La voce dell'agronomo

LA GUERRA DEI BOLLINI CONTINUA, ORA È LA VOLTA DELLE DENOMINAZIONI COMUNALI

Il Ministro Alemanno ha dato la benedizione a questo nuovo strumento che dovrebbe, con una semplice delibera, valorizzare il territorio e le produzioni tipiche. Se si potrà aggiungere un altro marchio sulle confezioni, dove trovare il posto per le molte indicazioni di legge?

14 maggio 2005 | Alberto Grimelli

L’Anci, anche su proposta del Club Papillon di Paolo Massobrio, ha proposto di salvaguardare i prodotti tipici locali, non ancora tutelati da altri strumenti di tutela della tipicità (Doc, Dop, Igp...) attraverso l’istituzione di una nuova iniziativa che serva non solo a censire le migliaia di produzioni tradizionali e a rischio di estinzione esistenti in Italia, ma anche a valorizzarle.
“Il regolamento per la tutela e valorizzazione dei prodotti tipici locali e per l’istituzione della De.C.O. (Denominazione Comunale di Origine)”, che allego a questo articolo, rappresenta un primo strumento operativo e flessibile che potrà essere integrato ed emendato secondo le esigenze delle Comunità.

Il Marchio De.Co proposto dall'Anci

Una proposta che non posso che applaudire, come già, prima di me ha fatto il Ministro Alemanno, seppur con qualche distinguo.
“Il tema della difesa dei prodotti tipici – ha dichiarato Alemanno - attraverso le certificazioni già riconosciute, come Dop, Igp e Doc, è stato fin dall’inizio al centro dell’attenzione del Ministero delle Politiche agricole e forestali, che ha voluto ulteriormente evidenziare questo aspetto con la creazione dei Pat (Prodotti agricoli tradizionali) censiti da ogni Regione. Le De.Co., intese come censimento dei prodotti che identificano un Comune, sono un ulteriore elemento di distinzione che sicuramente rafforza il valore identitario di un territorio. Il Comune rappresenta senza dubbio il soggetto principale a cui la legge 142/90 dà facoltà di disciplinare in materia di valorizzazione delle attività agroalimentari. Concordo comunque con la tesi proposta da Paolo Massobrio, secondo cui le De.Co. debbano essere uno stimolo, una semplice delibera, che non faccia riferimento ad aspetti qualitativi o a disciplinari richiesti invece per altre denominazioni di valenza comunitaria, ma che sancisca un bene identitario legato all’artigianalità o alla vocazione agricola di un Comune”.

Le denominazioni comunali, quindi, non devono in alcun modo sostituirsi o entrare in conflitto con gli strumenti già esistenti di salvaguardia delle produzioni tipiche.
Fare riferimento alle DO, siano esse comunitarie sia nazionali, come elementi identificativi di un territorio ma anche di tutela del consumatore, perchè riferibili a precisi aspetti qualitativi e a disciplinari di produzione, implica, di per sè, una netta prevalenza, una supremazia rispetto alle neonate denominazioni d’origine comunali, che invece posso valersi unicamente di un generico legame a un bene artigianale o alla “vocazione agricola del Comune”.
Spiegare questo sottile distinguo al consumatore, che, come dimostrano sondaggi ed indagini, non conosce in molti casi la differenza tra Dop e Doc, risulterà alquanto complicato.
Quanto valore aggiunto potrà quindi fornire un ulteriore bollino sulla confezione di un prodotto alimentare?
Dove trovare il posto per aggiungere un ulteriore marchio?
Non rischiamo davvero di generare confusione nel consumatore?
Le etichette non assomiglieranno sempre più, se si continua su questa strada, a un guazzabuglio indistinguibile di emblemi e segni grafici?
Dove rilegare le già numerose indicazioni obbligatorie di legge?

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