La voce dell'agronomo 24/09/2005

QUANTE REGIONI, SEGUENDO L’ESEMPIO CALABRESE, RECLAMERANNO CONDIZIONI PERSONALIZZATE?

Esistono tante e tali differenze che non si può parlare di olivicoltura italiana. Il Ministero ha scelto di riconoscere uno status particolare alla Calabria, chiedendo per questa Regione un disaccoppiamento parziale degli aiuti. Plaudono alcuni, protestano altri. Una cosa è sicura, si è creato un precedente


Alemanno ha formalmente presentato alla Commissione europea la richiesta di disaccoppiamento parziale degli aiuti per l’olio di oliva limitatamente alla Regione Calabria.
Esistono condizioni particolari, “realtà obiettive e specifiche”, che giustificherebbero il ricorso al disaccopiamento parziale degli aiuti, ovvero in parte legati alla produzione reale e in parte in base al calcolo della produttività media delle campagne di riferimento.
Il Ministro cita, come ragioni del suo intervento, “specifiche condizioni geomorfologiche del territorio composto da colline e montagne dove insistono oliveti ultrasecolari e taluni aspetti normativi relativi alla gestione della proprietà e degli affitti degli uliveti”.

Quante regioni italiane possono vantare splendidi oliveti secolari collinari? Praticamente tutte.
La prima motivazione prodotta dal Ministro appare francamente debole e ben poco convincente.
Voltiamo pagina.

Ben diversa considerazione meritano le peculiari caratteristiche sociali, economiche e normative dell’olivicoltura calabrese.
La pratica dell’affitto, in svariate forme, è imperante. Tutti i latifondi e sterminate proprietà vi ricorrono per condurre oliveti altrimenti ingestibili. Si tratta infatti di piante vecchie, raramente condotte secondo le più recenti tecniche agronomiche. Spesso gli oliveti appaiono come fitti “boschi”, gli alberi sono veri e propri monumenti, alti fino a dieci metri.
Nonostante l’eroico tentativo di qualche produttore di razionalizzare gli impianti e produrre secondo canoni più moderni, gran parte dell’olivicoltura calabrese è ancorata a desueti schemi.
Ora gli affittuari che coltivano questi campi si sentono defraudati da un regime di aiuto il cui beneficiario dovrebbe essere la proprietà e non il coltivatore, come avvenuto fino ad oggi.
L’effettivo rischio è l’abbandono dell’olivicoltura nella seconda Regione oliandola italiana. Le conseguenze sul tessuto economico e sociale dell’area non sarebbero di poco conto, così pure le ripercussioni ambientali e paesaggistiche.

Alemanno ha quindi scelto la strada più facile.
Sta diventando un’abitudine in questi ultimi tempi.
Ha deciso di affrontare questa potenziale crisi, della cui gravità non si è accorto per un anno e mezzo, con un gesto eclatante, che desse soddisfazione sia agli amministratori sia agli olivicoltori locali.
Se, sono il primo a riconoscerlo, la questione calabrese merita la massima attenzione, la cura prospettata potrebbe risultare peggiore della malattia.
Quante altre Regioni olivicole del nostro Paese possono infatti vantare condizioni peculiari e caratteristiche? Quante potrebbero ora invocare, sulla scia della Calabria, condizioni personalizzate, specifiche per il proprio territorio?
D’altronde o siamo tutti uguali oppure tutti diversi.
Il Ministro ha creato un precedente che potrebbe ingarbugliare all’inverosimile l’applicazione della riforma ocm olio di oliva.

Già Alemanno ha dovuto allargare i benefici degli aiuti straordinari per vitivinicolori e orticoltori, inizialmente concessi per la sola Puglia, a tutte le altre province italiane.
Cosa accadrebbe se fosse costretto a chiedere a Bruxelles, per ogni Regione italiana, un regime di aiuto diverso?

di Alberto Grimelli