La voce dell'agronomo 20/01/2007

IL NUOVO ANNO SI APRE CON L’EMERGENZA NITRATI. FAR COINCIDERE TUTELA AMBIENTALE E SALVAGUARDIA OCCUPAZIONALE

Non si tratta certo di una novità. Ora, però, che l’Ue ha avviato la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia scatta l’allarme. Il nostro Paese rischia il blocco dei fondi Pac. Non ci si poteva pensare prima?


La Direttiva nitrati (91/676/Ce) ha fornito indicazioni sul controllo e sulla riduzioni dell’inquinamento idrico che deriva dall’uso di quantità eccessive di fertilizzanti o dallo spandimento delle deiezioni degli animali allevati.
Tali indicazioni sono state recepite in Italia con il Decreto legislativo 152/99 che stabiliva che le regioni dovevano stabilire le “zone vulnerabili ai nitrati”, presentando poi, entro il 31 dicembre 2006, i programmi di azione obbligatori finalizzati a ridurre, nelle zone vulnerabili, l’inquinamento idrico dei composti azotati di origine agricola.

Ciascuna regione, quindi, doveva emanare norme relative alla gestione dei fertilizzanti azotati, o delle deiezioni animali, alle pratiche agronomiche da adottare e agli adempimenti burocratici necessari.
Considerando che l’Ue, avviando la procedura sanzionatoria, può anche prevedere il blocco dei fondi destinati all’agricoltura, la questione è divenuta d’estrema attualità.
La Direttiva nitrati, infatti, rientra fra i criteri di gestione obbligatori della condizionalità, ovvero è uno dei capisaldi necessari per l’erogazione di ogni contributo della Pac.

Il fatto strano è che nonostante la Direttiva nitrati risalga a un decennio fa, ci si accorga solo ora, nel momento in cui dovrebbe essere compiutamente applicata che l’adeguamento a tale norma Ueche affrontano con le stesse metodologie e senza alcuna distinzione rispetto ai Paesi del Nord Europa, caratterizzati da clima e schemi idrografici completamente diversi, comporterebbe per moltissime imprese pesanti oneri con seri rischi di contrazione della attività e consistenza aziendale.

Particolarmente interessata al problema è l’area geografica del bacino del Po, zona a forte vocazione zootecnica per la quale la Commissione europea ha chiesto all’Italia di designare la totalità della superficie agricola (circa 46.000 chilometri quadrati).
I problemi sono legati soprattutto al fatto che nelle aree vulnerabili il limite massimo di azoto spargibile sul terreno è di 170 kg/ha annui. Ciò comporterà, se non si individueranno soluzione tecniche idonee, un dimezzamento del carico di bestiame per ettaro, nonché difficoltà crescenti nella coltivazione delle principali colture, a partire dal mais. La questione peraltro riguarda solo gli allevatori, ma l’intera filiera agroalimentare, con gravi danni dal punto di vista produttivo e occupazionale sia per i prodotti di eccellenza, come parmigiano, grana, prosciutto, sia per quelli di elevata qualità e largo consumo, come latte e carne.

Su questo tema, l’assessore all’agricoltura dell’Emilia Romagna, Tiberio Rabboni, ha scritto ai Ministri delle politiche agricole De Castro e dell’ambiente Pecoraro Scanio per ribadire l’esigenza di un approfondito dibattito sulla situazione degli allevamenti zootecnici della pianura padana e sulle iniziative da assumere nei confronti dell’Unione europea in risposta alle procedura di infrazione aperta, nei confronti dell’Italia, per il mancato rispetto della Direttiva nitrati.
Secondo Rabboni “è necessario determinare, con un preciso impegno dei Ministeri competenti, le condizioni per garantire sia comunicazioni univoche nei confronti della Commissione europea, sia l’uniformità di contenuti degli strumenti attuativi delle Regioni del bacino padano. Dobbiamo evitare i fenomeni di “migrazione” di allevamenti verso realtà più “permissive” dal punto di vista delle norme ambientali che hanno caratterizzato il recente passato”. Rabboni ha proposto che l'incontro tecnico con i rappresentati della Commissione europea previsto per metà gennaio sia preceduto da incontri tra le istituzioni per stabilire una linea strategica nazionale da riproporre unitariamente in sede comunitaria.

Tutto giusto. Tutto sacrosanto, ma perché solo ora?
Sono trascorsi anni nei quali si poteva discutere e dialogare con Bruxelles sull’applicazione della Direttiva. Ora che siamo sotto scacco si va trattare? Non c’è nulla da fare, l’Italia resta la patria del last minute.
Come disse un celebre politico, quando il buon Dio decreterà la fine del mondo il nostro Paese chiederà una proroga… chissà, magari la otterrà anche.

di Alberto Grimelli