La voce dell'agronomo

Nei linguaggi dell'extra vergine vincono i bisogni

Sbagliamo quando crediamo che l'olio extra vergine d'oliva soddisfi solo un bisogno elementare come il nutrirsi. Sbagliamo se pensiamo che per comunicare le caratteristiche e le proprietà del succo d'oliva bastino pochi elementi. Occorre un approccio antropologico

18 maggio 2018 | Alberto Grimelli

L'olio extra vergine d'oliva è certamente un alimento molto complesso, a discapito dell'estrema semplicità dello stesso, essendo di fatto un succo d'oliva, come ricordatoci da Mario Solinas molti anni fa.

L'apparente semplicità, anche legata a una pianta particolarmente rustica ed “eterna”, ce lo rende un perfetto elemento famigliare che però rischiamo di trascurare.

E' così che è nato l'olio extra vergine commodity.

Tutto è accaduto quando si è pensato solo all'olio legato a un bisogno primario, il nutrirsi, svincolandolo da altri elementi valoriali, pur presenti ma quasi dimenticati.

Illuminante, a tal proposito, la relazione e i dialoghi con Gabriella Falcicchio, durante i lavori de “I linguaggi dell'extravergine” a Giovinazzo (BA), organizzati da Passione extravergine.

Sapere che un neonato, ancorchè un primate, preferiva morire di fame che staccarsi dalla madre, vera o surrogata che fosse, porta certamente a interrogarsi sui bisogni primari dell'uomo.

E se il nutrirsi e avere un tetto sulla testa fossero meno importanti che relazionarsi?

E' vero che la relazione, con tutto ciò che ci circonda, è sempre stato la vera spinta dell'umanità. L'uomo è un animale sociale, nei confronti della propria cerchia, ma anche nei confronti del mondo, esplorandolo con curiosità. Non si spiegano altrimenti non solo i sacrifici ma anche le morti dovute alla ricerca, al viaggio, all'esplorazione.

Quando si parla di cibo, però, abbiamo dimenticato la dimensione umanistica, concentrandoci solo su quella materiale.

Un errore imperdonabile.

E' tempo di ritornare a relazionarci con l'olio.

Non solo assorbire qualche nozione da ripetere a pappagallo, magari di fronte all'ignaro consumatore di turno, ma la sua dimensione relazionale che si basa sull'informazione, la formazione e l'educazione.

Non a caso i tre pilastri dell'evento pugliese.

Ma cosa significa relazionarsi con l'olio?

Innanzitutto ricordare e ricordarci che dietro a ogni albero, ogni masseria e ogni tenuta ci sono storie di uomini.

Non solo storie da usare poi per lo storytelling, nuova e vecchia formula del marketing esperienziale. Applicheremmo altrimenti una visione violentemente meccanicistica in cui la nozione, per esempio quella salutistica, o la storia, quale quella dei luoghi, diventano un semplice corollario al prodotto. Un collarino virtuale da applicare insieme con i tanti bollini reali di premi e riconoscimenti.

Così non funziona. O meglio, può funzionare solo per breve tempo.

Occorre invece che le storie non siano il punto di arrivo ma quello di partenza.

Dalle storie si può partire per creare nuovi percorsi, più attuali, più adatti ai tempi moderni e all'uomo moderno.

Le attività di informazione, di educazione e di formazione non possono non tenere conto della dimensione umanistica dell'olio extra vergine d'oliva, strettamente correlata col bisogno primario di relazionarsi.

L'evento “I linguaggi dell'extravergine” sono un continuo work in progress, dove ogni anno si somma qualche nuovo elemento nella comprensione del rapporto tra l'olio e noi stessi.

L'olio extra vergine d'oliva non è un cibo né culturale.

E' una materia viva, pertanto antropologica.

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