La voce dell'agronomo

LA NUOVA DISCIPLINA DELL’AGRITURISMO APPROVATA DALLA CAMERA

Si profila una svolta per il settore turistico rurale? Vedremo. Pochi giorni fa intanto è stata approvata una nuova legge. Ora il testo passerà al vaglio del Senato. E si spera in bene. L’iter sembra essere purtroppo senza fine. La norma, inoltre, sembra nascere tra l'altro un po' zoppa. Molte le contestazioni, poche le novità, esigui i fondi messi a disposizione

21 maggio 2005 | Alberto Grimelli

Approvata dall’Assemblea della Camera dei deputati il 18 maggio scorso con 191 favorevoli, 1 contrario e 129 astenuti, la nuova disciplina dell’agriturismo ora dovrà passare all’esame del Senato.

Se soddisfazione è stata mostrata da tutti i componenti della maggioranza, molte critiche sono giunte da parte dell’opposizione. Giudizi di merito piuttosto duri.
Sebbene tutto l’arco parlamentare sia infatti convinto della necessità di una legge nazionale che regolamenti il settore l’Unione (Centro Sinistra) è contraria a che si interferisca con le competenze specifiche delle Regioni.
A tal proposito riporto uno stralcio dell’intervento dell’on. Luana Zanella del Gruppo Misto – Verdi: “Il testo in esame è nato con il vizio, tipico di questa maggioranza, di promuovere provvedimenti che vanno non tanto verso il federalismo, quanto verso forme nuove di centralismo e di accentramento. Infatti, è evidente - lo hanno detto anche le Regioni in più riprese - che abbiamo a che fare con una materia la cui disciplina regolamentare è demandata alle regioni stesse. Infatti, con la scusa di volere indicare un minimo comune denominatore e regole che riguardino tutto il territorio, si affrontano e si intendono invece regolamentare aspetti dell'agriturismo in modo improprio: dai servizi che si possono offrire attraverso questa forma economica alla formazione degli addetti, alla registrazione e alla classificazione. Va anche detto che in Commissione agricoltura è stato svolto un lavoro emendativo molto importante e sono stati, altresì, sanati alcuni difetti o veri e propri obbrobri, come per esempio, la ristrutturazione e l'adeguamento degli edifici non soggetti ad oneri di rilascio e di urbanizzazione o la gravissima tentata deroga all'abbattimento delle barriere architettoniche, in nome di una presunta alterazione dell'aspetto architettonico degli edifici. Un aspetto preoccupante e delicatissimo riguarda le norme igienico-sanitarie, con riferimento alle quali sono state proposte deroghe che riteniamo assolutamente inaccettabili, poiché possono inficiare il rapporto di fiducia con i consumatori.”

Che vi sia un progetto di uniformazione dell’attività agrituristica su tutto il territorio nazionale si deduce anche dall’art. 9 comma 2 del testo di legge:
2. Al fine di una maggiore trasparenza e uniformità del rapporto tra domanda e offerta di agriturismo, il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentito il Ministro delle attività produttive, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, determina criteri di classificazione omogenei per l'intero territorio nazionale e definisce le modalità per l'utilizzo, da parte delle regioni, di parametri di valutazione riconducibili a peculiarità territoriali.

Siamo tuttavia sicuri che omogeneizzare regole e vincoli dell’attività agrituristica su tutto il territorio nazionale sia un male assoluto? Se il settore vuole realmente presentarsi unito sui mercati internazionali non è bene darsi delle regole comuni, facilmente comprensibili dagli utenti?

Se la questione della competenza sull’attività agrituristica è importante, il vero nodo del contendere è la dotazione finanziaria.
Infatti inizialmente la proposta prevedeva una copertura di 5 milioni di euro annui, prevalentemente per attività connesse alla promozione e tutela, oggi tale cifra si è incredibilmente ridotta a soli 300mila euro. Una somma francamente ridicola.
Vero è che l’attuale situazione economica del nostro Paese non consente ingenti investimenti, anzi si profilano vistosi tagli alle spese correnti, ma francamente 600 milioni delle vecchie lire per un comparto di 15.000 imprese che richiede a gran voce, da tempo, misure strutturali, quali la riduzione dell’Iva, ci appare quasi un’offesa.

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