La voce dell'agronomo 05/05/2012

Il bio non salverà il mondo. Ma neanche l'agricoltura tradizionale

Il bio non salverà il mondo. Ma neanche l'agricoltura tradizionale

Ogni tanto è necessaria una sana iniezione di realismo. Non mi stupisce affatto che venga dal pragmatico mondo anglosassone meno propenso a pregiudiziali schieramenti ideologici


La notizia ha fatto il giro del mondo in poche ore: l'agricoltura organica, da sola, non permette di sfamare il mondo.

L'articolo riportato su Nature è in effetti una di quelle bombe che sono destinate ad alimentare lo scontro tra diverse fazioni, almeno in Italia e in Europa. Molto meno nel pragmatico mondo anglosassone.

Ricercatori della McGill University e dell'Institute on the Environment della University of Minnesota hanno esplorato le potenzialità delle coltivazioni bio e tradizionali in merito alla capacità di nutrire la crescente popolazione mondiale, tenendo conto della riduzione del danno ambientale.

La risposta che si sono dati gli scienziati, in un esame ragionato della bibliografia esistente, è che per alcune produzioni il metodo organico consente di ottenere produzioni confrontabili con quello del metodo tradizionale. E' il caso di frutta e legumi, con scarti nell'ordine di pochi punti percentuali. Diverso, invece, il caso per ortaggi e cereali che invece avrebbero rese inferiori del 33% e del 26% rispettivamente.

Almeno in parte questi cali di rese si possono spiegare con una minore disponibilità di azoto e di fosforo, specialmente in alcuni tipi di terreni. In particolare, nota l'articolo, spesso le coltivazioni biologiche paiono non ricevere abbastanza fosforo da rimpiazzare quello perso con il raccolto.

Distinguendo i paesi con agricoltura avanzata da quelli poveri e in via di sviluppo i ricercatori trovano che nei paesi industrializzati l'agricoltura biologica rende il 20% in meno, mentre nei paesi poveri e in via di sviluppo le rese sono ridotte addirittura del 43%. Il motivo di una così grande differenza di rendimento nei paesi non industrializzati, spiega l'articolo, è dovuto al fatto che negli studi considerati le rese dell'agricoltura convenzionale erano spesso relative a coltivazioni irrigate o in stazioni sperimentali di ricerca e quindi molto più alte della media.

Anche dal punto di vista economico e sociale l'agricoltura bio potrebbe non risultare la soluzione ottimale. Infatti, a fronte di minori input e prezzi più elevati, nei paesi in via di sviluppo è la soluzione prediletta per l'export, senza quindi contribuire alla sicurezza alimentare della nazione di origine.

"Per raggiungere una sicurezza alimentare sostenibile ci sarà probabilmente bisogno di tecniche diverse, tra cui quella biologica, convenzionale e possibili sistemi “ibridi” - hanno concluso i ricercatori - per produrre più cibo a prezzi accessibili, garantire il sostentamento per gli agricoltori e ridurre i costi ambientali dell'agricoltura".

Una sana iniezione di realismo. Ne abbiamo bisogno.

di Alberto Grimelli

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Commenti 11

Gianluigi Cesari
Gianluigi Cesari
27 ottobre 2012 ore 10:40

Le argomentazioni peccano di molti elementi di analisi. L'alimentazione di alcuni paesi è insostenibile in quanto destinata a consumare troppa "energia". I nostri sistemi di distribuzione "sprecano" circa il 30% di alimenti e la qualità di questi genera patologie metaboliche e tumorali. Piuttosto che di produzione "Biologica o Convenzionale" è meglio approfondire l'analisi e lo studio su pratiche di produzione "sostenibile" e alimentazione dedicata alla prevenzione di "malattie social" legate alla cattiva almentazione. Anche i cosri delle "cure" di queste rientrano nel calcolo sulla sostenibilità ambientale ed economica.

