voce dell'agronomo 28/04/2007

L’OLIO EXTRA VERGINE D’OLIVA PUO’ DIVENIRE UN BUSINESS PER LA RISTORAZIONE. ECCO DUE MODELLI UGUALMENTE VALIDI

Fipe e Confersercenti si oppongono all’abolizione delle ampolle, pur sancita dalla legge. Considerano la norma vessatoria, in quanto foriera di un aumento delle spese per i loro associati. Per convertirli, occorre proporre soluzioni che trasformino il costo in un ricavo


Al recente Vinitaly, la Fipe, in un incontro dedicato alla delicata questione delle ampolle ha dichiarato esplicitamente tutta la sua contrarietà a forme che obblighino i ristoratori e i pubblici esercizi a somministrare e presentare oli imbottigliati, difendendo così le ampolle.
La questione è chiara.
Considerando l’olio un semplice condimento e un costo, i ristoratori tendono a comprimere questa spesa quanto più possibile, acquistando taniche e latte di extra vergine, quando va bene, per poi versarne il contenuto in anonime oliere, utili però allo scopo di offrire all’avventore il “grasso liquido” desiderato.
Ogni tentativo di sensibilizzazione verso l’uso di oli di alta qualità, imbottigliati e presentati così al consumatore, pare oggi, nonostante la tenue deterrenza dei controlli, destinato al fallimento, a meno che, ovviamente, non si proponga al ristoratore una soluzione valida per guadagnare attraverso l’olio extra vergine d’oliva.

In questa breve nota propongo a tutti i ristoratori d’Italia due modelli, ugualmente validi, che si adattano a ristoranti e pubblici esercizi diversi, aventi cioè pubblici più o meno danarosi e acculturati in materia.

La bottiglietta mignon o monodose. Prevede la vendita al consumatore della suddetta bottiglietta per condire i piatti consumati durante il pasto. Il ristoratore dovrà quindi dotarsi di un ventaglio di offerta piuttosto variegato, adatto alle esigenze e ai gusti del suo potenziale avventore.
Con un prezzo di acquisto dal produttore di 3-4 euro/cad e stimando un prezzo di vendita al pubblico di 5-6 €/cad. Il guadagno a bottiglia sarebbe così di 2 euro/cad. Stimando un consumo annuale di 1000-1200 bottiglie si arriva così a un ricavo 2000-2400 euro/anno.
Si tratta di un modello di business indicato per l’alta ristorazione, laddove l’incidenza di 5-10 euro a pasto risulti non così significativa rispetto al conto complessivo. Ecco allora che l’offerta di oli pregiati, in confezioni monodose può rappresentare un lucroso plus per il locale.
Naturalmente tale modello non è privo di rischi che riguardano particolarmente la recettività del pubblico del locale a tale proposta, i costi di gestione di un portafoglio di etichette piuttosto variegato e vasto e la scarsa reperibilità, allo stato attuale, delle bottigliette mignon.

La seconda opzione è invece l’abbinamento extra vergine cibo.
Il ristoratore dovrà studiare, rispetto a piatti alto vendenti o piatti particolari, di suo interesse, abbinamenti con oli extra vergini tipici, di qualità e di nicchia. Proporrà quindi alla sua clientela non solo un piatto ma un abbinamento olio/cibo con un servizio che illustri le caratteristiche del piatto e dell’extra vergine, lasciando la bottiglia in tavola.
Considerando un prezzo di acquisto 10 euro per una bottiglia da 500 ml, egli potrà dare al piatto un valore aggiunto, quantificabile in 50 centesimi di euro. Considerando che il consumo pro capite per condire è pari a 10 ml, dalla bottiglia da 500 ml se ne ricaveranno 50 “porzioni”. 50 centesimi di euro (valore aggiunto dato al piatto abbinato all’extra vergine) per 50 porzioni, significa un ricavo di 25 euro che detratti i costi d’acquisto della bottiglia significano 15 euro di guadagno netto. Stimando un consumo medio annuo di 400-500 bottiglie si può arrivare ad affermare che il guadagno complessivo oscilla tra i 6000 e i 7500 euro.
Un aumento del prezzo a pasto o a pietanza di 50 centesimi di euro, nella maggior parte della ristorazione italiana, verrebbe scarsamente recepito dal consumatore ma consentirebbe di generare un piccolo business legato all’olio che potrebbe accrescersi se, come accade già per il vino, qualche avventore voglia acquistare direttamente dal ristoratore l’olio che ha apprezzato a tavola. Si otterrebbe così, dopo la fase iniziale di studio e di acculturamento del personale di sala, una differenziazione e qualificazione del locale attraverso un servizio aggiuntivo a basso costo e impatto economico. E’ infine necessario considerare che eventuali costi, relativi alla gestione delle bottiglie, verrebbero abbondantemente compensati da altri risparmi, forse poco visibili, quali i lavaggi delle ampolle e la sostituzione delle stesse in caso di rottura.

L’olio extra vergine d’oliva può certamente divenire, attraverso questi o altri possibili modelli, un business per la ristorazione che così, guadagnando, potrà essere partner del settore oleario nella crescita della cultura del prodotto, innescando quel circolo virtuoso che ormai attendiamo da tempo.

di Alberto Grimelli