La voce dell'agronomo

L’AGRICOLTURA CAMBIA VOLTO, ED E’ SEMPRE PIU’ "NO FOOD"

Agriturismo, fattorie didattiche, colture per biocombustibili. Ora anche produzioni biotecnologiche a scopo medico-farmaceutico. Un nuovo percorso per il settore primario, da fornitore di alimenti a qualcosa di non ancora chiaramente definito e delineato

28 gennaio 2006 | Alberto Grimelli

Fin da quando l’uomo imparò a coltivare la terra, ricavandone nutrimento, l’agricoltura ha adempiuto al fondamentale scopo di fornire i mezzi di sostentamento alla comunità, alla stessa specie di Homo sapiens. Che si trattasse di beni di lusso, accessibili a pochi, o della farina per il pane, il settore primario ha offerto di che vivere per migliaia di anni.
Nel secolo scorso, l’aumento demografico che è seguito alla seconda guerra mondiale ha accresciuto il peso e il valore del comparto che doveva sfamare una popolazione in crescita. Tutta l’attenzione e la ricerca era focalizzata ad accrescere il potenziale produttivo, insomma a produrre di più.
Da vent’anni le parole d’ordine sono cambiate: qualità e non quantità.
Nonostante le misure introdotte, volte a contenere la produzione, le tecniche e le tecnologie a disposizione hanno creato una situazione di perenne surplus, di sovrappiù alimentare nei Paesi occidentali. Si cercò di porvi rimedio in Europa con la Pac, in altri luoghi e Nazioni con norme similari. Non funzionò.
Ora che le misure a sostegno del reddito sono state ridotte, a tal punto da non assolvere più pienamente il motivo per cui sono nate, si cerca di delineare altre strade per l’agricoltura.
L’agriturismo è stato un primo tentativo, di successo, per fornire all’agricoltore, promosso d’ufficio imprenditore agricolo, un reddito integrativo non vincolato ad aiuti pubblici. Sulla scia sono nate le fattorie didattiche e tutte quelle iniziative volte ad assicurare un flusso di turisti e di denaro dalla città alla campagna.
Resta tuttavia insoluto il problema del surplus produttivo. Coltivare e produrre commodities, ovvero generi di prima necessità, non conviene più, i prezzi all’ingrosso sono troppo bassi. Non è neanche possibile che le produzioni che garantiscono un premio di prezzo (Dop, Igp, biologico…) possano allargare a dismisura il loro bacino di utenza e il loro mercato. Devono infatti, per tenere elevate le quotazioni, rimanere prodotti di nicchia.
Quale futuro allora per l’agricoltura? E’ necessario inventarsi altre strade, diverse vie.
Da pochissimi anni sono in corso sperimentazioni, e qualche progetto concreto, per l’utilizzo di biomasse e dei prodotti agricoli a fini energetici. Con le quotazioni del petrolio così elevate, la prospettiva di un loro diffuso utilizzo diventa sempre più allettante. Lo sviluppo di queste fonti presenterebbe poi l’indubbio vantaggio di trovare il favore della società, sempre più sensibile a tematiche ambientali. Un’agricoltura al servizio delle energie rinnovabili è quindi un percorso possibile.
Un altro, ancora più recente, si sta delineando all’orizzonte. La possibilità, attraverso le biotecnologie, di produrre medicinali nei campi. Intere colture da cui estrarre principi attivi ad uso medico-farmaceutico. Non si tratta di un’opzione futuribile, di proposizioni espresse in qualche convegno o delle elucubrazioni di uno scienziato pazzo. E’ realtà.
L’agricoltura non è più soltanto fornitore di generi alimentari. E’ qualcosa di più, è qualcosa di diverso. Se il settore primario non potrà mai abdicare al suo ruolo di produttore di alimenti, si aprono nuovi scenari. Il settore primario, continuerà a chiamarsi così?, resterà comunque intimamente legato all’umanità, offrendole, in un modo e nell’altro, i necessari mezzi di sostentamento.

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