La voce dell'agronomo 17/02/2007

GLI INFORTUNI IN AGRICOLTURA CALANO MA MAI ABBASTANZA, ALMENO PER I NOSTRI POLITICI

Il lavoro nel settore primario non è mai stato un’attività sicura. Vari erano i rischi per la salute, connessi anche a un uso “disinvolto” di alcuni presidi fitosanitari. Oggi che l’agricoltura si è fatta più sostenibile, non solo sotto il profilo ambientale ma anche sociale, si chiede di più e in maniera pressante


Secondo i dati dell'Inail, gli infortuni in agricoltura sono passati da 80532 nel 2001 a 66400 nel 2005.
“Sono diminuiti dell'8,7% rispetto al 2001 - ha detto Elena Battaglini dell'Università La Sapienza nel corso del convegno “Il lavoro in agricoltura. Dall'illegalità alla responsabilità sociale” - ma solo del 4,1% nell'ultimo anno”.

Mi vorrei in particolare concentrare sull’avverbio solo.
In quattro anni una riduzione dei casi tanto significativa dovrebbe essere considerata non solo un dato positivo ma una sorta di miracolo.
Invece si cerca, spinti dalle tendenze della politica, di abbassare la portata del risultato, si guarda, spesso strumentalmente, al sassolino invece di volgere lo sguardo al masso.
Beninteso, non è mia intenzione giustificare i comportamenti irregolari dei datori di lavoro che non forniscono le dotazioni di sicurezza e non rispettano le norme sulla sicurezza sul luogo di lavoro, si rassicurino quindi i sindacalisti e i difensori dei diritti dei lavoratori.
Una riduzione così significativa degli infortuni dovrebbe però essere salutata con soddisfazione e con orgoglio, senza la rituale appendice “sì, ma non basta”. Tutto, infatti, è perfettibile e migliorabile, ma, anche sotto il profilo statistico, bisogna ammettere che il trend è più che incoraggiante. Per questo mi sarei piuttosto aspettato di udire la frase “siamo sulla strada giusta”.
Tanto più che i fattori principali degli infortuni sono cadute dall'alto, aggressioni di animali (chi l’avrebbe detto?), asfissia, danni ricevuti da cadute da oggetti, ovvero cause di incidenti che possono rientrare anche nella casualità, nella fatalità ovvero possono essere comuni, eccezion fatta per le aggressioni di animali, a molte altre attività lavorative.
L’agricoltura, insomma, si dimostra molto meno pericolosa di quanto ricordavamo o di quanto eravamo abituati a credere.

Crescono invece le malattie professionali.
Si è passati da 969 casi nel 2001 a 1303 nel 2005.
Dall’analisi dei dati si rileva comunque la bassa “patogenicità” delle malattie, si tratta infatti di ipoacusia e sordità (42,5%), asma bronchiale (31,5%) e malattie osteoarticolari (12,6%).
Pochissimi, statisticamente irrilevanti, i casi di cancro, patologie mortali o fortemente invalidanti.
Ne risulta che, anche in questo caso con le proprie specificità, l’agricoltura si dimostra un settore sicuro, ove cioè i rischi per la salute nel medio lungo periodo non sono più elevati, né in quantità né in qualità, rispetto ad altre attività produttive.

Ovvio che i rischi infortunistici per gli impiegati sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli degli operai ma la forza lavoro non può essere composta unicamente da colletti bianchi.
Inoltre chi ci assicura che, in futuro, non emerga che i rischi per la salute, nel medio lungo periodo, siano più elevati per gli impiegati che per gli operai? Dopo la sentenza lombarda quanti saranno i casi di cefalee che verranno attribuite all’attività professionale svolta? Per non parlare delle ulcere…

di Alberto Grimelli