Sandro Santolin
Sandro Santolin
06 maggio 2012 ore 23:54

Picchi vari,club di Roma,ecc.sono cose che conosco; l'ipocondriaco non è lei ma il mercato che sceglie il biologico anzi la maggior parte di questo mercato.
Comunque non è solo sulla strada della rivoluzione interiore e visto i tempi mi sta dando parecchie soddisfazioni.

andrea marciani
andrea marciani
06 maggio 2012 ore 21:38

Egregi Santolin
Anche quando nel 1972 fu pubblicato il rapporto Meadows sui limiti dello sviluppo, questo fu ritenuto, dai più, eccessivo e apocalittico.
Lei lamenta la sparizione delle rane, Pasolimi, con largo anticipo, quello delle lucciole, ma in realtà sono migliaia le specie animali e vegetali che scompaiono ogni anno, e scompaiono pure i ghiacciai, i fiumi, le foreste, il fronte della desertificazione avanza nel sud Sahara al ritmo di oltre cento chilometri l'anno.
E' informato di quanto le scrivo o le sembra solo lo sfogo di un ipocondriaco?
Apocalittica è, nei fatti, la rimozione collettiva della gravità dei problemi che ci troviamo ad affrontare ed a cui si cerca di rispondere con il rilancio della crescita, del consumismo e del baccanale neoliberista.
Ben altre sarebbero le ricette per uscire dalla crisi cui andiamo incontro: bisognerebbe sostituire la competizione con la solidarietà,le attività predatorie (come il land grabbing) con una equa redistribuzione planetaria delle risorse, l'economia reale dovrebbe sostituire la speculazione finanziaria nelle preferenze dei nostri governanti, le sembrano cambiamenti in calendario?
A me no e non mi riesce di essere ottimista, mi limito a praticare la mia rivoluzione interiore fatta di parsimonia e austerità, ed a coltivare la mia terra senza avidità e con rispetto, (non sono ricco, ma da me ancora gracidano le rane e le notti d'estate volano bellissimi sciami di lucciole)

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
06 maggio 2012 ore 19:03

Non esiste l'agricoltura tradizionale, esiste solo l'agricoltura fatta con le buone e vecchie regole agronomiche e quella che crede di essersi affrancata da queste regole, sbagliando.

L'agricoltura fatta con le buone e vecchie regole agronomiche, non deve escludere nessuno dei mezzi tecnici che la ricerca man mano mette a disposizione dell'agricoltore.

Dimenticate che alla base ci deve essere un agricoltore che ora deve anche essere imprenditore agricolo, tra questi, come sempre è stato, vi sono dei buoni e dei cattivi agricoltori, come in tutte le professioni, ma nessuno dall'esterno può imporre nuove regole costrittive ed escludenti mezzi, del come fare agricoltura senza tener conto del fatto che l'agricoltore è imprenditore.

E' il mercato nel medio periodo che decide chi fa buona agricoltura e chi la fa cattiva, penalizzando quest'ultimo con costi insostenibili.

Sandro Santolin
Sandro Santolin
06 maggio 2012 ore 18:03

Sig Marciani,
ottime le sue osservazioni ma le conclusioni sono a mio avviso veramente troppo apocalittiche.
l'articolo in questione vuole far luce su una delle molteplici facce della questione e da' risposte molto parziali sul problema di fondo che è la sostenibilità di ogni attività umana.
A questo proposito ricordi che i cinesi e gli indiani sono diventati miliardi perchè la loro dieta era prevalentemente vegetariana il guaio è che ora stanno velocemente spostandosi verso modelli occidentali anglo/americani con consumo prevalente di carne;questo è il motivo dell'erosione degli stock di cereali.Meglio sarebbe che adottassero stili di alimentazione nettamente più sostenibili e salutistici a base di cereali come quelli delle varie diete mediterranee ben conosciute ma a questo non possiamo porre rimedio.
Credo che l'approccio al biologico di stile ipocondriaco sia una disgrazia per il settore ed è proprio il motivo per cui l'articolo ha calamitato l'interesse .
Un approccio pragmatico nell'ottica della sostenibilità è il modo più serio per affrontare queste questioni. Ha senso importare prodotti bio (coltivabili vicino a noi) da ogni angolo del pianeta? Oppure coltivare la vite in luoghi dove sei costretto a fare un trattamento ogni 2 giorni (non gracida più una rana dalle nostre parti) Le soluzioni di approvvigionamento alimentare saranno un mix di tipologie produttive esattamente come per le fonti rinnovabili riguardo l'energia disponibile in una data area.
Credo che questo sia vero pragmatismo ...all'italiana.

