La voce dell'agronomo 25/06/2005

L’AGRICOLTURA HA PERSO IL PRIMATO E CON ESSO GRAN PARTE DEL SUO POTERE CONTRATTUALE

Il peso politico, sociale e economico del comparto rurale italiano è assai modesto. La capacità dell’agricoltura nazionale di influenzare le decisioni governative sia a Roma sia a Bruxelles è praticamente nulla. Ecco allora che il contadino è il primo a risentire di crisi economiche che deprimono i consumi e l’ultimo a beneficiare della ripresa


L’agricoltore ha ormai perso da molti anni la centralità nell’economia del nostro Paese. Il peso del comparto, sia come contributo al Pil sia come numero di addetti, è modesto.
L’Italia ha scelto, anni fa, di diventare una grande Nazione industriale. Il mondo rurale non era quindi una priorità nei piani e nei progetti del governo.
Certo anche l’agricoltura ha vissuto una breve parentesi d’oro. Negli anni 1980 sul comparto piovvero cospicui finanziamenti dell’Unione europea. Furono però soldi dati a pioggia, senza che maturasse alcuna specifica politica di sviluppo. Il risultato fu un incremento produttivo notevole ma effimero in quanto basato più sui contributi che sulla professionalizzazione e crescita delle aziende agrarie. Oggi che la crisi attanaglia le economie del Vecchio Continente, altri settori levano alta la voce per ottenere stanziamenti a scapito del settore agricolo.
Il contadino ha pochissimo peso politico e sociale per influire sulle decisioni di Bruxelles. Viene visto dalla pubblica opinione come un settore fortemente assistito e tale status limita il potere contrattuale del mondo rurale. “Prendete un sacco di soldi e volete pure comandare?”, questo un pensiero diffuso che origina un senso di fastidio quando l’agricoltore tenta di far valere le proprie ragioni. Tanto più in Italia dove la politicizzazione delle organizzazioni di categoria è d’ostacolo agli interessi del comparto. Infatti non essendo super partes, come è invece per Confindustria e Confcommercio, tutte le loro azioni e progetti devono essere preventivamente valutate per escludere che siano condizionate o strumentali a questa o quella parte politica.
Anche nei confronti del commercio, la posizione dell’agricoltore è quantomai debole. Per rendersene conto è sufficiente frequentare, anche per breve tempo, qualche grosso mercato ortofrutticolo. A fare il prezzo è il buyer, il comparatore. Se vuole vendere il contadino, molto spesso, deve assoggettarsi a condizioni estremamente sfavorevoli, se non capestro.
Un problema, quello del prezzo delle derrate alimentari, che è divenuto orami centrale per il mondo agricolo. La tendenza al ribasso dei listini all’ingrosso rende in taluni casi antieconomico coltivare ortaggi, frutta ma anche olivi, cereali e oleaginose. Anche i prodotti a più elevato valore aggiunto (Dop e biologici) non garantiscono una decorosa redditività.
Il consumatore pretende, assecondato dai legislatori, alimenti sicuri e salubri ma non è disposto a spendere, al contrario di quanto rilevato da alcuni sondaggi, che pochi centesimi in più per acquistarli. La politica del premio di prezzo non ha portato a significativi benefici al di fuori dei mercati di nicchia, ove vigono altre regole e logiche.
Ne consegue che l’agricoltore è il primo a risentire di crisi economiche che deprimono fortemente i consumi ed è l’ultimo a beneficiare della ripresa.
Questo perchè il potere contrattuale del mondo rurale si è tanto indebolito nel corso degli anni da aver reso quasi nulla l’influenza esercitabile dall’agricoltore sulla politica, sul commercio ma anche sulla pubblica opinione.

di Alberto Grimelli