La voce dell'agronomo
Quando la scienza e la tecnica si contrappongono a passioni ed emozioni
Due storie ma un'unica spiegazione. Emmanuel Giboulot rifiuta la lotta obbligatoria contro la cicalina della vite e riceve solidarietà planetaria. Un gruppo di manifestanti anti-ogm irrompe nella sede dell'Efsa, ente reo di essere troppo schierata a favore del transgenico. Cosa sta succedendo?
28 marzo 2014 | Alberto Grimelli
Mai nella storia dell'uomo il progresso è stato tanto repentino, vasto e profondo come negli ultimi centocinquantanni. L'umanità ne ha tratto immenso giovamento, quanto a salute e stile di vita. In media stiamo certamente molto meglio delle generazioni che ci hanno preceduto.
Ma abbiamo realmente accettato di essere diventati uomini tecnologici?
Si è passati dall'essere “homo sapiens” a “homo sapiens sapiens”. La doppia affermazione di “sapiens” ci dice che l'intelletto ha certamente preso il sopravvento, nelle qualità umane, a discapito di prerogative più fisiche.
Si discute da alcuni anni, però, se la definizione sia ancora appropriata. Qualcuno parla di “homo technologicus”, altri di “homo electronicus”. Poco importa la definizione. E' il concetto a essere interessante e, al contempo, a spaventare un po'.
L'”homo” non è più essere umano in quanto tale ma in quanto associato a tecnologie, a tecniche e a un'insieme di accessori elettronici che lo completano e ne permettono la vita. Non siamo, insomma, più autosufficienti ma dipendiamo completamente dalla scienza e da macchine più o meno sofisticate. Il futuro è l'uomo bionico. Accadrà quando la tecnologia non sarà più fuori dal corpo ma sarà integrata. Accessori di oggi, o del prossimo domani, come gli occhiali per la realtà aumentata ne sono probabilmente il preludio.
Siamo già nell'era dell'”homo technologicus” oppure no? Non voglio entrare nel merito delle dotte dispute scientifiche sul tema.
Mi limito a una domanda: l'umanità è davvero pronta a questo passaggio epocale, un cambio di era? Se ci limitassimo alla sola sfera razionale dovremmo ammettere che ormai il dado è tratto.
Il problema è che oltre il cervello c'è di più e, forse, il cambio è così veloce che una parte di noi lo repelle. Così come una parte della società.
Un viticoltore francese si è rifiutato, recentemente, di condurre la lotta contro la cicalina, vettore della flavescenza dorata. La battaglia di Emmanuel Giboulot ha fatto presto il giro del web. Fervido sostenitore dell'agricoltura biodinamica, ha rifiutato di utilizzare pesticidi. E' un braccio di ferro che dura da qualche mese con Giboulot che invoca la libertà di scelta e le autorità che vogliono salvaguardare l'interesse pubblico nel contenere eventuali epidemie. “Non li voglio sulla mia terra – ha spiegato il vignaiolo – il prodotto che mi vorrebbero imporre dalla prefettura non è selettivo, distrugge ad esempio l’acaro antagonista dei ragnetti rossi che tolgono linfa alle viti. Noi coltivamo con il metodo bio dal 1970 e non vogliamo cambiare”.
Pochi giorni fa ho invece appreso la notizia di un'invasione, neanche poi tanto pacifica, all'Efsa, l'ente europeo per la sicurezza alimentare, reo di esprimere pareri troppo favorevoli agli Ogm.
Queste vicende dimostrano che la fiducia nella scienza e nella tecnica non è ubiquitaria e che le rassicurazioni, gli esperimenti e gli studi non sono di per sé sufficienti a tranquillizzare gli animi.
Non tutti sono insomma disponibili ad abbandonarsi nelle braccia del progresso, come inevitabile e ineluttabile futuro dell'umanità. Alcuni si ribellano in nome di sentimenti, passioni ed emozioni. Pulsioni di per sé assolutamente irrazionali, che la scienza, fortemente razionalista, non può contrastare con le proprie armi.
Ma l'uomo è anche questo. Oltre al cervello c'è anche il cuore.
Il problema, allora, non è il progresso ma la velocità con cui la società può assimilarlo. Forse stiamo correndo troppo veloci?
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Accedi o RegistratiDiego Leva
29 marzo 2014 ore 15:54Stiamo correndo troppo veloci? Non credo, siamo quello siamo grazie alla Scienza. Abbiamo sconfitto alcune malattie, conosciamo molto di altre di cui prima ignoravamo tutto, l'età media si è notevolmente allungata, naturalmente ne rimane di strada da percorrere, ma se pensiamo che 5 anni fa era un sogno usare una tavoletta di vetro per scrivere come sto facendo adesso, allora appare veramente difficile comprendere le fobie e gli istinti luddisti che attraversano certe persone.
Il discorso si fa più complicato per noi Agronomi, il fascino di persone come Carlo Petrini che favoleggia di un mondo lontano, e di cui, francamente, non ne vedo traccia nei racconti degli anziani che ho incontrato nelle campagne, o di Ermanno Olmi (la dignità della miseria), questo fascino fa presa su molte persone, e se aggiungiamo l'inconsistenza scientifica dei mezzi di comunicazione in Italia il quadro che ne esce è fosco. Occorre fare sentire la nostra voce forte e chiara.
Remo Carlo Egardi
28 settembre 2015 ore 13:38Carlo Petrini non favoleggia "un mondo lontano",dobbiamo riconoscergli invece il grande merito di salvare le eccellenze italiane e del mondo dalla globalizzazione dell'agricoltura e della zootecnia.