La voce dell'agronomo

BOTTI DI SAN SILVESTRO? SÌ, QUELLI DI CIRIO E PARMALAT

Due grandi gruppi dell'agroalimentare sono saltati in aria. Vi è ora un clima di incertezza e sfiducia. Non solo tra i lavoratori. Anche tra fornitori e investitori. Gli altri colossi possono dirsi davvero sani? Vedremo

27 dicembre 2003 | Alberto Grimelli

Prima 7, poi 10, poi 13 MILIARDI di euro, il crack della Parmalat ha cifre da legge finanziaria dello Stato italiano. Cirio non arriva a queste vette, ma comunque l’esposizione finanziaria è assai rilevante. Se il futuro di questi due marchi storici dell’agroalimentare italiano è estremamente incerto, le ipotesi si susseguono e i dibattiti sono incessanti, rimane sullo sfondo una domanda: come si è arrivati a questo punto? Come, in barba a controlli e controllori, si sono potuti truccare bilanci e conti per anni e anni?
Qualcuno, in verità, la domanda l’ha posta anche a quelle istituzioni che dovrebbero sorvegliare il mercato. La risposta è stata tipicamente italiana, il gioco dello scaricabarile, a cui i politici e gli alti funzionari dello Stato ci hanno abituato. Ho sentito il governatore della Banca d’Italia Fazio auspicare maggiori poteri per la Consob, rifuggendo così da critiche sul comportamento del suo ente. Consob e Guardia di Finanza sono rimasti sorpresi come bambini colti con le mani nella marmellata.
A questo punto mi sorge un sospetto, quante sono le aziende che possono saltare in aria da un momento all’altro? Se i dirigenti di Parmalat e Cirio sono riusciti a beffare, aggirare il sistema di verifiche, quanti sono gli amministratori che ancora ci riescono? Se mi pongo io questa domanda, è evidente che, prima del sottoscritto, questa considerazione è balenata nella mente di broker e investitori di tutto il mondo. Poi lamentiamoci che la borsa scende.
Una seria, urgente, immediata analisi dei processi di sorveglianza e revisione dei conti, non solo è auspicabile, ma tanto necessaria da richiedere sedute straordinarie del governo e del parlamento anche in questi giorni di festa. Se è un problema di regole, rivediamole nel più breve tempo possibile, se è un problema di capacità professionali creiamole, ne va della credibilità del sistema economico italiano. Non si può sempre e solo affrontare l’emergenza e tappare i buchi che di volta in volta si vengono a creare, “prevenire è meglio che curare” non è uno slogan da applicare solo alla salute umana ma anche a quella dell’economia.
Quali saranno ora le ricadute in termini sociali, quanto lo Stato dovrà sborsare per tamponare la situazione? Certamente non è possibile che rimanga solo alla finestra, la sorte di troppe imprese e famiglie, e quindi elettorato, sono in gioco. L’esposizione finanziaria di Parmalat verso migliaia di allevatori è quantificabile in milioni di euro, anche le altre aziende fornitrici rischiano grosso, come pure i 15.000 dipendenti.
Resta solo da aspettare, capire se gli storici marchi rimarranno in mano italiana o verranno ceduti, sperando solo che gli imprenditori che succederanno a Tanzi e Cragnotti non si spingano in spregiudicate avventure.

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