La voce dell'agronomo

I danni del giornalismo da 10 euro al pezzo per l'olio d'oliva

I danni del giornalismo da 10 euro al pezzo per l'olio d'oliva

Quando i contenuti non hanno più valore il rischio minore è cadere nella banalità, quello più grande è la superficialità. Da un articolo su La Stampa a una riflessione sulla stampa agroalimentare nel futuro prossimo venturo

19 gennaio 2018 | Alberto Grimelli

L'articolo su La Stampa: “Olio spremuto a freddo, addio?” di Raul Wittenberg è un'accozzaglia indigeribile di luoghi comuni, errori da matita blu, stereotipi e credenze da far rabbrividire ogni tecnico e ogni operatore del settore olivicolo-oleario.

All'inizio mi sono messo d'impegno, sottolineando ogni passaggio contenente strafalcioni, idee bizzarre o superate. Arrivato in fondo mi sono accorto che praticamente tutto l'articolo era sottolineato.

L'unico passaggio condivisibile è che la tecnologia in continuo di estrazione dell'olio migliora la qualità dell'extra vergine.

Poi da “nell’impianto continuo, dove tutto avviene in ambiente ermeticamente chiuso, i polifenoli sono imprigionati nell’impasto” a “il vecchio impianto (ndr quello tradizionale a presse) ha una resa maggiore di quello nuovo”, fino a “quella del continuo non è una spremitura a freddo”, la serie di orrori è talmente grossolana da non meritare un commento.

E' sufficiente una sonora bocciatura e il consiglio al collega di leggersi qualche buon manuale olivicolo-oleario la sera prima di andare a dormire, anche solo per penitenza.

Se, a volte, gli articoli che appaiono sulla stampa generalista a proposito di olio d'oliva sono una catena di banalità, quando si cade nella superficialità (da cui gli errori), potenzialmente letta da migliaia di persone, il mondo olivicolo-oleario si deve giustamente imbestialire.

L'articolo in questione è l'esemplificazione massima del giornalismo da 10 euro al pezzo, ovvero dello scarso valore per il contenuto, quasi sia una semplice cornice alla pubblicità.

Non parliamo neanche di fake news, che almeno richiedono un minimo di creatività e inventiva, ma di una catena di montaggio della notizia in cui l'operaio-giornalista, per portare a casa la giornata, deve almeno scrivere 8-10 articoli quotidiani, con l'evidente necessità di tagliare ogni ipotesi di approfondimento e di verifica.

Stante che articoli superficiali e pieni di errori possono causare seri danni, come ci si protegge? Certo, su Facebook e simili i commenti sull'articolo de La Stampa si sono sprecati.

Mi chiedo quanti però abbiano mandato una mail indignata o arrabbiata al direttore de La Stampa.

Immagino nessuno e allora nessuno si può stupire o arrabbiare che simili articoli prolifichino.

Se va bene il direttore, o il caporedattore o caposervizio, hanno visto il numero di letture dell'articolo, o il numero di condivisioni social, rallegrandosi per la visibilità della notizia.

Sicuramente non è sorto loro neanche il sospetto che la notizia sia stata tanto letta in ragione di un passaparola negativo.

Occorre allora conoscere il “nemico” per poterlo combattere e non c'è maggior spauracchio per i giornali della rettifica, ovvero della necessità di dover correggere i propri errori pubblicamente.

Impariamo a chiedere la rettifica, che difficilmente verrà concessa, ma almeno possiamo sperare che, anche solo per evitare di venir sommersi di mail, il prossimo articolo sull'olio d'oliva sia meno superficiale. Magari pieno di ovvietà, ma almeno privo di errori. Un passo alla volta...

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MARIA GABUSI

21 gennaio 2018 ore 21:36

caro Alberto,
appena letto l'articolo mi sono premurata di scrivere privatamente al giornalista, lamentando le gravi inesattezze ed invitandolo ad un confronto. Solo stasera ho ricevuto risposta. mi auguro che da questo possa nascere un confronto costruttivo, e , perchè no, una rettifica...vabbe' sognare è ancora gratis