La voce dell'agronomo

CHI DEVE GESTIRE LA RICERCA SCIENTIFICA?

Le istituzioni o le aziende private devono essere i promotori e i sostenitori, soprattutto economici, del mondo accademico? Fino a che punto l’interesse di pochi può condizionare studi e sperimentazioni? È una domanda nient’affatto anacronistica. Da un’indagine inglese emerge che una ricerca su dieci riceve delle pressioni da parte delle aziende committenti per avere risultati conformi alle proprie aspettative

02 aprile 2005 | Alberto Grimelli

Una ricerca scientifica su dieci subisce pressioni delle aziende committenti che cercano di ottenere risultati conformi alle proprie attese.
È questo il risultato, “estremamente preoccupante”, emerso da una ricerca che ha inoltre evidenziato come siano le donne più degli uomini ad essere vittime di questi tentativi di condizionamento.
La Royal Society, l'accademia nazionale per la scienza del Regno Unito ha annunciato che pubblicherà un manuale per cercare di combattere il problema.

Ovvio che qualsiasi tentativo di manipolare e armeggiare sui dati di qualsiasi ricerca scientifica è scorretto ed inaccettabile.
I risultati di uno studio possono essere pubblicati o meno, possono essere sfruttati commercialmente o “regalati” alla collettività, ma il complesso delle conoscenze deve essere fondato su lavori seri basati su metodi affidabili e severi.

Condivido quindi l’estrema preoccupazione espressa dalla Royal Society.
Mi domando però, sarà sufficiente dare alle stampe e diffondere delle nobili convenzioni e modelli di comportamento? Non è bene invece affrontare il problema alla radice?

Scrivere un libretto ad uso dei ricercatori non risolve in realtà il problema più drammatico e più intenso dei nostri giorni.
Per fare sperimentazioni, per lo studio occorrono soldi. Tanti fondi che il pubblico, nel mondo contemporaneo, non può e non vuole elargire.
Le imprese private devono farsi quindi anche carico del loro avvenire, dell’innovazione che, da sempre, è il volano di ogni economia e del benessere delle società capitaliste, finanziando la ricerca. L’interesse del privato è però, ovviamente, orientato a indagini e studi che abbiano un risvolto pragmatico, che possa migliorare un processo manufatturiero, creare un prodotto nuovo, in ultima analisi generare un reddito, un utile, del denaro.
La finalizzazione della ricerca a produrre guadagni, per quanto comprensibile e accettabile, rappresenta un limite invalicabile. Quel confine, pare, sia stato sorpassato cercando di condizionare i risultati di ricerche scientifiche per conformarli alle attese e alle politiche aziendali.
Questa rappresenta una degenerazione intollerabile, una indecente prevaricazione di interessi particolari su quelli della collettività.
Rappresenta un reato morale ed etico, le cui conseguenze la politica e i legislatori non possono non tenere conto.
Auspico che anche il diritto possa occuparsi della questione, molto presto.

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