andrea marciani
andrea marciani
06 maggio 2012 ore 14:17

Inoltre, mettendo a raffronto una curva demografica mondiale con una dei picchi estrattivi dei combustibili fossili, si può notare un andamento perfettamente omologo sia in ordine cronologico che quantitativo.
Questo significa che la popolazione mondiale è stata gonfiata dalle energie stoccate nel sottosuolo ed ora che il picco di Hubbert è stato raggiunto e superato (nel 2004), cosa vi fa credere che la curva demografica continui a crescere?
il nostro pianeta prima delle fossili sfamava 1.5 miliardi di individui, e non aveva ancora mandato in malora il 40% delle terre coltivabili tra siccità, agricotura chimica, edilizia sconsiderata, inquinamento e salinizzazione delle falde, fotovoltaico, centrali a biomasse e biocombustibili.
I 9 miliardi del 2050 sono un calcolo ridicolo, già ai giorni nostri i demografi hanno constatato una brusca discesa rispetto alle stime di soli venti anni fa. figuriamoci da qui al 2050, in un mondo che sta scivolando nella barbaria e nel fascismo.
io mi coltivo la mia terra col biologico solo perché non voglio contribuire allo sfascio che tutti questi pragmatici scienziati e politicanti stanno perpetrando sul pianeta, ma non mi illudo certo di salvarla da loro, la sproporzione delle forze è troppo impari.

andrea marciani
andrea marciani
06 maggio 2012 ore 13:48

la questione mi sembra un altra: una volta esaurite le scorte di combustibili fossili, dove andrà a procurarsi i concimi chimici l'agricoltura convenzionale? e come farà a praticare l'agricoltura meccanizzata ed intensiva?
Forse il problema può apparire ancora remoto ma è comunque incombente e già ora comincia a farsi sentire con un cospicuo ed irreversibile aumento dei carburanti e dei concimi.
Per essere pragmatici come un anglosassone, non sarebbe opportuno cominciare a guardare, con realismo, questo ineludibile aspetto del problema?

Diego Leva
Diego Leva
06 maggio 2012 ore 00:51

Gent.mo Sig. Pinton ma quale articolo ha letto? Visto quanto afferma penso abbia confuso le pagine di qualche altra rivista, bene ha fatto il collega Grimelli ad inserire il link così potrà leggere l'articolo giusto. Saluti

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
05 maggio 2012 ore 19:02

Buongiorno,
innanzitutto, per quanti volessero leggere l'articolo su Nature inserisco di seguito il link: http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11069.html
L'articolo, che ho avuto modo di apprezzare nella sua interezza, esamina pregi e difetti di ogni metodica colturale, valutandone l'efficacia rispetto a una pluralità di fattori e contestualizzandone i risultati rispetto a obiettivi globali. Le differenze di rese sono solo una faccia della medaglia ma hanno catalizzato quasi interamente l'attenzione.
In effetti l'argomento merita di essere preso seriamente in considerazione poiché gli stock mondiali di cereali negli ultimi dieci anni sono andati calando e solo annate particolarmente positive, come dovrebbe essere la 2011/12 secondo le stime Usda, possono bilanciare un aumento dei consumi del 2% all'anno. La stessa Fao ha lanciato, e più volte ripetuto, che la produzione mondiale di cibo va raddoppiata entro il 2050, una necessità dovuta all'incremento della popolazione globale che, per quella data, dovrebbe raggiungere i 9 miliardi.
Vi sono naturalmente anche considerazioni di tipo sociale, economico e ambientale. Al sottoscritto ha particolarmente allarmato, nell'ottica della sicurezza alimentare, che i paesi in via di sviluppo possano diventare grandi esportatori di derrate agricole bio. Non credo che sia opportuno per gli equilibri complessivi, che i paesi ricchi possano vedere in quelli sottosviluppati un bacino di cibo organico a basso costo.
Per questo ritengo particolarmente equilibrate le conclusioni dei tre ricercatori i quali hanno palesemente affermato, al di là delle legittime preferenze personali, che ci sarà bisogno di un approccio multidisciplinare e multicolturale.
In un simile contesto è quindi doveroso considerare l'agricoltura biologica come una parte della soluzione. La soluzione è però al di là da venire e credo sia altrettanto doveroso prenderne atto.
Se è infatti vero che alcune ricerche mostrano un maggior contenuto vitaminico e di nutrienti negli alimenti bio, è altrettanto vero che spesso tali maggiori concentrazioni non vengono considerate statisticamente significative. Un dato confermato anche dalla ricerca del professor Alan Dangou.
Questo significa che l'agricoltura organica sia una bufala? Certamente no, lo ripeto. E' una risorsa importante che va potenziata e razionalizzata, senza che venga considerata la figlia di un dio minore, né un ritorno al tradizionalismo antico o a tempi bucolici.
Occorre superare l'antico vizio di leggere qualsiasi articolo tecnico, scientifico o divulgativo come fosse un presa di posizione, ma, a volte, considerarlo per quello che è: un contributo.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

