La voce dei lettori

Fernanda Pivano, siamo tutti un po' orfani

21 agosto 2009 | T N

Ha combattuto contro il tempo finché ha potuto. A settembre 2007 l’avevano portata in ospedale dopo una piccola ischemia cerebrale, che aveva superato come di consueto, scherzando e ridendo con infermieri e medici. Aveva superato anche un principio di infezione polmonare, poi un secondo ictus l’aveva abbattuta, ma non del tutto. Alla clinica Don Gnocchi di Milano, dov’era rimasta ricoverata per oltre un mese, le sue funzioni si erano ridotte al minimo. Non parlava, faticava a mangiare, gli occhi spenti che fissavano nel vuoto per poi richiudersi in un sonno continuo. Le avevano portato un lettore di cd su cui ogni tanto suonavano le canzoni di Fabrizio De André.

In uno degli ultimi momenti di lucidità era sembrata risvegliarsi e quasi danzare sorridendo seguendo la melodia e la voce del cantautore genovese che lei considerava il più grande poeta italiano del ’900.
I medici non le avevano dato speranze, ma lei si era alzata ancora una volta sul letto. Era tornata a casa per Natale, con un’autobiografia ancora da scrivere in parte e una maggiore difficoltà a esprimersi e a muoversi.

Si era rimessa al lavoro, riuscendo a finire il primo volume della biografia e mettendo le basi per altri progetti. Era passato un anno. L’autunno e un problema ai reni l’avevano riportata in ospedale. Ma non si era arresa. Alla commemorazione di Fabrizio De André, in tv da Fazio a gennaio, aveva voluto esserci di nuovo. Dalla sua camera d’ospedale continuava a lavorare ad aiutare, a scrivere l’ultimo capitolo della sua biografia.

La sua lunga battaglia contro il passare del tempo è stata vinta fino al limite del possibile. Così oggi siamo tutti un po’ orfani. A 92 anni Fernanda Pivano ha scelto di non combattere più. Il suo fisico ha ceduto forse cosciente del fatto che la sua vita, fatta di racconti e di memoria, non le avrebbe forse più consentito di incontrare la gente e tenere vivo il ricordo di una stagione della cultura che l’aveva vista per quasi un secolo protagonista.

“Hemingway si è sparato quando ha capito che non poteva più scrivere”, ricordava del vecchio anziano amico di gioventù sui cui libri aveva cominciato ragazza il suo lavoro di traduttrice di scrittori americani, dopo che Cesare Pavese, suo maestro al liceo, l’aveva spinta a tradurre e pubblicare i versi dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.

Era un grande spirito libero ed entusiasta. Le piaceva raccontare e raccontarsi. Non parlava di sé, parlava delle persone che amava, i suoi scrittori, i suoi poeti, le persone con cui aveva condiviso passione, curiosità, esperienze e visione del mondo. E’stata un motore della cultura, sempre controcorrente. Ed è stata anche una grande giornalista.

Sul suo sito internet l’11 Settembre 2001 scrisse : "Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perché ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue".

La sua scomparsa è una enorme perdita. Così oggi siamo tutti un po’ orfani. Ora, a noi, restano i suoi libri.

Mario Pulimanti
Lido di Ostia - Roma

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