La voce dell'agronomo

IL PREPENSIONAMENTO DELL’OLIVICOLTURA ITALIANA

Segnali inquietanti provengono da diverse regioni oliandole del nostro Paese. Sugli alberi rimangono olive, che non verranno raccolte. Colpa del maltempo, di prezzi di conferimento al di sotto dei costi di produzione e della nuova ocm che assicura un reddito, minimo, svincolato dalla produzione. Per molti anziani e stanchi olivicoltori si tratta di una forma di prepensionamento

03 dicembre 2005 | Alberto Grimelli

Qualche mese fa, al termine di una strana, ma fortunata, campagna olearia, lanciammo un allarme.
Il prezzo dell’olio Igp toscano crollò, arrivò, raggiunse e superò minimi storici, quotazioni incredibili a prima vista. Ne abbiamo dato ampiamente conto, intervistando chi, nel bene e nel male, controlla e commercializza le maggiori quantità di extra vergine a denominazione d’origine della Regione.
L’allarme lanciato da Teatro Naturale si è poi diffuso a macchia d’olio. E’ stato ripreso da autorevoli quotidiani e giornali nazionali ma anche, più recentemente, dalle organizzazioni di categoria, che hanno voluto, giustamente, far sentire la loro voce. E’ nato così il Manifesto per l’olio toscano, un’iniziativa lodevole che ci sentiamo di sottoscrivere ed appoggiare.

Purtroppo, però, inquietanti segnali hanno occupato i nostri pensieri.
Le olive rimangono sugli alberi.
Da più parti riceviamo segnalazioni ed indicazioni di un improvviso, ma spiegabile, abbandono della raccolta.
Nonostante le quotazioni dell’extra vergine italiano siano tornate a salire, per alcune aree i prezzi di conferimento sono ancora al di sotto dei costi di produzione. Sono in particolare i piccoli e piccolissimi olivicoltori a soffrire maggiormente di questa situazione di mercato.
Realtà di poche centinaia di piante, curate da vecchi e stanchi olivicoltori che vedono, ogni anno sempre più, eroso il loro guadagno a fronte di spese sempre più alte. Concimi e prodotti fitosanitari sono più cari, ma soprattutto i raccoglitori sono diventati via via più esigenti fino a richiedere la metà, in olio, di quanto raccolto.
Troppo, decisamente troppo.
La nuova ocm ha rappresentato, per molti di questi olivicoltori part time, un invito a non raccogliere, un incentivo quasi irresistibile a produrre soltanto quanto utile al consumo domestico e per la usuale clientela.
La nuova ocm sta divenendo una forma di prepensionamento, una misura sicuramente socialmente utile poiché integra il reddito del milione e più di olivicoltori italiani, ma che rischia di trasformarsi in uno stimolo all’abbandono degli oliveti.
Tenendo presente che l’olivicoltura italiana è proprio fondata sulle piccole proprietà e che la maggioranza degli olivicoltori è da considerarsi in età da pensione, abbiamo più di una ragione per essere seriamente preoccupati.

Timidamente si affaccia l’ipotesi che il disaccoppiamento totale sia stata una pessima scelta.
Il dubbio lo avanzammo al direttore Unaprol Ranieri Filo della Torre in un’intervista pubblicata quasi due anni fa.
Ora la nostra voce non è più isolata, la Calabria ha chiesto e ottenuto il disaccoppiamento parziale e altre regioni cominciano a manifestare un cauto nervosismo.
Ci auguriamo di non dover, tra qualche mese, sottoscrivere ed appoggiare un Manifesto a difesa dell’olivicoltura italiana.

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