Sandro Santolin
Sandro Santolin
05 maggio 2012 ore 16:39

molto ben detto Sig. Pinton ma temo che il sig. Grimelli non abbiainteso bene il senso dell'articolo.
Sandro Santolin

roberto pinton
roberto pinton
05 maggio 2012 ore 14:36

Efficace il titolo di Grimelli: se l'agricoltura biologica (forse) non nutrirà il mondo, quella convenzionale (sicuramente) non lo sta facendo. Le problematiche, infatti,, più che tecniche, sono economiche e sociali.
La produzione di alimenti è già più che sufficiente per sfamare l'umanità (anzi, avanza, se un terzo dei bambini italiani è sovrappeso e ogni famiglia qui butta in pattumiera in media 500 euro l’anno di alimenti e la situazione non è assai diversa negli altri Paesi del nord del mondo).
Quello che manca è un'equa distribuzione delle risorse: nei Paesi del sud del mondo non è carente la produzione di cibo, manca il denaro per acquistarlo.

Il lavoro pubblicato su Nature conferma che l'agricoltura bio non è una pratica da nostalgici, ma un metodo che a tutti gli effetti può essere messo a confronto con l'agricoltura industrializzata, grande consumatrice di energia fossile (sempre più scarsa e costosa) e di sostanze chimiche di sintesi con pesante impatto ambientale.

E' significativo che riconosca che già ora, senza sostegno alla ricerca, l'agricoltura bio, per alcune coltivazioni, dalla frutta alla colza e alla soia (le stesse per le quali in convenzionale si fa gran uso di erbicidi e di cui buona parte, per gli ultimi due, è OGM), è in grado di dare le stesse quantità.

Quali potrebbero essere i risultati se per la ricerca nel bio fosse stanziato anche solo il 10% di quanto è speso per sviluppare nuovi pesticidi e OGM?

Secondo l'Ispra del ministero per l'Ambiente, in Italia abbiamo 118 pesticidi diversi nel 47.9% delle acque superficiali e nel 27% di quelle profonde, dove pescano gli acquedotti. In più del 30% delle superficiali il contenuto supera i limiti ammessi per le acque potabili.
C'è Glifosate nell'80% delle acque superficiali della Lombardia, quasi sempre con concentrazioni sopra i limiti di legge.
Ha senso ottenere raccolti maggiori con la chimica di sintesi, se peggiorano qualità e sicurezza dell'acqua che beviamo (o non la beviamo più, sostituendola con acqua minerale, spendendo per acquistarla più di quanto non risparmiamo per un diserbo chimico piuttosto che meccanico)?

Tutte le ricerche dicono che nei campi bio la biodiversità è assai superiore a quella dei campi convenzionali. Basterebbe poi ricordare la moria delle api causata in tutta Europa e in Nord America dagli insetticidi neonicotinoidi.
Ha senso aumentare le rese a scapito della fauna selvatica (e di insetti indispensabili come gli impollinatori?)

Lo studio ipotizza un ibrido tra agricoltura biologica e convenzionale, con fertilizzanti di sintesi. Aumenterebbero le rese, ma temo che il guadagno sarebbe solo apparente: avremmo più peso, ma la stessa quantità di sostanze nutrizionali.

Per molte colture la fertilizzazione di sintesi fa sostanzialmente aumentare il peso grazie al maggior assorbimento d'acqua acqua, ma non fa aumentare i nutrienti.
Le ricerche ci dicono anche che il contenuto nutrizionale delle diverse colture è inferiore rispetto a quello di cinquant'anni fa: aver più cibo, ma meno nutriente, non sembra un grande affare.

Jonathan Foley, co-autore dello studio ha dichiarato: «Servono altre ricerche e, fortunatamente, penso che sia possibile realizzare elevati raccolti con un approccio biologico».
Aggiunge che lui e i colleghi «a casa nostra siamo grandi fan dei prodotti biologici» e che «è difficile ignorare i problemi ecologici e di sostenibilità dell’agricoltura convenzionale legati all’input di sostanze chimiche, fertilizzanti, spreco e inquinamento dell’acqua».
E che la resa non è l'unico parametro da tener presente: «Contano anche gli aspetti nutrizionali, ambientali e sociali».

Appunto.

Roberto Pinton