La voce dell'agronomo
CORSA AI RINCARI NEL SETTORE ALIMENTARE. FINO A QUANDO?
I produttori non ci stanno! Non accettano una situazione così anomala e controproducente. Molti si curano dei consumatori, giustamente, ma a pagare sono soprattutto i soliti: gli agricoltori
08 novembre 2003 | Alberto Grimelli
Qualche sera orsono in un servizio di un telegiornale nazionale ho visto un viticoltore pugliese scagliare a terra un grappo d'uva da tavola come forma di protesta per i rincari eccessivi messi in atto da grossisti e dettaglianti. Un gesto clamoroso, certo dettato anche da esigenze televisive, il sensazionalismo paga in termini di ascolto, ma non solo. L'atmosfera palpabile tra gli agricoltori non è più solo di sconforto, comincia anche a diventare rabbia.
Già perchè non è giustificabile che da 0,4 euro/kg d'uva, prezzo attuale all'ingrosso, si passi a più di 3 nei negozi. Anche la grande distribuzione tuttavia non è esente da critiche. Nel medesimo servizio televisivo un compratore di una grande catena, ripreso con alle spalle un pallet d'uva a 0,99 euro/kg, ma in offerta, vantava come riusciva a garantire buoni margini di guadagno ai suoi fornitori pagando 0,8 euro/kg. Quel che si è dimenticato di ricordare è che, molto spesso, la grande distribuzione richiede il prodotto selezionato e confezionato, possibilmente in packaging attraenti e pregiati, e trasportato o direttamente nei punti vendita o presso loro centri di distribuzione. Questi servizi hanno un costo per l'agricoltore, non mi sembra quindi tanto fuori luogo che la grande distribuzione li remuneri.
Come se ciò non bastasse ricordo che non esiste settore più controllato, sul fronte prezzi, di quello agricolo. Ormai da anni le camere di commercio prendono nota dei prezzi medi delle varie derrate alimentari nei mercati all'ingrosso e la stampa agricola specializzata riporta periodicamente questi dati. L'Ismea, inoltre, elabora le informazioni pervenute ed attraverso gli Osservatori fornisce informazioni interessanti. Come per esempio il dato di confronto prezzi tra la quarta settimana d'ottobre 2002 e 2003 nel settore frutta fresca: variazione alla produzione -3,5%; variazione all'ingrosso +6,5%; variazione al dettaglio +6,9%. Nel settore degli ortaggi freschi la medesima comparazione ci fornisce i seguenti valori: variazione alla produzione +3,7%; variazione all'ingrosso +16,3%; variazione al dettaglio +5,1%. Risulta lampante che non è il settore agricolo a speculare e voler sfruttare l'effetto euro o condizioni climatiche avverse per alzare indebitamente i prezzi.
Sempre a un telegiornale nazionale, ma qualche settimana fa, sentivo della pregevole iniziativa di alcuni associati, in particolare bar e alimentari, Confcommercio che nelle grandi città avrebbero ridotto i prezzi. Gli "sconti" proposti, tuttavia, non erano minimi ma arrivavano finanche al 40%, dimostrando come, visto che questi commercianti comunque hanno il loro guadagno, i margini di profitto per questa categoria non sono certo insignificanti.
Quindi ricapitolando, i prezzi alla produzione rimangono stabili per non aggravare crisi economica e indici inflattivi, tuttavia quando gli stessi agricoltori devono far acquisti trovano prezzi spropositati. Quando si dice cornuti e mazziati!
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