La voce dell'agronomo

GIÙ LE MANI DAI FABBRICATI RURALI

Si sta discutendo in parlamento per una profonda revisione della attuale legge urbanistica, vengono così coinvolti anche gli edifici agricoli. Per una maggiore tutela del territorio, evitando che, negli anni, vengano stravolti il senso, lo scopo e l’uso delle costruzioni in campagna si prospetta una rivoluzione. Ovvero quando la cura è peggio della malattia. Perchè penalizzare così assurdamente il settore agricolo?

26 marzo 2005 | Alberto Grimelli

È attualmente in discussione, presso la VIII Commissione permanente del Parlamento italiano, il disegno di legge “Governo del territorio”, la cui presentazione in Aula è prevista per il mese di marzo.

In un recente articolo a firma dei professori Pellegrini e Monti, apparso suL’informatore agrario si delineano strategie e possibili vie che, sebbene interessanti sul profilo della tutela del territorio, possono limitare il potenziale di investimento dell’impresa agricola.
Svincolare infatti tutte gli annessi rurali da concessione edilizia e farli diventare dei fabbricati strettamente legati all’esistenza di un impiego agricolo, con l’obbligo di demolizione nel caso di cessazione dell’attività, imporrebbe all’agricoltore una diversa visione dell’investimento.
Hanno ragione infatti gli autori quando interpretano il pensiero dell’imprenditore agricolo medio: ”Se l’attività produttiva va male, mi rimane sempre una costruzione che posso sfruttare in altro modo, o che comunque aumenti il valore immobiliare dell’azienda, sia in caso di vendita sia che mi occorrano garanzie verso le banche”.
Questo genere di ragionamenti non è però unico e solo appannaggio dell’agricoltore. Ogni imprenditore che intenda spendere del denaro in immobili la pensa alla stessa maniera. Non sono poi così rari i casi di capannoni industriali riconvertiti dopo anni in strutture aventi tutt’altri scopi (alberghi, centri congressi...). Quando un artigiano o un commerciante cede la propria attività di questa fanno anche parte le proprietà immobiliari, che hanno prezzi tutt’altro che trascurabili.
Perchè allora discriminare l’imprenditore agricolo? Perchè impedirgli di incrementare il valore della proprietà?
Pensare a un immobile al pari di un attrezzo o di un macchinario è concettualmente errato.
I locali di lavorazione e di stoccaggio di prodotti agricoli, così come in misura minore i magazzini e i depositi, sono assoggettati a una serie di normative, igenico-sanitarie e di sicurezza sul lavoro, tali che una struttura prefabbricata e facilmente smatellabile non verrebbe a costare, complessivamente, una cifra così dissimile rispetto a una costruzione in muratura. Un investimento a perdere, da iscrivere a bilancio quindi come pura passività, che scoraggerebbe ogni iniziativa, ogni tentativo o barlume di innovazione.

Se la seria e motivata preoccupazione che sta alla base di queste proposte è tesa ad evitare un’eccessiva proliferazione di annessi agricoli che, in tempi più o meno lunghi, si trasformino in abitazioni, deturpando così il paesaggio agrario, credo che sia possibile trovare una soluzione più semplice e meno traumatica.
Perchè non vietare, in modo perentorio e definitivo, a prova di condono edilizio, che si possa mutare la destinazione d’uso dei fabbricati rurali?
Si penalizzerebbero solo quegli imprenditori che intendessero promuovere pure speculazioni immobiliari, evitando di danneggiare, al contempo, i veri agricoltori, motivati all’investimento anche dalla rivalutazione del proprio fondo.

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