La voce dell'agronomo 16/12/2006

ABBANDONARE IL PRESEPE E’ ANCHE UN PO’ ALLONTANARSI DAL MONDO RURALE

Pastori e pescatori animano molte rappresentazioni natalizie. Con loro anche molte altre figure legate, in un modo o nell’altro, all’agricoltura. E’ un mondo che non c’è più ma che avvicinava alla natura e alla ruralità. Così si perdono storie e tradizioni


Un fulmine a ciel sereno: niente più presepe.
La grande distribuzione non vende più le statuette e le scuole evitano di realizzarlo per non offendere studenti non cristiani.

E’ ben triste pensare a Natale senza presepe.
Non voglio entrare in disquisizioni religiose. Sono state già spese molte parole e fiumi di inchiostro.
Ma il presepe non è solo religione, è anche costume e tradizioni.
Storie che si legano al mondo rurale, alla natura, all’ambiente.
Fin dalla costruzioni delle basi, la ricerca del muschio per far l’erba e del sughero per le montagne, era l’occasione per uscire insieme e passeggiare, almeno per i più fortunati, nei boschi.
In altri casi, più prosaicamente, l’occasione di stare insieme era la caccia alla nuova statuina, al nuovo “pezzo” per il presepe familiare.
Era gioco e festa comporre il paesaggio, sistemare la capanna e disporre le statuine.
I bambini venivano giocosamente istruiti su alcune arti e taluni mestieri che ormai sono scomparsi, o quasi, scoprendo, tra l’altro che anticamente i pastori vestivano giacconi di lana e non di goretex.
C’è molto nel presepe.
C’è un pezzo della nostra cultura e delle nostre tradizioni.
C’è anche una fetta di mondo rurale.
Non è l’agricoltura d’oggi, non vi sono trattori, seminatrici, scavallatrici, è una visione bucolica della ruralità ma è la storia delle nostre campagne.
Il presepe non contempla le luci e le ombre dell’agricoltura d’oggi, ma comunque, ed è già molto, avvicina vecchie generazioni e i più piccini al mondo rurale.

Mi piange il cuore a pensare che i nostri figli, in futuro, saranno meno ricchi.
Perdono storie e tradizioni, perdono un pezzo di loro stessi.
Ne vale veramente la pena?

di Alberto Grimelli